giovedì 16 febbraio 2017 - Elena Ferro

Talk show e politica, un connubio da evitare?

"In realtà c'è un crollo della comunicazione fra le case della politica e le case delle persone" -Z. Bauman-

Da un po' di tempo a questa parte sembra proprio che la politica abbia sensibilmente monopolizzato l'attenzione delle persone, grazie anche alla diffusione dei talk show.

Programmi di intrattenimento per eccellenza, oggi i talk show sostituiscono quel dialogo a tu per tu che ha fatto la fortuna (e la sfortuna) di molti protagonisti della politica e che oggi, per mille ragioni, sembra abbandonato.

Ospiti che ricoprono importanti incarichi politici e istituzionali nel Paese si alternano in programmi contenitore spesso uguali a se stessi e con le medesime formule.

Quando si dice Fin che la barca a va, lasciala andare, in tempi sanremesi mi pare la citazione più azzeccata :)

In questo articolo, suddiviso in due parti, non mi interessa prendere in considerazione i programmi di informazione televisiva. Meno male che ci sono, anche io, dopo molto tempo, finalmente sono riuscita a ri-affezionarmi ad uno di qualità come Gazebo.

Piuttosto mi interessa capire il perché negli ultimi tempi una grande quantità di informazioni e discussioni politiche di rilievo passino attraverso strumenti come i famigerati talk show. Ce ne sono dappertutto, tanto che sembrano aver infestato ogni angolo del giardino televisivo, manco fossero gramigna :)

Allergica ai talk

La reazione che ormai mi provocano i talk show televisivi è duplice: o cerco disperatamente il telecomando e resto in trepidante attesa di una qualche, seppur minima, novità, che puntualmente non arriva, oppure, travolta dalle solite urla e parole di plastica, premo il pulsante della selezione dei programmi per passare il più rapidamente possibile a quello successivo.

Se capita che qualcuno accanto a me dimostri un qualche vago interesse nel programma talk, sprofondo nella poltrona nel tentativo di captare quell'onda impercettibile di interesse che altri evidentemente devono aver intravista.

Se non funziona e il telecomando passa ad altri, allora mi immergo nelle mie storie o nei miei libri. Vi riconoscete?

Eppure un tempo il talk show, che una volta si chiamava tribuna politica e seguiva regole ferree e rigorosamente applicate dal giornalista di turno, è stato uno strumento utile alla conoscenza del dibattito politico. Oggi la maggior parte di essi sono diventati al pari del prezzemolo. E il prezzemolo si sa va somministrato con cautela e morigerazione.

Ma qual'è il problema, direte voi?

C'è che la quantità sta soppiantando la qualità e quel che è peggio, che diventa un alibi per dire che l'informazione e l'approfondimento si fa, mentre in realtà spesso si tratta solo di notizie rimbalzate da una sponda all'altra e che mano a mano o si sgonfiano o si gonfiano a seconda della direzione e della forza impressa.

Perciò, visto le urla e gli orrori lessicali cui siamo sottoposti quando usufruiamo di questo servizio, una domanda sorge spontanea:

"Che diavolo ci vanno a fare i politici nei talk show?"

E soprattutto:

"A noi cittadini che ce ne viene?"

Perdonate il linguaggio molto diretto ma la sostanza è proprio questa, tanto vale dirlo apertamente. E' solo una questione di ascolti o c'è dell'altro?

Ricordate il vecchio adagio "male o bene purché parlino di me"?

Certo funziona ancora, anche se andando avanti così mi sa tanto che la politica, già spettacolarizzata a dismisura, rischi di diventare ridicola e poco affidabile.

E la fiducia in politica è tutto

Perciò se qualche protagonista di talk show politici dovesse per caso incappare in questo articolo sappia che ci sono limiti e misure che occorre tenere ben presenti, perché la fiducia si conquista con il lavoro quotidiano, la costanza e l'affidabilità.

E in televisione troppo spesso la verifica sulle proprie affermazioni non esiste, lo dimostra il recente dibattito che alcuni analisti e giornalisti televisivi stanno conducendo, immagino con qualche difficoltà.

Dunque la televisione è il mezzo per costruire fiducia?

In attesa di conoscere le vostre opinioni in proposito (e potete utilizzare come sempre i commenti più sotto) vi dico la mia. Ma prima, cos'è la fiducia?

Se immaginiamo la fiducia come la capacità di conquistare l'attenzione e le simpatie del pubblico nell'immediato, allora un buon eloquio, intercalato dalla capacità di dosare polemica e aggressività con pacatezza e formalità è sufficiente. Se è condito da un buon sorriso, anche meglio.

