venerdì 11 novembre 2016 - Giovanni Greto

Toninho Horta, il ritorno in Giappone

Il chitarrista e compositore brasiliano, mineiro per la precisione, ossia nato nello stato del Minas Gerais, Toninho Horta (1948), è ritornato ad esibirsi in Giappone, dove è molto amato e dove c’è un nutrito numero di musicisti e appassionati della MPB, la musica popolare brasiliana, in particolare il Samba e la Bossa Nova.

Il tutto esaurito in due giorni a doppio set in un club di Tokyo che festeggiava i dieci anni di vita, ha indotto gli organizzatori ad aggiungere una terza data: ma prima di tutto questo, Toninho è stato invitato ad esibirsi in una saletta dell’Ambasciata brasiliana, che per la prima volta, ha rivelato l’ambasciatore nei saluti introduttivi e presentando l’artista, ha ospitato un concerto, anche se di breve durata.
Toninho arriva abbastanza prima dell’inizio, prova l’amplificazione e il microfono e sarebbe pronto a partire, ma c’è da aspettare l’ambasciatore. Il discorso è breve e il concerto inizia con “Moon River”, un brano molto amato da diversi jazzisti - un nome su tutti Bill Frisell -, composto da Henry Mancini e che è il tema principale della colonna sonora di “Colazione da Tiffany”. Toninho lo esegue con la consueta classe, il tocco morbido, con la sua chitarra giapponese, assai vissuta, marcata Fukuoka. Rotto il ghiaccio, il musicista si dice sempre molto contento di ritornare in Giappone, un Paese che egli sente come una seconda Patria, nel quale è arrivato al ventesimo show, felice di poter parlare finalmente portoghese, dato che ci sono alcuni brasiliani in sala, oltre ai lavoratori dell’ambasciata, per cui non mancano le traduzioni immediate nella lingua asiatica.
In trentotto minuti, Toninho esegue otto brani, praticamente attingendo da ogni genere del suo repertorio: il jazz, la Bossa Nova, i pezzi scritti per Milton Nascimento, i suoi due dischi “Durango Kid”. Si sente più che mai a suo agio, in casa di amici, quasi come in quel filmato visibile sul web “Um cafè em casa de Nelson Faria”. Gli piace suonare, chiacchierare, raccontare aneddoti. Appare più rilassato che in un teatro o in un grande auditorium. E. almeno per chi scrive, è preferibile ascoltarlo da solo, libero di arrangiarsi i pezzi come in quel momento gli passa per la testa. Mentre quando deve suonare con un musicista locale - è accaduto anche in Italia- quel calore, quella spontaneità, quella gioia di suonare senza limiti di tempo, sembrano non affiorare.
Dopo “Moon River”, ecco “Aqui oh”, uno dei suoi grandi successi, del 1969, scritto anche per Milton Nascimento, con il quale suonò per lungo tempo, fondamentale presenza in quella formazione di musicisti amici che portò all’incisione dei meravigliosi dischi “Club da Esquina”, un posto dove si incontravano a parlare, non solo di musica, e a tirar tardi la sera. Dopo l’esposizione cantata, un lungo assolo culmina con una serie di breaks che alternano voce e percussione con le nocche della mano sulla cassa armonica dello strumento. Una versione entusiasmante che non si vorrebbe finisse mai, anche perché, ma ancora non l’aveva chiesto, se fosse stata coinvolta la platea, il tempo si sarebbe dilatato ad libitum. Quello che un po’ si verifica con il terzo brano, “Travessia”, scritto per Milton come il precedente assieme a Fernando Brant, compositore poeta spentosi, lo ha ricordato in sala, lo scorso anno. Prima di iniziare, Toninho esemplifica la lunghezza degli intervalli che caratterizza le composizioni del Minas Gerais, e prende lo spunto dal pezzo appena eseguito, rispetto a quelle di Bahia (e canta in sintesi “Saudade da Bahia” del patriarca Dorival Caymmi) e di Rio ( canta “Corcovado” di Tom Jobim) che sono tutti molto corti e con poche variazioni. Inoltre, l’armonia delle canzoni del Minas Gerais si distingue perché risente molto dell’influenza spagnola e portoghese. Prima di iniziare, Toninho invita a cantare la platea, che riesce ad intonare un tema non facile e, appunto, molto variato. È una cosa che capita molto spesso in Brasile. Sembra proprio che il pubblico brasiliano sia più musicale, per esempio, di quello europeo.
Da “Durango Kid”, il chitarrista esegue “un 3/4, ma suonato in 2/4”, “Para a crianças”, contraddistinto da una vocalizzazione esclusivamente scat, con una tonalità crescente.


Immancabile, il grande successo “Manoel o audaz”, per il quale nel CD originale c’è la seconda voce di Lo Borges e un intenso assolo di Pat Metheny, per la gioia di Toninho che, da sempre suo ammiratore, instaurò anche una piacevole amicizia. Manoel l’intrepido, l’audace, che non si stanca mai di viaggiare, alla scoperta di nuove terre, nuove realtà, è anche il nome di un figlio di Toninho.
Di nuovo da “Durango Kid”, un omaggio ad una famosa chiesa di Ouro Preto, la località forse più conosciuta del Minas Gerais, “Igreja do Pilar”, un’interpretazione sofferta, accorata, emozionante, di difficile esecuzione.
Come omaggio alla Bossa Nova, Toninho sceglie “Once I loved/Amor em paz” di Tom Jobim, titolo di un album bellissimo, con una forte componente jazzistica, unico ricordo di un trio stellare: oltre al leader, ci sono Gary Peacock al contrabbasso e l’indimenticabile Billy Higgins alla batteria. Una versione ritmata che si evolve in un lungo assolo, con la partecipazione della platea, invitata ad inserire una parte del tema di “Agua de beber”. È la realizzazione di quell’ad libitum succitato. Il tempo sembra fermarsi e nel sillabare lo scat del tema ripetutamente, non ci si fermerebbe mai, tanto è stimolante cantare con un musicista così talentuoso.
Il brano finale è quello che dà il titolo ai due volumi di “Durango Kid”, usciti a distanza di tempo l’uno dall’altro. Il concerto termina qui. C’è una degustazione di vini, bibite e birra brasiliane, mentre Toninho, generosissimo, si lascia fotografare e dialoga amabilmente con tutti, oltre a firmare copertine di CD.

Spero di riascoltarlo in Italia, per una serie di concerti in solitudine, in spazi non giganteschi, con la certezza di un calore in parte simile a quello che da sempre gli tributa il pubblico brasiliano.

Foto: Facebook




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