mercoledì 21 giugno 2017 - Riccardo Noury - Amnesty International

Rifugiati | I paesi donatori abbandonano i rifugiati sud sudanesi in Uganda

Conflitti | Joyce, 37 anni, ha visto suo marito morire a coltellate. A Jane, 28 anni, è andata anche peggio: dopo aver ucciso il marito l’hanno stuprata a ripetizione. A Patrick, 19 anni, hanno stretto e sorto le dita con le pinze.

Di racconti orribili come questi, frutto di tre anni e mezzo di conflitto feroce e dimenticato nel Sud Sudan, se ne possono ascoltare migliaia e migliaia nei campi allestiti per i rifugiati in Uganda. Amnesty International c’è stata.

Tranquilli, da quella che è la prima crisi dei rifugiati in Africa e la terza nel mondo, in Italia non arriverà nessuno. Perché già quasi un milione di loro è in Uganda e altre migliaia attraversano ogni giorno il confine. L’86 per cento sono donne e bambini. Gli uomini o sono rimasti a combattere o sono stati già ammazzati.

Alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato, la vicenda ugandese dimostra quanto lo slogan “Aiutiamoli a casa loro” sia ipocrita. Di case in Sud Sudan, dove c’è la carestia e si profila un genocidio, non ce ne sono più.

Allora, si dice, “Aiutiamoli vicino a casa loro”. Ipocrita, anche questo.

A maggio, le Nazioni Unite hanno fatto i conti: dei fondi richiesti per aiutare il governo ugandese e le organizzazioni di aiuto umanitario ad assistere i rifugiati sud sudanesi, era arrivato solo il 18 per cento. Da qui a fine anno occorreranno oltre 4,1 miliardi di dollari. Non per lenire i traumi, ma per garantire ogni giorno acqua, cibo e un riparo.

Il 22 e 23 giugno nella capitale ugandese si terrà il Kampala Solidarity Summit on Refugees, un vertice ad alto livello cui prenderanno parte molti rappresentanti dei paesi donatori.

L’Uganda, che continua a dimostrarsi accogliente e generosa e che ha una delle leggi in materia di rifugiati più avanzate del mondo mentre molti paesi stanno chiudendo i confini e inasprendo le legislazioni, dev’essere sostenuta e non lasciata da sola. E i rifugiati sud sudanesi non devono diventare le nuove vittime del fallimento collettivo e vergognoso della cooperazione internazionale

 
 



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