lunedì 25 febbraio 2013 - Traiettorie Sociologiche

Robert Alexander Nisbet e la tradizione sociologica

 

È famosa la riflessione di Peter L. Berger – uno dei più importanti sociologi viventi – sulla difficoltà per il sociologo di illustrare la natura e gli scopi della sociologia, disciplina “liquida”, se si vuole, senza uno statuto rigido, senza un corpus monolitico di strumenti.

È per questo che la pubblicazioni e la ristampa dei testi dei suoi autori più influenti è sempre un avvenimento, che si spera utile a gettare luce sul “senso” di questa disciplina.

E così, la recente pubblicazione da parte dell’editore Rubettino del testo di Robert Nisbet Conservatorismo: sogno e realtà, pubblicato in originale nel 1986, è la giusta occasione per tornare a discutere di questo pensatore contrastato, sicuramente conservatore, ma certo significativo nel panorama della sociologia americana della seconda metà del XX secolo, soffermandoci però sulla sua opera forse più significativa, The Sociological Tradition, che ebbe già allora il merito di fare il punto sullo stato dell’arte della sociologia, e conserva ancora la sua validità esplicativa.

Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1966 dalla prestigiosa Basic Books, questo testo viene da molti considerato come una delle più rappresentative riflessioni sul pensiero degli autori classici della sociologia, indipendentemente dalle opinioni “politiche” dell’autore. Il volume è stato più volte ristampato e in Italia è stato tradotto dalla Nuova Italia nel 1977 col titolo La tradizione sociologica.

Robert Alexander Nisbet è infatti una delle figure più interessanti della sociologia americana della seconda metà del Novecento. Nonostante risulti difficile ricondurlo a una scuola sociologica precisa è semplice individuare uno dei filoni di studi di maggior interesse del sociologo, quella che concerne la storia della sociologia e quella delle idee.

Ne La tradizione sociologica Nisbet offre un contributo sistematico alla comprensione della conoscenza e della storia del pensiero sociologico. Egli, infatti, utilizza il metodo della “storia delle idee” che tende ad una forma dialettizzante in cui sono quest’ultime a costituire gli elementi del sistema di cui fanno parte. A partire da queste “idee-base” quindi, l’obiettivo dell’autore, in questo testo, è quello di ricercare e raggruppare le categorie fondamentali necessarie a costituire la sostanza della sociologia. Ne va alla ricerca determinando l’ambito temporale che egli chiama “grande periodo formativo” del pensiero sociologico contemporaneo che và all’incirca dal 1830 al 1900, quando autori come Alexis de Tocqueville, Karl Marx, Max Weber, Émile Durkheim e Georg Simmel, sociologi i cui rapporti con la tradizione sociologica sono di vitale importanza, essendo coloro che posero le fondamenta di tale pensiero.

Oltre all’inquadramento storico, Nisbet definisce dei criteri specifici che guideranno la selezione delle suddette categorie; quattro sono quelli dominanti: tali categorie devono avere un carattere di generalità, devono cioè essere individuabili nelle opere dei principali autori di un’epoca; devono avere continuità, cioè devono essere osservabili dalla fase iniziale a quella finale di un intero periodo storico e devono essere rilevanti nel presente come nel passato; devono essere caratterizzanti, cioè devono rispecchiare l’identità di una disciplina rispetto ad ogni altra; devono avere carattere prospettico, ovvero costituire dei veri e propri concetti o categorie, non essere semplici influenze o aspetti periferici di una metodologia.

In questo modo arriva così a determinare le cinque categorie o idee-base che risultano essere gli elementi costitutivi della sociologia, e precisamente quelle categorie caratterizzate da universalità e atemporalità e la cui persistenza si estende fino ad oggi. Esse sono: comunità, autorità, status, sacro e alienazione.

Il concetto di comunità è inizialmente preso in considerazione come parte del luogo di vita comunitaria, per poi estendersi alla religione, alla famiglia, alla cultura e ai legami sociali caratterizzati da coesione affettiva ed emotiva. L’autorità è vista come un ordine interno politico, religioso e culturale che si legittima nella funzione, nella tradizione e nei rapporti sociali. Lo status rappresenta la posizione che l’individuo occupa nella stratificazione sociale. Per sacro invece, intende tutta l’area delle motivazioni individuali e dell’organizzazione sociale che trascende l’utilitaristico ed il razionale. Infine l’alienazione, che è vista come una prospettiva storica dell’individuo anomico, sradicato e marginalizzato dai rapporti che lo legano alla comunità e alle sue funzioni morali.

