lunedì 24 ottobre 2016 - soloparolesparse

Sully: Eastwood, Hanks e l’America

Il 15 gennaio 2009, lo ricorderete, un volo di linea con 155 persone a bordo decollò da LaGuardia di New York, impattò con uno storno immenso di uccelli, distrusse entrambi i motori e ammarò nel fiume Hudson, nel bel mezzo della città.

Sully è il film che racconta quella vicenda. Mi correggo: Clint Eastwood non racconta nello specifico la vicenda ma l’inchiesta che seguì e che portò all’accusa nei confronti del capitano Sullerberg, che – diceva l’accusa – avrebbe potuto rientrare al La Guardia e non rischiare l’ammaraggio e la vita dei passeggeri.

Il film è tutto concentrato sulla doppia ipotesi: ha fatto bene Sully a tentare l’ammaraggio e quindi ha salvato 155 vite o avrebbe dovuto rientrare all’aeroporto e quindi ha messo a rischio 155 vite?

Eastwood è un maestro assoluto e ricostruisce la vicenda partendo dal giorno successivo l’ammaraggio e riuscendo a creare quel clima di tensione e confusione che sicuramente ha aleggiato nella mente del capitano in quelle ore. Ho fatto bene? Avrei potuto fare diversamente? Sono un eroe come dicono tanti? Sono un folle? Ho solo fatto il mio lavoro?


Sully è Tom Hanks… e ho detto tutto!

Il film è teso, coinvolgente, pieno. Le ricostruzioni non ho idea se siano corrette (tendo a credere di si, visto l’autore), ma sono senza dubbio forti e creano un’empatia notevole. L’inchiesta, i dubbi, le simulazioni, tutto concorre a creare un clima importante e coinvolgente per lo spettatore.

Perché nel titolo ho nominato l’America? Perché Hanks e Eastwood sono due simboli USA e perché è innegabile che l’aspetto eroico della vicenda risulti in primo piano, sia sopra ogni cosa e si trascini fino al trionfo finale dell’eroe che salva tutti senza macchia, aiutato “dalla gente di New York”… anche se temo che questa volta sia andata più o meno davvero così.




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