sabato 7 maggio 2016 - Agostino Spataro

Tributo a Jorge L. Borges nel 30° anniversario della morte

Borges, da una Palermo all’altra

1. Prima del fatto ossia la conversazione/ intervista con la signora Maria Kodama è necessario accennare all’an­tefatto ossia alla venuta a Palermo, nel marzo del 1984, di Jorge Luis Borges, celebrato scrittore e poeta ar­gentino, per ritirare il premio “La Rosa d’oro”, istituito dalla editrice palermitana “Nove­cento” di Domitilla Alessi. Egli, che aveva vissuto l'infanzia nel bellissimo barrio “Palermo” di Buenos Aires, giungeva per la prima volta nella nostra Palermo sicula contento di poterne respirare l'aria di antica capitale della Sicilia dei miti. Credo che lo scrittore avesse contezza della realtà, terribile e decadente, dell’Isola per altro, in quei giorni, appesantita dalla decisione di rendere operativi i missili nucleari installati a Comiso.

Da una Palermo all'altra, si potrebbe dire. 

La cerimonia di consegna si svolse la sera del 27 marzo nel salone della Fondazione Mormino del Banco di Sicilia (sponsor del Premio) alla quale fui invitato -credo- nella qualità di deputato nazionale.

Accolsi l’invito anche se ero al corrente di taluni giudizi politici molto critici su Borges che circola­vano in taluni ambienti della sinistra a causa di certi suoi approcci con la dittatura militare che solo l’anno prima era uscita dalla scena politica argen­tina.

Certo, nel comportamento di Borges ci fu quanto­meno un errore politico, abilmente sfruttato dalla dittatura che – il mondo saprà dopo- fece sparire, assassinare circa trentamila giovani oppositori (de­saparecidos) con metodi brutali e inumani e senza uno straccio di processo. Un genocidio!

Tuttavia, credo che non si possa giudicare uno scrittore di razza, per altro impolitico, soltanto per qualche errore di tipo politico ma per il valore, l’essenza della sua opera letteraria.

Pertanto, senza voler assolvere, né mitizzare nes­suno, nemmeno Borges, andai a Palermo solo per ascoltare, salutare l’autore di alcune opere che mi avevano affascinato: “Finzioni”, “L’Aleph”, “Sto­ria universale dell’infamia”, “Fervore di Buenos Aires”, ecc.

Mi fu riservato un posto in prima fila che trovai quasi interamente occupata dalle autorità palermi­tane e siciliane. Al centro, assisi in una posa solenne, statuaria, c’erano i presidente della Regione e dell’Ars.

Di fronte, dietro il grande tavolo, avevano preso posto Borges e gli organizzatore del premio.

 

  1. Avvertii come un disagio a star seduto in quella prima linea di ottimati. Mi guardai intorno e vidi in fondo al salone, solitario e raccolto, l’on. Sergio Mattarella, da qualche mese mio collega alla Camera dei Deputati.

Il fratello di Piersanti mi parve volersi tenere alla larga da quella prima fila. Anche se lo conoscevo da poco, decisi di raggiungerlo in quell’anonima (e più confortevole) “retrovia”.

Tutto si svolse in pochi attimi: mi avvicinai al ta­volo e pregai Umberto Di Cristina di presentarmi a Borges per potergli stringere la mano. Null’altro.

Mi restò impresso il suo sguardo vacuo, il suo largo sorriso di circostanza rivolto a un illustre scono­sciuto.

Attimi fugaci nei quali intravidi come un alone di luce giallognola, che per me è il colore della sa­pienza matura, avvolgere il volto dello scrittore se­gnato da un malcelato ghigno di un dolore antico, mai rimarginato.

Salutato il Maestro, invece di riguadagnare il posto assegnatomi, deviai verso il fondo della sala a oc­cupare la sedia vuota accanto a Mattarella. E da lì ci gustammo, serenamente, la dotta prolu­sione di Borges.

Questo è quanto. Nulla di eccezionale. Solo piccoli gesti, necessari per segnare un confine evidente all’interno di un ambiguo contesto politico e morale che, in quel tempo tragico, dominava a Palermo.

Anche in occasione di un evento eminentemente culturale qual era la venuta di Borges in Sicilia, bi­sognava far vedere da che parte si stava.

A Buenos Aires, per i sentieri di Borges

Con il passare degli anni, crebbe il mio interesse per l’opera del grande autore argentino, più di Bue­nos Aires direi, che, parafrasando lo stesso Borges, potremo definire il meno sudamericano fra gli scrittori sudamericani.

La parafrasi nasce da una battuta di Borges su Sha­kespeare che -secondo lui- “doveva essere di ori­gine italiana perché tendeva troppo all’iperbole nella metafora; è il meno inglese degli scrittori in­glesi...”*

* (Domenico Porzio in “Borges. Tutte le opere”, Monda­dori)

L’osservazione non é poi tanto peregrina, anzi, in un certo senso, anticipa di almeno un ventennio, l’ipotesi proposta nel libro del professor Martino Iuvara* il quale, basandosi su una lunga e articolata ricerca, arriva a sostenere che il grande po­eta e drammaturgo inglese era in effetti italiano, nativo di Messina.

*(in “Shakespear era italiano”, Ed. Kromatografica, 2002)

Fondata o meno che sia l’ipotesi di Iuvara, bisogna riconoscere che é piuttosto argomentata, mentre ri­mangono incerti, aleatori alcuni aspetti della vita del poeta.

Taluni, addirittura, mettono in dubbio la sua effet­tiva identità, perfino l’esistenza.

Ma torniamo a Borges di cui continuai a leggere tutto quanto mi capitava per le mani.

