lunedì 9 gennaio 2017 - Leandro Malatesta

Timbuktu, un film di Abderrahmane Sissako

La bellezza è l'unico rimedio alla barbarie del mondo in cui viviamo.

Il fatto che essa venga colpita ed annientata è sintomatico di quanto la bellezza sia osteggiata da chi vuole esercitare un controllo dispotico sugli altri, basti pensare a ciò che è stato fatto dalle milizie dell'ISIS al patrimonio archeologico di Palmira e non solo.

La bellezza è uno dei grandi valori (se non il più grande) da anteporre a chi si fa portatore di odio e violenza.

Parlando di questa contrapposizione sento l'importanza di parlare di un film come “Timbuktu”.

La pellicola del 2014 (candidata all'Oscar 2015 come miglior film straniero) diretta dal regista franco-maliano Abderrhamane Sissako è ambientata in un villaggio vicino alla città di Timbuktu, in Mali, la quale città è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO per le proprie meraviglie architettoniche.

In questo villaggio sopracitato vive in pace Kidane con la moglie Satima, la figlia Toya e il giovanissimo Issan che svolge il ruolo di guardiano della mandria di buoi appartenente alla famiglia di Kidane.

A Timbuktu nel frattempo la tranquillità è sconvolta dall'arrivo di estremisti islamici che operano per la sottomissione delle persone al regime di terrore. I Jihadisti istituiscono con la forza la Sharia controllando in tal modo le vite degli abitanti di Timbuktu.

Vengono così vietate la musica, le sigarette, le risate ed in generale ogni forma di divertimento compreso il gioco del calcio, infine le donne sono costrette all'obbligo di indossare il velo.

Queste ultime, fedeli alla loro natura, sono le uniche però capaci di mantenere la dignità, continuando a resistere reagendo in modo spiazzante per gli stessi terroristi.

Kidane e famiglia sono riusciti, temporaneamente, a sottrarsi al caos che regna in città ma tutto cambierà drasticamente quando l'uomo ucciderà in modo accidentale Amadou, pastore che aveva massacrato Gps il bue della mandria al quale il nucleo familiare era molto affezionato.

Diventerà così inevitabile per lui sottostare alla nuova legge coranica imposta dagli occupanti.

Sissako con questo film prende la città di Timbuktu e la rende epicentro della realtà contemporanea, trasformando pertanto una città di racconti mitologici e lontani nel tempo in una città di racconti urgenti.

La chiave lievemente grottesca della narrazione è la cifra stilistica del racconto che lo rende in questo modo sintesi perfetta di tutte le storie che convergono in questo centro dell'Africa ma che vanno inevitabilmente oltre.

Il regista maliano con grande sapienza prende e miscela gli ingredienti narrativi della storia come se fossero spezie (di cui è ricca quella terra) e li dosa con sapienza senza eccedere con parossismi di genere.

La fotografia agisce in modo attivo e lucido nel tradurre al meglio con le immagini la ruvidità di un racconto complesso.

La vastità dei luoghi resa con fotogrammi su campo largo si trova anteposta alle inquadrature strette sugli “uomini in nero” tanto meschini quanto le imposizioni di cui si fanno portatori.

Su tutte la scena che riesce di più a raccontare la poetica del film è quella in cui viene mostrata una partita di calcio disputata senza l'uso della palla (vietato dai jihadisti).

Sissakho parla di molte cose in questo film, senza tralasciare la deriva fondamentalista delle religioni ma la propria intenzione non è di puntare il dito contro l'Islam; anzi va sottolineato che il percorso scelto è proprio quello di voler recuperare i valori di comunione e di speranza di cui ogni religione dovrebbe farsi portatrice recuperandoli nella propria profondità; proprio in questo senso è emblematico il frammento in cui l'Imam locale erudisce il giovane jihadista sui veri precetti e valori fondanti contenuti nel Corano.

Le radicalizzazioni sono le derive dalle quali fuggire mentre condivisione, frattellanza, tolleranza, integrazione sono le fondamenta sulle quali costruire i ponti del dialogo.

“Timbuktu” è un film prezioso da recuperare, vedere e rivedere perché segna ed insegna con misura e lucidità cosa siano la cultura, la dignità di un popolo e di come sia fondamentale la loro difesa perché la perdita di questi elementi equivale alla fine di ogni speranza.

 



1 réactions


  • Dana (---.---.---.23) 1 febbraio 2017 19:40

    Istoriyafilma come radicali sostituirà gradualmente la tradizione e timorato di Dio persone sulla schiavitù primitiva. La storia del film non ha fine formale - proprio come negli ultimi decenni di storia del mondo. Un altro grande film Sissako è una "Aspettando La Felicità" ( https://www.filmstreaming.zone/4644... ). Guardate.


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