Qualunque cosa si sostenga, anche il contrario di ciò che si pratica nella quotidianità, conquistare una fiducia di questo tipo, che definirei fiducia a scadenza, è abbastanza rapido, ma forse non duraturo. Il prossimo oratore che se la caverà meglio e più incisivamente del precedente avrà la meglio, e così via.

Ma c'è un'altro tipo di fiducia ed è una fiducia a lungo termine, capace di radicarsi nell'immaginario delle persone perché chi la suscita è in grado non solo di affabulare ma anche di trasmettere le proprie idee e la loro attendibilità e autenticità.

Nel linguaggio della comunicazione verbale e non verbale, ciò significa anche dimostrare con il corpo, il tono di voce, gli occhi e tutto il resto che si crede realmente in ciò che si sta sostenendo e che si è pronti a difenderlo e a rinunciare anche a qualcosa per ottenerlo.

Se c'è questa connessione allora c'è fiducia. Il mezzo televisivo può realizzarla, ma richiede tempo e continuità, costanza e pazienza. E a volte una buona dose di sopportazione.

D'altra parte è questo l'elemento che sta alla base di un rapporto tra rappresentante e rappresentato che sfugge ormai alla quotidianità del vivere, per la lontananza con cui vengono percepiti i nostri rappresentanti politici e istituzionali.

E' possibile recuperarlo con i mezzi di comunicazione di massa, ma è più difficile stabilire una connessione emotiva e ideale di lunga durata. Bisogna tenerne conto.

Per questo, se fossi invitata in tv, penserei a quale modello voglio corrispondere: una sorta di strada stretta e strada corta, bisogna imbroccare quella giusta e sostenibile, nel tempo e nei luoghi. Intendo sempre, non solo durante la campagna elettorale.

Perché tanti talk show

Semplicemente perché rappresentano piazze virtuali, perché quelle fisiche non le riempiamo più. Una dura, durissima realtà.

Non sono una specialista di televisione, tuttavia credo che sia sotto gli occhi di tutti lo spaventoso sovradimensionamento dell'offerta televisiva di dibattiti, approfondimenti giornalieri in cui, ed è questa la caratteristica che ci interessa, sono presenti esponenti politici dei vari partiti e, più raramente, i loro leader. E sapete perché c'è un via vai continuo?

Perché oggi come oggi tutto passa dalla televisione e dai media in generale, altrimenti non esiste

Anche se questa litania, con la quale ci hanno tormentato fino ad oggi, sta segnando il passo. L'inflazione di immagini e contenuti simili in ogni settore porta all'indifferenza e questo a mio avviso è il rischio più grande e più concreto che abbiamo davanti.

E in effetti fateci caso: non vanno in onda solo in determinate fasce orarie (come io, povera ingenua, credevo). Anzi. Quasi tutte le reti ammiraglie trasmettono a qualunque ora del giorno e della notte programmi di approfondimento e dibattito politico, che possiamo catalogare tra ciò che ho, forse impropriamente, definito talk show politico.

Ma la cosa più interessante è che questi programmi trasmettono informazioni omogeneizzate, riproducendo quello che oggi fa chic chiamare mainstream, che altro non è se non la notizia del giorno, trita e ritrita, iper commentata, che è interesse di tutti ulteriormente indagare, visto che di ciò che accade nelle nostre città o tra i quartieri di Gerusalemme è meglio non occuparsene. Era solo così, tanto per fare un esempio.

Ma se non sono forieri di novità, se non di novità dentro una notizia già nota e stra nota, dunque non novità in assoluto, allora perché tanto interesse per i talk show?

  1. Sono una buona passerella politica per i politici a turnazione
  2. Sono utili per depistare lì'opinione pubblica da altre questioni anche piuttosto scomode
  3. Sono un buon modo di riempire i palinsesti
  4. Sono molto utili a tenere relazioni con i decisori politici
  5. ... aggiungete voi

Altro che vecchie tribune elettorali, oggi c'è la par condicio, ma in realtà non se ne sente quasi più parlare. Basta un'ospitata in più e via, abbiamo fatto equilibrio.

 

Talk show politici: perché sì

Sostenere che siamo nella società della comunicazione a mio avviso non basta più. Mi pare più adeguato sostenere che oggi siamo decisamente immersi nella comunicazione delle immagini e dei 140 caratteri.

Se Facebook, padre putativo di tutti i social network, sta segnando il passo in favore di Instagram, Snapchat o anche solo Twitter, è proprio perché questi hanno un modo di comunicare estremamente semplificato e immediato.

