mercoledì 28 dicembre 2016 - Phastidio

Reddito di cittadinanza, traversata nel deserto italiano dei miraggi

Il marketing politico trova in Italia fertile terreno di applicazione. Una popolazione mediamente assai credula, oltre che sprovvista (sempre in media) dei più elementari strumenti di valutazione economica delle politiche pubbliche, ed al contempo ancora pesantemente contaminata dall’oppressione del pensiero delle “due chiese”, quella cattolica e quella comunista, sul disvalore sociale del denaro, è da sempre fertile terreno di scorribanda di demagoghi ed incantatori di serpenti.

Già lo stesso Berlusconi faceva largo uso ed abuso dei “sondaggi” come strumento per orientare non tanto le sue politiche pubbliche quanto le sue fiabe, che oggi chiamiamo “narrazione”. Con Renzi e Grillo siamo saltati di livello e giunti direttamente alla terra promessa. O più propriamente ai miraggi che sbucano ovunque, nel deserto di un paese in crisi fiscale conclamata.

Una crisi fiscale nata e sviluppatasi dopo decenni di promesse ed omissioni sull’analisi costi-benefici. Che tradotto significa soldi pubblici buttati voluttuosamente nel cesso, che hanno prodotto deficit da colmare con aumento di pressione fiscale, in una rincorsa che ha portato il paese allo stop, dietro il facile alibi dell’euro come killer del felice e virtuoso modello italiano di sviluppo. Che mai è esistito, negli ultimi 40 e rotti anni, ma sono dettagli.

Questa tendenza della nostra comunità nazionale ad inseguire in modo parolaio alcune mode culturali l’avevamo già vista all’opera anni addietro, con il quoziente familiare. A molti sembrava il felice anello di congiunzione fusionista tra le politiche nataliste di matrice cattolica e quelle sviluppiste care ai cosiddetti liberali, in un paese minato dal sommerso e da tassi di occupazione femminile tra i minori del mondo occidentale. Il dibattito infuriò per alcuni anni tra una tartina, un convegno e molti comizi e sfociò in un eclatante nulla. Ovviamente, visto che il nostro sistema di welfare è assai decrepito, inefficace, inefficiente ed altrettanto intangibile, mentre i convegni e le campagne elettorali costano assai poco, almeno nel breve termine, mentre i loro esiti da noi tendono a produrre danni permanenti.

Un balzo in avanti nel tempo, ed eccoci ai giorni nostri ed al nuovo pacco che fa bella mostra di sé sugli scaffali del supermercato della nostra politica: il reddito di cittadinanza. Nato da una brillante intuizione grillina, giunta sino al punto da far credere che la misura avesse copertura finanziaria e quindi non venisse adottata unicamente a causa della proterva interdizione dei “poteri forti”, pare riscuotere grande successo in ampie porzioni dell’elettorato, al punto che il povero Berlusconi, parlandone da politicamente vivo, ha sentito la necessità di scimmiottare i pentastellati, probabilmente dopo aver sbirciato i sondaggi.

Il concetto di reddito minimo universale ha un innegabile fascino, ed anche un’apparente giustificazione “seria”: l’avanzata, vera o presunta, della disoccupazione causata dalla tecnologia. Altra profonda radice giustificatoria è l’apparente aumento della disuguaglianza, di reddito e patrimonio, e l’avvento sulla scena delle grandi multinazionali fiscalmente apolidi o comunque a tasso d’imposizione fiscale ridicolo rispetto a quello del lavoro. Tutti elementi che esercitano un innegabile fascino.

Oggi, un post di Alessandro Gilioli torna sul tema. Gilioli è un pensatore di sinistra coerente ed intellettualmente onesto. Come tale, spesso finisce avviluppato nelle spire delle contraddizioni del pensiero della sinistra. Oggi torna sul tema fornendo una bibliografia scientifica ragionata del fenomeno della disoccupazione tecnologica e la integra con una riflessione molto interessante:

[…] Quali saranno gli elementi esistenziali che rappresenteranno «la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra», quando il lavoro costituirà solo una piccola parte del nostro tempo, della nostra vita? In che cosa ciascuno di noi troverà la massima «manifestazione della libertà umana»? Quali saranno gli elementi di autorealizzazione personale, una volta emancipati dalle necessità produttive e di salario che ci portavano a lavorare, a impersonare un ruolo sociale in quanto idraulici, avvocati, cuochi, medici, operai, ingegneri?

E poi: si profila una nuova e trasversale divisione nella società tra quanti troveranno altrove – cioè anche senza una funzione nel sistema produttivo – le ragioni del proprio vivere quotidiano? E quali saranno i meccanismi (pedagogici, culturali, spirituali, valoriali, creativi, sociali, ambientali, affettivi etc) che costituiranno la ricerca dell’auto realizzazione?

Questo è già “un passo oltre”, rispetto al problema del “che fare?” per contrastare questa nuova insidiosa disoccupazione. Ma forse è un passo culturalmente troppo lungo, rispetto all’obiettivo minimo della politica. Che dubitiamo assai si ponga il quesito del “come sentirsi realizzati quando saremo stati liberati dal giogo dei rapporti di produzione”, per dirlo in modo “progressista” e pressoché marxista (ma non troppo, perché non fa parola dell’alienazione indotta dai rapporti di produzione medesimi). Un passo troppo lungo anche sul piano della realtà del nostro paese, diremmo: crescita molto bassa e crisi fiscale.

Per offrire un reddito minimo universale di base, di cittadinanza o come lo vogliamo chiamare, serve una profonda riorganizzazione del welfare. Ed ogni riorganizzazione di questo tipo produce vincitori e vinti perché deve avvenire togliendo fatalmente a qualcuno per dare ad altri, compiendo quindi un’inevitabile redistribuzione. Troverete mai un politico o un imbonitore fallito da social network che vi propone la terra promessa dicendovi che, nella traversata nel deserto necessaria a raggiungerla, in molti finiranno a soccombere? No. Troverete mai qualcuno che vi dirà che, per avere reddito universale di base, servirà spazzare via ogni altro istituto di welfare di cui disponiamo, e comunque a fatica si raggiungeranno importi accettabili? No, meglio dire che uscendo dall’euro arriveremo a farcela, oppure tacere di questi “dettagli”. Meglio ancora dire che “l’Italia è l’unico paese europeo a non avere un reddito del genere”. Tacendo del fatto che l’Italia è spesso l’unico paese europeo dove mance con soldi pubblici sono state gabellate per “pensioni” da inesistente contribuzione (coltivatori) o da inesistenti “invalidità”. Ogni paese ha gli ammortizzatori sociali che il suo livello di civiltà gli consente di darsi, alla fine.

Però ora abbiamo l’oggetto del dibattere, del contendere e del desiderio: il reddito di cittadinanza, quello che toglierà le sofferenze da un mondo ostile dove la tecnologia ci toglie il posto e dove le grandi multinazionali accumulano su di sé quote crescenti di reddito, che diviene patrimonio per gli azionisti. Ed anche, almeno per intellettuali come Gilioli, quello che ci potrà permettere di vivere in una dimensione di studio e riflessione rispetto all’urgenza della quotidianità immolata sull’altare della produzione del reddito di sussistenza. E questo basterà ed avanzerà per fare bingo nelle campagne elettorali. Un deserto sempre ricchissimo di miraggi, questo paese.




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