lunedì 5 settembre 2016 - Francesco Grano

"Stranger Things" – La serie fantahorror figlia degli anni Ottanta

​Stati Uniti, 1983: nella immaginaria cittadina di Hawkins scompare Will Byers, un ragazzino di dodici anni che fa parte di un gruppo di amici composto da Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo) e Lucas (Caleb McLaughlin). 

Contemporaneamente alla sparizione, in un centro di ricerca situato ai confini della città, uno strano incidente provoca la morte di un ricercatore per mano di una non ben identificata creatura. Mentre le autorità, capeggiate dal capo della polizia Jim Hopper (David Harbour), si mettono subito alla ricerca di Will, i tre amici di quest’ultimo si imbattono in una strana e misteriosa ragazzina (Millie Bobby Brown), con i capelli rasati e con il numero 011 tatuato su un avambraccio. Ben presto quella che sembra una semplice scomparsa, si rivela essere qualcosa che va ben oltre l’immaginazione, e che vede coinvolto il governo e lo stesso laboratorio di ricerca.

Ci sono stagioni estive che rimangono nella memoria per gli incassi record dei blockbuster cinematografici. Eppure, l’estate del 2016, di sicuro rimarrà nella memoria per l’enorme successo non di un film ma, bensì, di una inaspettata serie prodotta in esclusiva per Netflix: stiamo parlando di Stranger Things (id., 2016 – ). Creata dai fratelli Matt e Ross Duffer, conosciuti meglio come i The Duffer Brothers, Stranger Things, fin dalle battute iniziali, presenta senza fronzoli il suo biglietto da visita: serie fantahorror figlia degli anni Ottanta ambientata proprio agli inizi dei favolosi Eighties, l’opera dei Duffer Brothers è costruita sui modelli cinematografici, letterari e della cultura Pop di quegli anni, senza dimenticare la linfa vitale da cui Stranger Things attinge a piene mani, ovvero quel citazionismo (diretto e indiretto) a volte sì maniacale ma mai ridondante o frivolo.

Il serial non nasconde, anzi, mostra alla perfezione e senza filtri tutte le opere filmiche che hanno influenzato la sua stessa creazione: a partire dai cult movie degli anni ’80 come E.T. l’extra-terrestre (E.T. The extra-terrestrial, 1982) di Steven Spielberg, Nightmare – Dal profondo della notte (A Nightmare on Elm Street, 1984) di Wes Craven, passando per I Goonies (The Goonies, 1985) di Richard Donner, Stand by Me – Ricordo di un’estate (Stand by Me, 1986) di Rob Reiner e per il più recente Super 8 (id., 2011) di J.J. Abrams, per poi arrivare al citazionismo (mediante locandine, sequenze viste in tv, location e dialoghi) di terrorizzanti lungometraggi come Alien (id., 1979) di Ridley Scott e La cosa (The Thing, 1982) di John Carpenter. Non mancano neanche i chiari riferimenti alle opere letterarie del re del brivido Stephen King come Carrie, La zona morta, L’incendiaria e il suo capolavoro It.

Quello che più colpisce di Stranger Things non è tanto il tessuto talmente intriso di citazionismo dal quale la serie è stata plasmata ma – senza ombra di dubbio – la capacità e la bravura dei fratelli Duffer di riuscire a ricreare alla perfezione (nonostante qualche piccolo anacronismo) quelle ambientazioni anni Ottanta in cui, mentre le scene scorrono davanti agli occhi, sembra davvero di rivivere e respirare l’aria di quei tempi, senza scadere nella sensazione di déjà vu. Altri tre punti a favore per questa serie, li segnano la scelta di coniugare i generi dell’avventura con quelli della sci-fi e dell’horror, senza tuttavia ricorrere all’effettistica splatter o gore ma piuttosto a quella capacità di suscitare tensione e paura mediante il vedo non vedo, attraverso quel gioco di lovecraftiana memoria di suggerire l’orrore invece che mostrarlo direttamente. Non di meno, un ruolo fondamentale è giocato dal contesto scientifico e storico calato nel mondo fantastico di Stranger Things: come il progetto della Cia (realmente esistito) MKULTRA sul controllo della mente e le paure della guerra fredda e del clima di paranoia da essa derivato, che sfocia nell’angoscia e nel timore di un nemico invisibile proveniente da chissà dove. Infine l’approfondimento del background psicologico dei personaggi in scena, in particolar modo il poliziotto Hopper (molto ben interpretato da David Harbour, visto in pellicole come Revolutionary Road e End of Watch – Tolleranza zero), vittima dell’alcol e della farmaco dipendenza dopo il grave lutto che lo ha colpito in passato ma che, nonostante le difficoltà, si rimette in gioco per riportare a casa il piccolo Will. Non di meno sono le caratterizzazioni del trio di amici Mike, Dustin e Lucas (ognuno con le sue debolezze) i quali non rinunciano a rischiare la propria incolumità per ritrovare l’amico scomparso, e la ragazzina “Undici” dai misteriosi poteri telecinetici, perno portante dell’intera storia e della quale si approfondisce il passato mediante l’ausilio di vari flashback, senza togliere un plauso di merito all’interpretazione di Winona Rider, icona degli anni ’80 e ’90, che qui interpreta la madre di Will. La serie prodotta per Netflix mette in primo piano temi chiave delle opere a cui si è ispirata, come l’amicizia, l’unione, la lealtà, il coraggio (Stand by Me docet), dimostrando come a volte siano gli adulti ad aver più paura nei confronti dell’ignoto e del mistero, mentre i ragazzini abbandonano i timori e, con essi, anche l’età dell’innocenza, diventando per l’occasione degli “adulti” con un cuore da leone.

Stranger Things è una geniale operazione seriale, mirata a trasmettere quell’effetto nostalgia per tutti gli amanti degli anni Ottanta e per tutti quelli che li hanno vissuti (quando ancora si trascorrevano ore ed ore intorno ad un tavolo a giocare a Dungeons & Dragons e, invece di sprecare ore tra post e frivolezze sui social network, si andava fuori a pedalare oppure ad avventurarsi nei boschi) senza tuttavia ridursi ad una mera trovata di marketing, magari mirata a riproporre qualcosa di stantio e di già visto. Se la serie dei Duffer Brothers ha il merito di non essere un semplice e banale lavoro sugli Eighties, ciò è dovuto alla regia decisamente dal taglio cinematografico, dalla colonna sonora che spazia tra brani cult dell’epoca e musica elettronica, e dal continuum narrativo che incastra al millimetro gli otto episodi che compongono Stranger Things, dando allo spettatore la sensazione di vedere un lungo film di quasi 7 ore (un po’ come nel caso della prima stagione di True Detective).

Senza dubbio alcuno, Stranger Things è il degno erede dei vari E.T. L’extra-terrestre, Stand by Me – Ricordo di un’estate e Super 8, un’opera in otto episodi, un must to see capace di catturare lo spettatore, di ipnotizzarlo fino all’incredibile finale capace – allo stesso tempo – di far venire i brividi e commuovere.




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