mercoledì 2 aprile 2014 - Flaminia P.Mancinelli

Read or not to read... Leggere o non leggere?

I dati dell'indagine Nielsen sulla lettura sono da prendere, come tutte le statistiche, con le pinze... E poi non puntano il dito sulla vera causa del "malessere" dell'editoria italiana, una delle concause, forse, di questo tanto strombazzato calo di lettori.

Nei giorni scorsi sono stati diffusi i dati Nielsen sulla lettura, commissionati dal Centro per il Libro e la Lettura, e immediatamente sul cartaceo e sul Web in centinaia si sono proffusi a commentarli, dagli "autorevoli" personaggi già noti della cultura ai semplici blogger amanti del leggere.

Chi puntando il dito su un particolare aspetto, a suo parere, della ricerca e chi invece chiedendosi come l'ex-lettore impiegava il tempo di cui disponeva dopo aver smesso di leggere. Ma nessuno (almeno fino ad ora) si è soffermato a considerare una possibile opzione: le persone si allontanano dalla lettura o meglio dall'acquisto di nuovi libri perché l'offerta non risponde alle loro attese. Spostando in questo modo l'individuazione della causa del calo dell'acquisto di libri dal lettore agli editori.

I dati della ricerca Nielsen sono molto interessanti perché evidenziano la differenza tra lettura e acquisto di libri, entrambe in calo ma la seconda più della prima. Vi è quindi una larga parte di lettori che sempre più spesso legge senza acquistare. Se vi sono quindi persone che continuano a leggere senza acquistare è corretto domandarsi cosa leggono queste persone e, contestualmente, perché queste non cedono al canto ossessivo delle Sirene dell'editoria. Che l'editoria italiana, da sempre, stampi più di quanto in realtà venda, è cosa arcinota a chi frequenta il settore. Spesso i dati di una casa editrice diffusi si riferiscono al pubblicato e, davvero molto, raramente al reso (reso che poi viene in prima battuta rivenduto ai Remander's e in seconda al macero). È di sicuro più gratificante parlare di tirature anziché di vendite mancate, soprattutto in un Paese, come il nostro, che non manca di dare agevolazioni fiscali e gestionali a chi ha un'attività editoriale...

Ma vi è poi un altro aspetto, tutt'altro che secondario da considerare. In Italia (ma non solo) gli editori appartengono a una casta, per molti aspetti peggiore e più radicata nel nostro tessuto di quanto non lo sia la Casta dei Politici. È la casta degli intellettuali, quella che si riunisce nei salotti e indice i Premi Letterari, che alleva recensori addomesticati e che non manca di praticare un continuo e servile do ut des. La sua potenza è tale e così ramificata nel nostro tessuto sociale che nessuno (o quasi... sic!) ha il coraggio di criticarla/attaccarla o anche semplicemente nominarla identificandone struttura e connivenze.

Mi è capitato, nei giorni scorsi, di individuarne un vistoso esempio andando a indagare sulla struttura del capitale alla base di un gruppo editoriale: vi compariva il Gotha bancario e finanziario dell’Italia che conta, quello che già da tempo sappiamo invischiato in relazioni di malaffare con la Casta della Politica. Ma nessuno lo denuncia o, almeno, ne parla. Come mai per l’editoria non ci sono stati analoghi Rizzo&Stella? Una domanda, credo, inquietante ma che poi, secondo la mia opinione, è alla base dello stato dell’arte della lettura in Italia.

Sarò più esplicita… con un esempio tratto proprio dalla politica. Sino a quando il giornalismo nostrano (pur comunque asservito ai poteri economici tramite i contratti di lavoro che lo legano a un editore... sic!... In Italia il modello del giornalista free lance, così diffuso e praticato all'estero, non riesce proprio ad attecchire, guarda caso) non ha iniziato a indagare sulla Casta dei Politici, questi hanno continuato a “rubare”, ad essere “collusi” e a “corrompere” indisturbati. Ora, dopo che le inchieste di questo genere sono diventate una pratica comune, lo fanno ancora, certo, ma almeno con il timore di essere scoperti e spesso denunciati. Grazie alla rivoluzione di Rizzo&Stella ci siamo ricordati che gli ideali e i doveri della Politica, l’impegno civile di un politico hanno un valore. E siamo tornati a pretenderlo.