Per concludere con la monumentale edizione (in due volumi) di “Borges. Tutte le opere” magistral­mente curata da Domenico Porzio il quale nella sua dotta “Introduzione” annota alcuni episodi, aneddo­ti relativi alla visita dello scrittore in Sicilia e ci lascia un’interpretazione, a tratti maieutica, dell’opera borgesiana:. ”La prestidigitazioine definitoria di Borges va oltre: una pagina o un verso fortunato non de­vono inor­goglirci: “sono un dono del Caso o dello Spirito; solo gli errori sono nostri”.

Per me, totalmente preso dalle vicende politi­che nostrane e da quelle più ingarbugliate e terribili dei Paesi arabi e mediterranei, dell’eterno conflitto fra palestinesi e israeliani, la lettura di Borges fu come una discesa in un mondo veramente nuovo, fanta­stico e crudo al tempo stesso; dentro il quale sco­prii, fra l’altro, qualcosa di noi che era fuggito in Argentina, tanto tempo fa.

Buenos Aires mi apparve come una stella lontana e scintillante, ora raggiungibile seguendo i sentieri tracciati da Borges.

 

Il Nobel ai “cartoneros” di Buenos Aires

  1. Buenos Aires dei forti contrasti, delle contraddizioni sociali evidenti: città ricca, potente, elegante per alcune centinaia di famiglie di magnati e di tierratenientes, ma anche madre dolente di tan­tissimi suoi figli esclusi dal benessere.

Una vera tristezza, una dannazione per milioni di essere umani che vivono, ammassati e in condizioni precarie, proibitive.

Specie, nelle sterminate periferie che assediano il Centro dove, storicamente, è insediato un ceto alto borghese sempre più ristretto, elitario, perfino dina­stico, subalterno alla grande finanza internazionale, che spinge il “medio” e il “piccolo” verso i gradini più bassi della scala sociale.

Un processo terribile, disumano che può essere sintetizzato con una sola parola : “esclusione”

Una situazione grave, degradante che genera disu­guaglianze, odi sociali e le più gravi incertezze per il futuro di questo grande e ricco Paese latinoameri­cano.

E - si sa- quasi sempre, le disuguaglianze, l’esclu­sione sociale hanno provocato rivolte popolari, moti di giustizia per la sopravvivenza, quasi sempre re­pressi nel sangue.

Il sangue dei poveri!

Oggi, è riapparso lo spettro di quel ciclo infernale dal quale l’Argentina sembrava essere uscita.

Nello scenario sociale e politico stanno, infatti, riemergendo incertezze, paure, inquietudini che parevano essersi allontanate o co­munque diluite in que­sti primi anni del nuovo secolo.

Un’evoluzione lenta, contrastata ma positiva che ho potuto costatare personalmente durante i miei soggiorni in questo Paese di circa 40 milioni di abitanti distribuiti fra la capitale e un territorio sette volte più esteso di quello italiano.

La prima volta che visitai Buenos Aires fu nel 2001 ossia nel vivo di una fase segnata dal caos politico e sociale, dalla disperazione popolare causata dall’iperinflazione, dal “cacerolazo”per il falli­mento dello Stato provocato dalle politiche “neo-liberiste” avviate dai generali e proseguite dai successivi go­verni al guinzaglio del FMI.

A partire dal 2003 (con la vittoria di Nestor Kirch­ner) la situazione è stata, gradualmente, corretta, in parte recuperata, seppure con errori e qualche ec­cesso, dai governi della sinistra peronista.

L’ultima nel novembre 2015 per seguire le elezioni presidenziali che hanno decretato (seppure di stret-tissima misura) il ritorno al potere di quelle stesse consorterie economiche, affaristiche che portarono l’Argentina al fallimento e alla dittatura, le quali, contravvenendo alle pro­messe elettorali, stanno inasprendo, rendendola più acuta ed esplosiva, la difficile condizione dei lavoratori, del popolo argentini.

 

2. Le vie sono lo specchio animato di Buenos Aires. Qui scorrono, e s’incontrano, le sue diverse “anime”: ricchezza e povertà, sofferenza e ignobili viltà vestite a festa, corruzione dei potenti e urla di giu­stizia degli innocenti, violenza e trasgressione.

Sia chiaro, tutto ciò non è un maleficio, né appannaggio esclusivo di questa metropoli. Accade anche altrove, in altre grandi e piccole città del mondo, secondo i tempi, i ritmi, le logiche economiche della dissennata urbanizzazione che stiamo su­bendo.

Città da amare, Buenos Aires. Evitando, però, che la passione ci renda ciechi e sordi e non ci faccia vedere l’intero arco delle sue vicissitudini, delle sue violenze, della sua realtà sociale.

In primo luogo, quella dei ceti meno ab­bienti, degli “esclusi”, come i “cartoneros” per i quali propongo il Nobel più importante: quello per la sal­vezza del Pianeta, dell’umanità.

Tante volte ho osservato a lungo i “cartoneros” di Buenos Aires ossia un esercito di umili, di uomini, donne, bambini, poverissimi di beni ma ricchissimi di dignità, vaganti nella notte per le eleganti ave­nide a raccogliere cartoni e altri materiali di rifiuto.

Gente che avrebbe tutte le ragioni per bruciare il mondo, invece cerca di salvarlo, di alleggerirne le pene mediante un’efficace e ben organizzata opera di raccolta differenziata.

Invece, i ricchi, che avrebbero tutte le ragioni per salvare, conservare il mondo che li privilegia, con­tinuano a inquinarlo, a distruggerlo.

(Tratto da “Borges, nella Sicilia del mito”, e-book di Agostino Spataro: http://www.amazon.com/BORGES-NELLA-SICILIA-MITO-conversazione-ebook/dp/B01EXPTLIY/ref=zg_bsnr_7735164011_41#reader_B01EXPTLIY

 




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