giovedì 23 febbraio 2017 - Phastidio

Scissione Pd, le interviste di Emiliano e Orfini | All’alba fallirò

Una rapida e svagata rassegna stampa della nostra logorroica dichiarazia, che prosegue imperterrita a sparare idiozie in quella che appare come una straordinaria intossicazione di massa, nella sfida mortale tra l’Italia e le sue classi digerenti, espressione di un elettorato non meno allucinato e dedito all’autoinganno, e la realtà. Il gradino più alto del podio oggi va inequivocabilmente al governatore pugliese, l’uomo che contenderà a Matteo Renzi la guida del Pd.

In questa sublime intervista ad Aldo Cazzullo c’è tutta l’essenza di Michele Emiliano: la retorica tonitruante o più propriamente tromboneggiante con meridionalismo piagnone d’ordinanza, i continui richiami al suo essere “magistrato di frontiera”, circostanza che richiama il non lieve problema dell’aspettativa di Emiliano, e qualche inquietudine sull’idea del suo rientro nei ruoli al termine della sua carriera politica. Emiliano è un capopolo che sogna da sempre di fare scouting presso l’elettorato grillino, quando i pentastellati si squaglieranno al calore della realtà del governo, non necessariamente nazionale. Per certi aspetti, la retorica del governatore pugliese ricorda quella del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Sono dei terzomondisti per vocazione, come Grillo hanno molta confusione in testa. Se De Magistris anni addietro sospirava sulle gesta dell’Argentina contro il FMI, Grillo rilassa gioiosamente gli sfinteri per il paese antisovrano per eccellenza, l’Ecuador. Emiliano sta ancora più sull’attualità, e consegna alla storia questo capolavoro:

 

«Di Trump non condivido nulla, tranne una cosa: si governa per il popolo, per i cittadini. Non per gli stakeholder, per le lobby. Renzi ha dato troppa retta alle lobby, come sulla storia delle trivelle»

Detto dell’uomo che ha messo Goldman Sachs alla guida dell’esecutivo degli Stati Uniti e il capo di Exxon Mobil alla guida della diplomazia e che ha firmato lo sblocco della pipeline Keystone XL, oltre ad una nei due Dakota, ed ha avviato l’abbattimento delle revisioni ambientali sui grandi progetti infrastrutturali energetici. L’uomo che ha eviscerato la Environmental Protection Agency. Evidentemente, Emiliano sa qualcosa che noi non sappiamo. Da questa crassa ignoranza discernitiva, che pare essere requisito imprescindibile per chiunque tenti di fare politica in questo disgraziato paese, origina lo stato di decomposizione culturale, sociale e civile dell’Italia. O forse è il contrario, chissà.

Oggi su La Stampa, trovate anche un’intervista a Matteo Orfini, divenuto nel frattempo “reggente” della segreteria Pd, a riprova che viviamo tempi di eccezionale gravità. In essa, il mancato archeologo tiene a rimarcare la ritrovata “sinistrosità” del suo partito, con questo secco messaggio:

«Prima di tutto, dobbiamo fare una discussione seria sull’economia. Purtroppo siamo tutti più vecchi e gli anni ’90 sono finiti: riproporre oggi come soluzione a un debito pubblico di oltre 2000 miliardi le privatizzazioni è sbagliato. Abbiamo piuttosto bisogno di rilanciare la funzione delle grandi imprese pubbliche e di capire come usare meglio in questo senso anche Cassa depositi e prestiti. Su questo dobbiamo discutere prima di procedere»

Verissimo. Siamo tutti più vecchi, gli anni Novanta sono finiti da un pezzo ma nella “sinistra” italiana ci sono ancora fessacchiotti che farfugliano di Bad Godesberganno Domini 1959. Siamo un paese di ritardati, che possiamo farci? Mentre attendiamo che i fuoriusciti dal Pd, tra cui c’è quel Massimo D’Alema che di “privatizzazioni” se ne intende, elaborino il loro programma, che andremo a ribattezzare Worst Godesberg, diciamo che Orfini ha ragione. Sarebbe ora di piantarla di svuotare il mare col secchiello, e mettere sul mercato quote di centauri pubblici che della concorrenza se ne infischiano amabilmente, con i loro sussidi incrociati, solo per scalfire uno zerovirgola di debito in un paese che non intende crescere perché impegnato in una lotta all’ultimo sangue col neoliberismo della realtà. Il riferimento dell’archeologo-reggente a Cassa Depositi e Prestiti è una sorta di coperta di Linus della sinistra italiana, quella che si sveglia sudata da un incubo neoliberista e cerca di reagire invocando la Fata Turchina del debito pubblico. Ma non è grave, almeno sin quando non si raggiunge il punto di non ritorno e si manifesta la sintomatologia di Stefano Fassina, un no-euro del Popolo addetto alle fotocopie delle banconote, attendendo la stampante sovrana.

Quanto al resto, abbiamo Renzi che va in America “ad imparare”, soprattutto nuovi slogan, ma che non capirà nulla che non avrebbe potuto comprendere dedicandosi un po’ di più alla lettura, e non a quella di Baricco. Nel frattempo, i grillini hanno scoperto che scendere in piazza è molto ganzo, attendendo il default. Anche questa non è una sorpresa, visto che il M5S è il sintomo più eclatante dello stato pre-terminale del paese, e non c’è chemio che tenga. L’Italia ha avuto la sfortuna di non trovarsi in Sudamerica, ma anche andando alla deriva nel Mediterraneo il nostro levantinismo può esprimersi al suo meglio. Nessun dorma: siamo prossimi all’alba di una ennesima Nuova Era. Forse quella decisiva per la bancarotta.




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