giovedì 31 marzo 2016 - Francesca Barca

Ricerche web e anonimato. Mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo?

TrackMeNot è un'estensione per Chrome e Firefox che permette di nascondere le nostre ricerche web generandone delle false. Molto rumore dietro il quale il nostro profilo si perde rendendoci anonimi. 

Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?

 

Ti si nota di più se non vieni o se stai in disparte. Perché chi, per esempio, usa strumenti per restare anonimo sul web (Tor, ad esempio) in caso di emergenze - facciamo un esempio a caso, il terrorismo - è il primo ad essere controllato. 

Robert Leighton

On line quindi meglio partecipare, ma senza stare in disparte. Almeno questa è l'idea è alla base di TrackMeNot, un'estensione per browser che si propone di proteggere la privacy non nascondendosi e cancellando le proprie tracce ma, al contrario, creandone di false.

Ne parla Rue89, che ha intervistato Vincent Toubiana, responsabile di TrackMeNot e impiegato della Cnil. L'estensione è stata sviluppata da due americani, Daniel C. Howe e Helen Nissenbaum, en 2006. 

TrackMeNot, che viene viene già utilizzata da 28mila persone su Firefox e da 11mila su Chrome, funziona generando delle finte ricerche web sul motore da noi scelto: in questo modo queste si mescolano a quelle vere che facciamo quotidianamente, riviando un'immagine (e un profilaggio) falsato dell'utilizzatore.

 

Vi state chiedendo perché le ricerche web sono importanti? Non ve lo state chiedendo? Chiedetevelo. 

Pensate a cosa cercate su Google, o chi per lui. Non solo le notizie, ma le informazioni su una malattia che avete o pensate di avere, le ricette, i dubbi su qualunque cosa vi venga in mente, il sesso, le notizie su una persona che non conoscete, le mete dei vostri viaggi, le ansie... Quello che digitiamo su un motore di ricerca è una porta sul nostro subconscio, un'immagine estremamente precisa non del nostro viso, ma della nostra anima. (Mi scuso per l'inciampo nel romanticismo, ndr)

E in più sono soldi, non per noi, ma per i motori di ricerca: perché le parole chiave si comprano e servono a vendere pubblicità, sponsorizzare siti e posizionamenti sui motori di ricerca. E poi ci sono le implicazioni eventuali per chi dovesse avere dei problemi con la giustizia, che è un altro discorso ancora. 

Per capire ancora meglio guardate il video qui sotto (sempre citato da Rue89): si tratta di un film realizzato utilizzando le ricerche web di una donna, l'utlizzatrice numero 711391. Lei è tra le "vittime" del cosidetto "scandalo AOL": per errore, nel 2016, AOL rese pubbliche le ricerche di 658mila persone che tra il mese di marzo e aprile effettuarono 20milioni di query on line. 

Il file venne velocemente ritirato da AOL, ma fu copiato e scaricato abbastanza volte da rendere l'operazione inutile. Non c'erano i nomi degli utilizzatori, ma questo non è stato un problema per chi, ad esempio, ha voluto rintracciarne l'identità incrociando le ricerche con altri dati: l'utlizzatore 4417749 era, per esempio, Thelma Arnold, 62 anni, vedova di Lilburn (lo ha scoperto, facendo un'inchiesta, il New York Times). 

In questo video l'utilizzatrice 711391parla di amore, di abbandono e di fiducia. Sappiamo di lei molto più di quello che sapremmo, per esempio, se l'avvessimo spiata dalla finestra di fronte. 




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