Con questo, Nisbet non intende affermare che queste categorie esauriscono totalmente le questioni relative alla capacità analitica della sociologia moderna, ma vuole sostenere che esse costituiscono quelle idee generali che sono patrimonio comune di tutte le scienze sociali.

A ciascuna di queste idee-base o categorie, è normalmente connesso un suo opposto, o contrario, ottenendo così dei concetti dicotomici: l’opposto del concetto di comunità è quello di società; l’opposto concettuale dell’autorità nel pensiero sociologico è il potere; lo status ha come contrario l’idea di classe; l’opposto del concetto di sacro è il profano; e infine l’alienazione va vista come l’inverso del progresso. Per Nisbet questi sono i ricchi temi che formano il tessuto vero e proprio della tradizione sociologica ottocentesca.

In più, essi rappresentano le forme e i concetti in cui si è maggiormente cristallizzato il conflitto tra tradizionalismo e modernismo. Il vecchio ordine tradizionale, basato sui dogmi della parentela, terra, classe sociale, religione, comunità locale e monarchia, scompaginato dall’avvento della democrazia rivoluzionaria e dell’industrialismo, è declinato in favore di un ordine nuovo portatore di speranza e progresso ma, al tempo stesso, anche fonte di angoscia e disorientamento.

Di tutte le scienze sociali, la sociologia è quella che maggiormente ha evidenziato la tensione crescente tra i sostenitori dei valori tradizionali e coloro che cavalcavano l’onda dei nuovi ideali di razionalità, libertà e progresso associati alla modernità. Nisbet nota, infatti, che i più forti conflitti ideologici si sono soffermati, da una parte, proprio sulle categorie da lui individuate e dall’altra, fra i valori dell’individualismo, dell’uguaglianza, del razionalismo e dell’organizzazione del potere.

Considerando quindi che il terreno originario della nascita della sociologia parte dall’epoca delle rivoluzioni, Nisbet ritiene essenziale l’esistenza di un nesso fondamentale tra idee e contesti storico-sociali. È proprio sulla base di questo legame che egli individua quello che chiama il “paradosso della sociologia”: per quanto i suoi obiettivi, idee e valori appartengano alla grande corrente del modernismo, i suoi concetti essenziali e le sue prospettive lo collocano molto più vicino al conservatorismo filosofico. Il contrasto tra presente e passato è fortemente caratterizzante il periodo storico e muta a seconda del rapporto di ciascun pensatore col vecchio ordine e con le forze in esso attive. Per questo motivo catalogare Toqueville, Weber, Durkheim e Simmel come tradizionalisti o conservatori sarebbe assurdo, eppure i loro scritti appaiono come gli elementi costitutivi delle ideologie del diciannovesimo secolo.

In questo testo, Nisbet concepisce la tradizione sociologica come “un campo magnetico” in cui Tocqueville e Marx, che peraltro si trovano agli opposti estremi teorici, rappresentano i due maggiori poli di attrazione. Alla lunga però, nota come l’influenza di Tocqueville sembra essere stata più proficua: Ferdinand Tonnies, Weber, DurKheim e Simmel sembravano infatti riflettere la concezione tocquevilliana della società. Con questo, non vuole dimostrare l’ininfluenza della concezione di Marx, che Nisbet riconosce come il vero erede dell’Illuminismo, bensì intende avvalorare come l’assenza di questa tensione intellettuale non avrebbe garantito la stessa influenza formativa che invece, grazie a questa, ha raggiunto la visione tocquevilliana della società. Per Nisbet, nella storia delle idee “ogni influsso si nutre di un influsso opposto”.

Ed è proprio in virtù dell’unione positiva ed insieme oppositiva delle ideologie dominanti dell’epoca e del suo pensiero, da una parte razionale illuministico e progressivo, e dall’altra così radicalmente conservatore, che Nisbet può sviluppare quell’intreccio di concetti positivi e dei loro contrari sociologici, la cui rappresentazione dà forma alla sua densa opera. E che rappresenta tutt’oggi la capacità di esplorare il campo sociale e porre questioni che è la vera forza della sociologia.

Nisbet Robert A., La tradizione sociologica; La Nuova Italia, Firenze, 1977.

Nisbet Robert A., Conservatorismo: sogno e realtà, Rubettino, Soveria Mannelli, 2012.

 

di Alessandra Santoro




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