venerdì 20 gennaio 2017 - Aldo Giannuli

Sinistra e globalizzazione?

Il mutamento prodotto dalla globalizzazione è riconosciuto formalmente ma, in effetti, non compreso. Questo riguarda in particolare la sinistra che, agli inizi degli anni Novanta, si è divisa fra l’ala che ha accettato l’egemonia culturale neo liberista, rinunciando ad ogni alterità politica rispetto alla destra, ed anche al più blando riformismo, e quella identitaria che ha mantenuto la sua opposizione al sistema capitalistico, ma senza alcun tentativo di capire le novità dell’ipercapitalismo finanziario.

Nella maggior parte dei casi, le formazioni della sinistra cosiddetta radicale (Linke, Front de Gauche, Rifondazione Comunista, Izquierda Unida ecc.) si sono limitate a ripetere stancamente gli slogan di sempre (dalla riduzione dell’orario di lavoro alla richiesta di una maggiore giustizia fiscale, alla difesa degli istituti del welfare, un internazionalismo privo di spessore analitico, il rifiuto della guerra ecc.) ma senza mai articolare il discorso nel quadro delle condizioni presenti.

La conferma è venuta dall’assenza di una linea credibile di fronte alla crisi, rispetto alla quale si sono proposte analisi fuori del tempo come quella da sovra produzione, ignorando del tutto la radice iperfinanziaria del processo in atto.

Ed infatti, la crisi ha gonfiato le vele delle nuove formazioni populiste, non quelle della sinistra che non ha avuto alcuna proposta da fare e, nell’unica occasione in cui ha beneficiato del crollo della sinistra tradizionale, in Grecia, Siriza si è esibita in una penosa resa ai diktat della tecnocrazia europea.

In verità neppure i populisti hanno alcuna credibile proposta per uscire dalla crisi o una qualsiasi analisi del nuovo potere finanziario, ma, per spingerle, almeno per ora, basta cavalcare la reazione livida verso la globalizzazione ed in particolare contro l’immigrazione accompagnate da qualche generica critica verso i poteri finanziari.

La sinistra è oggi marginale perché non è più capace di egemonia culturale e non è capace di egemonia perché da troppo tempo non produce cultura politica ed esprime attraverso un ceto politico meno che mediocre.

Da quanto tempo la cosiddetta “sinistra radicale” non produce una rivista teorica degna di essere presa in considerazione? Salvo il Manifesto che ancora produce pagine di qualche valore teorico e di inchiesta, da quanto tempo la cd “sinistra radicale” non produce nemmeno una qualche pubblicazione con articoli di qualche valore anche solo informativo? Da quanto tempo non assistiamo ad un qualche dibattito strategico di ampio respiro come quelli che la sinistra seppe fare fra gli anni cinquanta ed i settanta? Alzi la mano chi si ricordi di un convegno minimamente decente dagli anni ottanta ad oggi. Ed anche sul web i siti della sinistra radicale non superano il livello di un bollettino parrocchiale.

Mi si dirà che riviste teoriche, convegno e dibattiti non se ne vedono neppure a destra o fra i 5 stelle. Verissimo, ma si tratta di due cose molto diverse fra loro e molto diverse dalla sinistra.

La destra non ha bisogno di riviste e convegni di partito perché ha altri canali per definire i suoi orizzonti strategici come l’Aspen, la Trilateral, il Bilderberg, la Heritage Foundation o alcune istituzioni universitarie americane (e, peraltro, anche queste culture politiche hanno il fiato grosso davanti alla crisi apertasi nel 2008). Quanto ai 5 stelle, per ora c’è solo il contributo personale di Gianroberto Casaleggio che si sostanzia in una riflessione non priva di interesse sul nesso democrazia diretta-rete web, con incursioni nel campo della futurologia, ma si tratta di una riflessione sfortunatamente interrotta dalla morte prematura del suo autore che presenta aspetti disorganici ed insieme carattere unidimensionale, per quel che riguarda il fenomeno della rete.

Certamente resta comunque un pensiero meritevole di attenzione, ma in un deserto di discussione teorica che, anzi, è vista con diffidenza se non ostilità perché genericamente etichettata come “ideologia”. Per ora i 5 stelle si giovano della crisi e degli errori delle classi dominanti (oltre che delle intuizioni di Casaleggio sul valore comunicativo della rete) e mietono successi elettorali senza precedenti, ma ben presto scopriranno che senza quelle discussioni “ideologiche” che definiscano una identità politica complessiva una classe dirigente nuova non nasce. Brutto affare per chi si candidi alla guida di un paese come l’Italia.

Dunque, la ripresa di un livello approfondito di elaborazione politica al livello dei tempi, che non ignori il potenziale della rete, ma non per questo smetta strumenti più tradizionali come le riviste, i libri, i convegni di studio ecc, senza dei quali quella elaborazione non si fa.

Quanto ai contenuti, sarebbe ora che la sinistra andasse oltre gli slogan e cercasse realmente di capire il mondo della globalizzazione che richiede, in primo luogo, un approccio al pensiero della complessità che non è una invenzione del neo liberismo ma un approccio metodologico ormai necessario.




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