sabato 25 settembre 2010 - roccob

Tra farisei, falsi altari e diavoli, la crocifissione di Profumo

Era scritto, in un certo senso, non poteva che finire così.

Non sembri una provocazione, e però il mondo delle banche e della finanza in genere, nei suoi cunicoli e meandri più appartati e meno visibili, si colloca, analogamente e indistintamente, alla stregua di un grande santuario di devozione popolare oppure del salone delle feste dell’inferno.

In realtà, all’apparente clima di laico e composto misticismo, silenzio ovattato dietro spessi e talora doppi infissi, drappi e grate, osservando con altra e diversa lente d’ingrandimento, si contrappongono sequenze infinite di lingue di fuoco, rappresentazione metaforica, appena celata, di invidie, giochi di potere e di poltrone, scalate verso il ponte di comando.

Premessa, tanto insistita, quanto, nella specifica circostanza, necessaria e inevitabile.

Venendo al corso concreto e al fresco epilogo delle cose, dall’origine allo scoppiettante itinerario dell’ex capo del Gruppo Unicredit, mette conto di ricordare, specie per i non prossimi e adusi al settore, che il personaggio, ventenne e neo diplomato, si trovò ad essere improvvisamente catapultato verso un impiego nel comparto creditizio, precisamente nel piccolo Banco Lariano, a seguito dell’innamoramento con una giovane comasca, figlia di un famoso industriale della seta, del concepimento, insieme, di un bimbo, del matrimonio.

Ciò, senza mettere in dubbio che il ragazzo disponesse in proprio di numeri al di sopra della media, che gli avrebbero consentito, in un modo o nell’altro, di emergere. Cosicché, senza soverchia gavetta, per il giovane Profumo si trattò dell’incipit, affiancato peraltro dall’impegno negli studi universitari sfociato in una laurea alla “Bocconi”, di una carriera sfolgorante e irrefrenabile, nell’ambito dell’anzidetto istituto di credito di provincia.

Seguì la migrazione verso la prestigiosa società di revisione McKinsey, tempio e culla di rampolli bravi e insieme ricchi e famosi, quindi il passaggio alla RAS e, infine, l’approdo alla corte del re Rondelli, banchiere d’annata, riconosciuto vate illustre del Credito Italiano, già Banca d’interesse nazionale.

All’interno di quest’ultimo colosso bancario, Profumo conquistò presto il top della responsabilità, il ruolo d’indiscusso capo azienda.

Eccelse glorie di formazione e professionali, dunque, ma, come talvolta può capitare, annacquate da qualche limite personale e/o caratteriale: secondo le diffuse opinioni, poca umiltà, illusione di cesarismo, tendenza a “suonare” da solo, sicumera di inattaccabilità da influssi e interferenze di qualsivoglia provenienza e, in fondo, accesa spinta alla visibilità, ad essere classificato il più bravo, il primo del reame.

E’ vero, lungo i vari sviluppi e le evoluzioni del Gruppo, comprese le aggregazioni di respiro internazionale, il banchiere in discorso non ha mancato di circondarsi di validi collaboratori, gerarchicamente collocati anche su livelli di elevatissimo piano, pur tuttavia, sembra che, alla fine, abbia sempre ecceduto nel decidere da sé, in qualche occasione, ancorché di rilievo strategico, senza neppure informare e coinvolgere gli altri vertici aziendali.

E’ stato un inciampo, uno scivolone pericoloso, il proclama, qualche anno fa, di voler prendere parte alle elezioni primarie dei Democratici, con connesso effetto reclamistico e d’influenza, un gesto, che qualcuno, di schieramento opposto, si è verosimilmente legato al dito.

Mancanza ancora più grave, non tenere esattamente presente che molti dei soci del Gruppo da lui guidato, non erano azionisti comuni, puri e semplici investitori, bensì colleghi banchieri e, per di più, con contorni, retroterra e collegamenti di movimenti partitici e politici.

Non v’è dubbio, oltre a quanto accennato prima, non sono passati inosservati i vari step ripresi dalle cronache di questi giorni: fredda accoglienza ai Tremonti bonds, ingresso di capitali freschi dagli Emirati Arabi e ultimamente, di dimensione particolarmente indicativa, dalla Libia (operazione che ha fatto storcere il naso alla Lega Nord e non solo), i non o meno brillanti risultati degli ultimi conti economici.

In mezzo a siffatto scenario, non è dato di misurare l’attendibilità e il realismo dell’appellativo “Mister arrogance” che sarebbe stato coniato addosso a Profumo dagli interlocutori e sodali tedeschi.

Alla fine, però, non deve essere stata una singola, precisa causa a dare luogo all’eclisse, alla spinta all’ingiù e all’affondamento di Profumo, ha chiaramente concorso un insieme complessivo di fatti ed eventi.

Se è stato un bene o un male la traumatica conclusione dell’era Profumo in seno al primo, e più internazionalizzato, gruppo creditizio italiano, è presto per dirlo.

L’auspicio è che, chi di dovere, sappia individuare e nominare in tempi rapidi un sostituto, preferibilmente di casa nostra, con doti e competenza professionali di pari se non maggiore valore e merito, un capo risoluto e determinato che governi in equipe e che, insieme, sappia essere, quand’occorre, umile e attento agli equilibri, sia all’interno, che al di fuori dell’azienda.




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