sabato 12 dicembre 2015 - Essere Sinistra

Salva-banche: la tua banca è indifferente

di Roberto RIZZARDI

In questi giorni si parla molto del “salvataggio” delle quattro banche, di quanto la manovra possa essere un assist al padre di una “ministra” del governo e sul fatto che questo salvataggio sia avvenuto a spese di azionisti e obbligazionisti.

Il fatto da analizzare, però, è che quando una banca “va a remengo” non ci sono molte cose da fare e tutte quante, comunque, sono per qualche verso opinabili.

Per il salvataggio si sarebbe potuto ricorrere alla fiscalità generale, come con le banche francesi e tedesche, caricando sul groppone di tutti i relativi costi. Si sarebbe potuto utilizzare il bail-in, come si è fatto, e far pagare azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila Euro.
Si sarebbe potuto fare un bel niente, lasciando fallire le banche facendo pagare ancora azionisti, obbligazionisti, correntisti (tutti, anche quelli con pochi Euro sul conto) e le vecchine con il libretto di risparmio, per non parlare di alcune migliaia di dipendenti messi in mezzo alla strada.
Qualsiasi cosa si fosse fatta sarebbe stata discutibile sotto qualche aspetto.
Il vero problema è come impedire che il management di una banca combini disastri come questo senza che nessuno vigili preventivamente.

Nel caso che ha dato origine al disastro greco, incommensurabilmente più rilevante, il salvataggio è avvenuto a spese dei bilanci degli stati intervenuti – e a vantaggio delle banche creditrici – dunque a spese di tutti quanti, ma soprattutto a spese dei greci. E questo è stato permesso da Alexis Tsipras, ricordiamolo.

In questo caso invece chi ci rimette sono gli azionisti, cosa che non mi sconvolge molto dato che chi investe in azioni dovrebbe sapere cosa è il “rischio”. C’è poi da considerare che sono gli azionisti a richiedere livelli di remunerazione elevati e che dunque sono proprio loro a sollecitare il management di una banca, l’unico vero responsabile diretto, a operatività discutibili e azzardate.
Il peso di questo salvataggio è stato inoltre sopportato anche dai cosiddetti obbligazionisti, altra categoria di investitori in genere meno informati degli azionisti. Questo li rende tendenzialmente vittime più inconsapevoli. Molti di loro infatti hanno semplicemente investito i risparmi, non di rado consigliati da broker disinvolti e – mi consento di dirlo – meritevoli di frustate sulla pubblica piazza.

Il dispositivo del “bail in“, di prossima piena attuazione, istituzionalizzerà questo processo di salvataggio estendendo il coinvolgimento anche ai titolari di depositi sopra i centomila euro.

Immagino che questo causerà una certa tendenza a parcellizzare i depositi su più conti correnti, con beneficio degli istituti bancari.
Io capisco tutte le polemiche sbocciate a riguardo, però mi sembra che non si prenda in considerazione il fatto che, in presenza di un fallimento, si è già in condizioni degradate, ed ogni tipo d’intervento non può che essere problematico.

In fin dei conti, non inveisci contro i pompieri se, per spegnere l’incendio, ti annaffiano i mobili di casa.

Anche il non intervento a favore delle banche in questione avrebbe avuto risvolti indesiderati.

Facendo fallire quelle quattro banche, infatti, non avremmo fatto altro che coinvolgere nella perdita gli azionisti e gli obbligazionisti, come è avvenuto, ma anche ogni correntista, anche piccolo, nonché i detentori di libretti di risparmio, per non parlare dei dipendenti.

A me sembra che l’unica considerazione che dovremmo trarre da questa vicenda è che, abbastanza pleonasticamente, non avrebbe dovuto verificarsi. Questo mi fa trarre la conclusione che urge un intervento di forte regolamentazione dell’attività bancaria che limiti gli aspetti più speculativi delle loro strategie e che ripristini la separazione netta e invalicabile tra banca ordinaria e banca d’affari.

E che riporti l’attività bancaria verso quello che è, e che era prima delle spaventose riforme clintoniane (poi seguite da tutti in Europa). Un’attività di diritto pubblico.




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