E perché in ambito editoriale no? Chiunque abbia avuto l’avventura di entrare in contatto con la maggior parte dei rappresentanti dell’editoria nostrana e con i loro servitori, chi li abbia osservati nel loro agire ne ha tratto un’impressione di disgusto e repulsione. Mancata sensibilità nei confronti della cultura in favore di un’ipersensibilità verso il profitto, mancata cura nei confronti delle produzioni letterarie/poetiche/saggistiche di esordienti a favore di una sollecita acquisizione di firme internazionali, garanti di un investimento scevro da incognite, assimilazione dell’intera filiera del libro (dalla stampa alla distribuzione sino alle catene di vendita) per incrementare i guadagni invece di perseguire il proprio ufficio professionale… E a decine sarebbero gli altri esempi che potrei inserire.

Per uno di quei casi fortuiti e splendidi che la vita inopinatamente ci riserva, a vent’anni ebbi la fortuna di conoscere uno degli ultimi veri editori di questo Paese. Il suo nome era Giulio Bollati. Vi basterà mettere il suo nome su qualsiasi motore di ricerca o su Wikipedia per leggere la sua biografia. 

Giulio Bollati

Ma al di là di essa, qui vi racconterò la mia personale esperienza. Io giovane scrittrice sconosciuta e non-raccomandata, senza che nemmeno fossi costretta a chiederlo, seppi che i miei racconti (inediti) erano arrivati tra le sue mani. A parte il tuffo al cuore che mi generò il suo commento (egli a proposito di un mio “raccontino”, La mosca, ebbe a scrivere di un parallelo ideale tra i miei balbettii e la poetica di Kafka), c’è da aggiungere che il suo compito nei miei confronti fu quello di indicarmi la strada e quindi di presentarmi a un uomo (Goffredo Fofi) che secondo Bollati aveva la sensibilità di osservare dalle radici la crescita dell’erba e di favorirla. Ecco, questo E-SAT-TA-MEN-TE è per me il mestiere dell’Editore. Un mestiere che in Italia si è perso più che altrove.

Vi sono sono, da non dimenticare, tutti quei piccoli editori che cercano, come un Donchisciotte redivivo, di condurre la loro battaglia ideale per la diffusione dei valori della cultura, ma quasi tutti in breve devono arrendersi, morire d’inedia, dichiarare fallimento. Ecco, voi che leggete e discutete, magari con vera passione, i dati dell’indagine Nielsen non avete un briciolo di dubbio riguardo le cause reali alla radice di questa situazione?

Se vi è una Malapolitica la cosa pubblica si distrugge e i giovani non hanno né interesse né orgoglio a incamminarsi verso la politica, anzi arrivano addirittura ad avere un atteggiamento di disinteresse se non di cinismo nei confronti della stessa cosa pubblica… E se vi è una Malaeditoria perché mai un lettore (giovane o vecchio che sia) dovrebbe manifestare passione e partecipazione, leggere e partecipare alla produzione culturale? Vi prego di soffermarvi su questa mia domanda, perché non credo sia capziosa né superflua.

E poi, a mo’ di post scriptum, vorrei chiedervi una cortesia… Vi esorterei a considerare il valore relativo di un’indagine statistica, qual è dopotutto l’indagine Nielsen. Ovvero: quest’anno si sono venduti 10 libri, l’anno precedente 11, quindi c’è stato un calo del 10% nell’acquisto di libri…
E i 7 libri che ho ereditato dalla zia Peppina dove li conteggi signor Nielsen???!

Senza la necessità di sottolineare per l’ennesima volta che non vi è un’equazione diretta tra acquisto e lettura, come può esserci invece per altri beni di consumo. I libri si cedono, si prestano e, da quando esiste il “fenomeno” e-book, si scaricano gratis e si ricevono in gradita lettura come assaggi. Viviamo in un tempo nel quale tutto deve avere un prezzo e un controllo, ma forse la lettura non riesce ad essere ancora imbrigliata del tutto in queste categorie… per fortuna!

Foto: Flickr/Elfness
 




Lasciare un commento