martedì 16 agosto 2011 - Trilussa

Un mondo difficile dalle migrazioni africane agli scontri di Londra

E' un mondo difficile, è vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto” (Tonino Carotone: Me cago en el amor). Cosa spinge i ragazzi inglesi a scendere in strada, sfasciare negozi, incendiare auto e scontrarsi con la polizia? Vandali, imbecilli o il prodotto di una società che dovrebbe urgentemente interrogarsi su se stessa, sui propri meccanismi, sullo stadio in cui è arrivato oggi il capitalismo? Insieme agli emarginati delle periferie cosa ci fanno quei ragazzi dagli occhi chiari con gli abiti, le scarpe firmate e i loro Blackberry?

Nel corno d’Africa centinaia di migliaia di persone stanno fuggendo, con le loro poche cose a piedi sui margini di strade polverose, dalla fame che li sta uccidendo per la siccità e la guerra; nel nord Africa si sta combattendo una guerra invisibile tanto recente quanto già dimenticata dall’opinione pubblica internazionale; nello stesso continente, poco lontano, si spara coi cannoni sulla popolazione civile che chiede giustizia e semplici diritti civili a corrotti dittatori; in Afganistan si continuano a fare vittime civili in nome di una pace che sembra sempre più lontana e irraggiungibile perché la guerra, mai comunque dichiarata, è contro un intero popolo e non contro un esercito; migliaia di disgraziati in cerca di un futuro migliore continuano a sbarcare sulle nostre coste su barconi fatiscenti in balia di negrieri senza scrupoli e senza cuore; milioni di persone al mondo continuano a morire di fame o di malattie comuni, scomparse oramai da decenni nelle cosiddette nazioni evolute, soccorse e sostenute da organizzazioni umanitarie che si basano più sulla generosità dei cittadini che su quella degli Stati; nel mondo una crisi economica senza precedenti sta non solo affamando i paesi più poveri per l’aumento del prezzo dei prodotti di prima necessità ma mettendo in crisi le stesse nazioni occidentali con la crisi dei mercati e soprattutto di quello del lavoro.

Con tutto questo, e molto altro ancora, in Inghilterra è scoppiata a Londra, e poi si è estesa in altre città, una nuova rivolta giovanile. Una rivolta giovanile in cui molti dei ragazzi coinvolti non portano l’eskimo di sessantottina memoria e si mobilitano in piazza contro tutte queste ingiustizie, queste disparità, questo scellerata politica internazionale, questo prevalere dei mercati su tutto e su tutti, questo condizionamento di pochi sul mondo intero, del denaro sui valori.

No, accanto a neri, ispanici, asiatici e magrebbini che affollano le periferie di tutte le grandi città europee di cui rimangono sempre ai margini, ce ne sono molti che indossano scarpe e abiti firmati e si scambiano messaggini con i loro Blackberry, ragazzi di famiglie normali che non sono scesi in piazza a chiedere pane e lavoro come possono aver fatto i loro padri, che non hanno grandi ideali da difendere, ma semplicemente vogliono partecipare anche loro al diffuso benessere che vedono intorno, nelle vetrine luccicanti delle vie esclusive, nelle grosse e linde auto piene di volti sorridenti, nei gioielli delle ricche signore, nello sfarzo della politica e della monarchia. Vogliono anche loro il prodotto, vogliono la felicità che vedono negli altri, a loro tanto vicina ma anche così lontana perché per quella ci vuole il denaro, ci vogliono i soldi.

Si sentono ai margini di qualcosa che non riescono ad avere eppure è lì, a portata di mano.

Senza cultura per una scuola superficiale che ha dimenticato di educarli al senso civico e al rispetto, senza lavoro né prospettive per la crisi mondiale che ha aggredito in maniera pesante anche il loro paese, senza il peso, in questo caso fondamentale, della propria storia, senza i principi fondamentali che hanno ispirato se non proprio i loro padri almeno i loro nonni, quelli che hanno vissuto gli anni della guerra, della povertà, dei bisogni immediati di ogni giorno, dei sacrifici quotidiani ma con i saldi principi della onestà e della legalità si scatenano nelle strade dando sfogo alla loro rabbia di vandali senza cuore.

Sfasciano vetrine, bruciano auto, devastano edifici e rubano. Si vedono entrare nelle vetrine sfasciate, sporgono dalle saracinesche divelte e se ne escono carichi di roba, di cose in mano, nei sacchetti della spesa e fuggono.

Il giovane Jeffrey si accascia sul banco degli imputati in lacrime e si dispera come la sua mamma. Il giudice gli ha appena spiegato che per i saccheggi di lunedì notte rischia da sei mesi a dieci anni. La polizia lo ha arrestato all’uscita di un negozio di telefonia con la vetrina distrutta, in mano aveva un cellulare di ultima generazione.

Fuori del tribunale un ragazzo di colore che è riuscito a scampare alle retate della polizia.

Con fare indolente:

“Quando sul Blackberry gli amici mi hanno invitato al saccheggio non ho potuto fare a meno di partecipare. Una grande festa per tutti. Peccato sia finita. C’era buona roba, di marca”. Perché eri lì? "Per fare soldi. Non crederete mica a queste stronzate dell’orgoglio della razza?". Spiega che per uno che arrestano dieci la fanno franca. "E io sono sempre stato tra i dieci". Non lavora. "Ci ho provato una volta. Eravamo in novanta per lo stesso posto da settecento sterline. No grazie. Io me ne fotto".

In tre giorni gli arresti in Inghilterra sono stati milleduecento. Nel gruppo ci sono bambini di dodici e tredici anni. Il più piccolo ha sette anni. L’hanno trovato mentre tirava sassi contro una vetrina alle due di notte. Un poliziotto l’ha trascinato via. "Dov’è tua mamma?". "Fatti i cazzi tuoi". L’hanno affidato ai servizi sociali.

Per la destra di governo quelli come lui sono feccia. Criminali senza scuse. Per i laburisti sono il frutto malato di una società che sta radendo il Welfare al suolo, che ha tagliato il 50% dei budget comunali, che ha fatto sparire le librerie e triplicato le tasse universitarie.

Se loro sono sbagliati, il mondo lo è molto di più.

In tutto questo scenario c’è almeno una piccola una nota di speranza rappresentata da quei cittadini scesi in piazza per ripulire Londra con cassette, granate e spazzoloni. Non sono solo un fenomeno curioso o folckloristico ma un importante segno di distinzione per dire di esser diversi, per dare al mondo un segnale di speranza, per chiedere alla politica di interrogarsi su questa deriva che spinge molti giovani sempre più ai margini di una società opulenta, ricca, sfarzosa ma solo per pochi. Il resto può anche non aver niente, nemmeno da perdere, e scende in piazza almeno un giorno per essere protagonista ed arraffare finalmente una briciola di quel benessere che, se pur a portata di mano, appare sempre più lontano.




Lasciare un commento