A mio avviso con le immagini è più semplice per chiunque ottenere il risultato di illustrare un paesaggio, uno stato d'animo, qualcosa che si sta facendo e di cui si va in qualche modo orgogliosi. La scrittura può essere per taluni più complessa e per chiunque, davvero chiunque, scrivere in 140 caratteri è davvero una grande sfida, a volte impraticabile.

Che ci piaccia o no oggi per comunicare occorre essere immediati, rapidi, accattivanti e sintetici. Caratteristiche che pochissimi in politica (leggi sindacato, associazioni di interesse collettivo ecc ecc) hanno.

Se tutto passa sui social (quanti di voi acquistano ancora i giornali o si procurano le informazioni sul web eh, dite la verità ;) ) comprendiamo bene quanto diventi difficile farsi ascoltare.

Ma c'è ancora una fascia abbastanza grande di popolazione che si affida alla televisione per formarsi un'opinione e ovviamente i talk si rivolgono ad essa. Una fascia a mio avviso sempre più esigua ma tuttavia presente, una sorta di zoccolo duro sul quale puntare e ricamarci pure un po' sopra.

Con questa fascia di popolazione, abbandonate le piazze, i circoli ovvero le occasioni di incontrare i protagonisti dal vivo, un servizio pubblico degno di tale definizione sarebbe necessario.

Dunque ecco il primo sì. Il talk informa, racconta, aggiorna, veicola. In una parola tiene legato alla politica un pezzo di paese.

La televisione poi ha il grande pregio di mostrare un'immagine per chi è in grado di gestirla bene. Per immagine non intendo patinati volti rifatti o labbra a mò di cotechino, ma persone pulite nel senso più rotondo del termine, che possano trasmettere quella fiducia di cui parlavamo prima.

Non mi stancherò mai di ripeterlo; la prima impressione conta, è come l'anatra di Konrad Lorenz. L'imprinting è il processo più forte di identificazione che permette a chi ascolta di essere quasi rapito da un certo personaggio e istintivamente affidarsi ad esso.

Naturalmente non c'è solo l'aspetto estetico ma il tono e l'uso della voce, i gesti, la postura. Tutte cose che conosciamo (e se ancora non ne sapete nulla date un'occhiata a questo link). Nel prossimo post approfondiremo alcuni elementi che apparentemente sembrano collocare il talk show politico tra i mai più senza della televisione:

  • Informare
  • Far conoscere i protagonisti della scena politica
  • Far conoscere le loro idee
  • approfondirle
  • indicare nuovi filoni di discussione, alla ricerca delle zone grigie o scure che nessuno ha visto
  • far scoprire qualcosa che le persone non hanno ancora conosciuto

E insieme a questi punti ci addentreremo nella comprensione di ciò che passa attraverso il messaggio televisivo e se questo possa fare del bene o meno alla politica.

In fondo, dobbiamo rispondere alla domanda posta dal titolo di questo post ;)

Le 6 piste da percorrere per rispondere alla vessata questio

  1. Prima pista, esserci: ho l'impressione che la corsa al presenzialismo in tivvù stia diventando una sorta di corsa per la vita. Se non ci vai non esisti. E non esistere per uno che i voti li deve prendere è davvero un bel problema. Ma allora mi domando: "Qual'è il prezzo di scambio?", ovvero cosa si guadagna da una comparsata in tivvù è più di quanto si perderebbe standone fuori?
  2. Seconda pista, i contenuti: oggi i talk show sono in grado di contribuire alla comprensione delle sfide che il paese (ma potremmo dire il comune, la regione, ecc ecc) ha di fronte? I contenuti che veicolano sono di qualità e che cos'è la qualità?
  3. Terza pista: le emergenze. In quale misura dovrebbero trattare di temi al centro delle esigenze e dei bisogni della gente o di temi che lo diventeranno? Devono stimolare e anticipare o rincorrere?
  4. Quarta pista: la selezione: Chi va in televisione e come vengono selezionati gli ospiti? Sono credibili? Come si costruisce fiducia?
  5. Quinta pista: assumersi le proprie responsabilità: se la tivvù sostituisce le piazze e la stretta di mano, chi si presenta è colui che compie le scelte o colui che le difende?
  6. E infine, la sesta pista: inflazione. Ovvero come l'eccesso di offerta allontani il consumatore/utente. Dura lex sed lex. del mercato, aggiungo, mica bruscolini.

Vi chiedete perché dedichi tutta questa attenzione al tema?

Perché resto convinta che in giro ci sia ancora qualcuno che ha voglia davvero di impegnarsi a rappresentare gli altri.

Scrivo queste riflessioni, e chissà, magari arriveranno a destinazione.

E se non accadesse, mi auguro almeno che possano essere utili tracce di riflessioni per ciascuno di noi. Siamo ancora cittadini, non dimentichiamolo.


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