lunedì 3 aprile 2017 - Clash City Workers

Taranto | La repressione si abbatte contro lavoratori e SLAI Cobas per il Sindacato di Classe

È da una settimana che ogni giorno ci sediamo e prendiamo carta e penna per provare a raccontare quello che sta succedendo a Taranto. Ma ci è impossibile perché i fatti si susseguono ad una velocità inconsulta e inconsueta.

 Il 26 marzo ci arriva la notizia della condanna a più di due mesi per la coordinatrice dello SLAI Cobas per il Sindacato di classe, e per altri lavoratori e lavoratrici della Pasquinelli, rei di aver portato avanti, nel 2011, una lotta contro il Comune di Taranto e l'Amiu, l'azienda preposta allo smaltimento dei rifiuti. I lavoratori e lo SLAI Cobas – SC avevano denunciato l'utilizzo di fondi pubblici nella distribuzione di appalti alle ditte private. Accuse che, quanto meno in parte, sembravano trovare conferma nel rapporto degli ispettori del Ministero dell'Economia che aveva rilevato alcune irregolarità nel sistema delle ditte partecipate del Comune di Taranto.
Stavamo per raccontare quest'ulteriore episodio in cui il sistema giudiziario rivolge lo sguardo verso lavoratori e sindacati in lotta anziché gettarlo su chi, al riparo di palazzi istituzionali, commette reati che vanno a colpire l'intera comunità, quando ci giunge un'altra notizia. Il 28 marzo, infatti, riceviamo un messaggio con cui ci viene comunicato che la coordinatrice dello SLAI Cobas – SC è stata condannata ad un mese di carcere, con esecuzione sospesa, per oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis del Codice Penale).


Ma le cattive notizie non si fermano qui. L'indomani, 29 marzo, apprendiamo che la Digos stava notificando a 15 persone l'avviso di conclusione delle indagini per la contestazione a Renzi, in visità nella città pugliese, che si era tenuta il 29 luglio 2016. Tra i 15 destinatari dei provvedimenti repressivi ancora una volta attivisti e dirigenti dello SLAI Cobas – SC, militanti dei movimenti ambientalisti cittadini e un operaio dell'ILVA, ben conosciuto per essere anche uno dei principali volti del Comitato Liberi e Pensanti. Le accuse, tra le altre, sono di manifestazione non autorizzata e di resistenza a pubblico ufficiale, con tanto di aggravanti (in base agli art. 337 e 339 del c.p.).
Neanche 24 ore dopo un altro provvedimento. La vittima è sempre una lavoratrice dello SLAI Cobas – SC, condannata a più di 5 mesi per aver interrotto il 22 maggio 2014, insieme ad una delegazione di Disoccupati Organizzati, una seduta del consiglio comunale, cui erano stati invitati. Il motivo della protesta era stata l'ennesima presa in giro istituzionale: dopo aver infatti promesso che sarebbe stata messa al centro della discussione l'emergenza lavoro, il Consiglio si era rimangiato la parola data, effettuando una brusca inversione ad U, addirittura dichiarando che ai disoccupati non era dovuta alcuna risposta. Per sgomberare il consiglio comunale dai lavoratori che si erano semplicemente seduti per terra era stata chiamata la polizia municipale, che aveva portato via con la forza i disoccupati presenti. La condanna è arrivata per interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.), resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), lesioni (art. 582 c.p.), anche in questo caso con aggravanti.
E questa spirale repressiva solo ora pare trovare quanto meno una tregua. Gli episodi sono però così numerosi e così ravvicinati da poter difficilmente essere derubricati alla voce “coincidenze”. Martedì 4 aprile lo SLAI Cobas – SC terrà una conferenza stampa proprio per provare a far luce sulla strategia di cui sono protagonisti involontari. In ogni caso, ciò che emerge già dall'analisi delle giornate di lotta e dei provvedimenti repressivi è una certa insofferenza del potere costituito nei confronti di lavoratori e sindacati che non rinunciano alla lotta per rivendicare il diritto al lavoro, alla sicurezza, ad un ambiente sano, alla libera espressione del proprio dissenso.
Le condanne e l'avviso di chiusura indagini, se colpiscono senza dubbio i diretti destinatari, sono in realtà un colpo dato a tutti i lavoratori che organizzano presidi, scioperi, manifestazioni per tutelare il posto di lavoro o per rivendicare la creazione di nuovi impieghi, ecc.. È un colpo a tutte e tutti e non si può non sentirlo anche sulla propria pelle, perché qualunque provvedimento che restringa la libertà e l'agibilità di chi non abbassa la testa ha anche l'obiettivo di “educare” chi sta in basso a continuare a tenerla bassa quella testa, a non osare guardare negli occhi la controparte, a non sognarsi nemmeno di poter cambiare le cose, conquistando condizioni migliori per sé e per chi ci sta intorno.




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