giovedì 9 febbraio 2017 - UAAR - A ragion veduta

Radicalizzazione e libertà religiosa | Religioni e Costituzione. Nuovo corso, nuovi corsi?

Sono sei le Università italiane (Bologna, Bari, Calabria, Salerno, Firenze e Pisa) che, consorziatesi fra loro appoggiandosi alla Fondazione Flaminia, si sono aggiudicate i 92 mila euro stanziati dal Viminale per un progetto innovativo volto alla prevenzione della radicalizzazione e “all’esercizio della libertà religiosa in coerenza con i valori fondanti della società di accoglienza”.

Progetto che prevede un corso universitario di educazione civica e conoscenza della Costituzione, che inizierà proprio questo mese a Ravenna, sotto la direzione di Giovanni Cimbalo.

Ne parliamo con uno dei docenti, Marco Croce dell’Università di Firenze.

Orioli: Professor Croce, apprendiamo dai media come si tratti di un “corso per imam”. Può spiegarci chi saranno quindi i vostri “studenti”?

Croce: Lo scopo del progetto è quello di concorrere a formare persone esponenziali di comunità religiose che però non fanno parte, a vario titolo e per varie ragioni, del circuito “tradizionale” della politica ecclesiastica italiana. Non solo imam, quindi, ma anche rappresentanti di nuovi movimenti religiosi che a oggi non hanno ottenuto il riconoscimento come confessione o sono comunque rimasti esclusi dalla “concessione” dell’intesa. In generale, si può dire che il progetto mira a coinvolgere i nuovi gruppi religiosi che si sono affacciati in Italia soprattutto in virtù dei flussi migratori e che possono in qualche misura rappresentare un problema, se e in quanto portino con sé un’alterità culturale che non consenta loro di comprendere e adeguarsi ai principi dello Stato costituzionale di diritto. Proprio per questo non si parlerà solo di Costituzione, ma anche di storia e sociologia. Naturalmente verrà dato ampio risalto alle problematiche giuridiche che ruotano attorno all’esercizio della libertà religiosa, l’edilizia di culto in particolare ad esempio. Saranno moduli da otto ore, in lingua italiana, nella giornata del sabato, riservati a stranieri residenti in Italia da almeno cinque anni, anche se gli appartenenti a paesi dell’Unione Europea potranno comunque partecipare come uditori. L’obiettivo è ovviamente quello di preparare adeguatamente queste persone al mondo giuridico italiano, attraverso la diffusione dei valori della nostra Costituzione.

Eppure è impossibile negare come ci sia una particolare attenzione all’islam. Anche questo progetto si inserisce nella scia inaugurata a Novembre 2015 tra l’amministrazione penitenziaria e l’Ucoii sulla presenza di imam “qualificati” in otto carceri italiane e precede di poco il recentissimo Patto nazionale per un islam Italiano fra numerose comunità islamiche e il Ministero dell’Interno. Una sua prima impressione di questo Patto?

È ovvio che, attualmente, il bando sia di fatto rivolto a formare soprattutto imam, vuoi perché l’islam ormai rappresenta il terzo gruppo religioso per numero (dopo cattolici e ortodossi), vuoi perché gli altri gruppi religiosi di matrice extra occidentale sono ormai stati quasi tutti inseriti nella realtà giuridica italiana tramite le intese (ortodossi, induisti e buddisti dal 2012). In realtà questa strategia del Ministero dell’Interno nei confronti dell’Islam è ben più risalente: all’epoca di Giuliano Amato ministro dell’Interno venne elaborata la “Carta dei valori e della cittadinanza”, da far sottoscrivere alle diverse sigle rappresentative dell’islam in Italia: da lì il progetto di costruzione di un Islam italiano unitario con il quale poi giungere all’intesa. Da allora non mi pare che la “politica ecclesiastica” sia mutata al mutare dei diversi governi e sia il bando di cui siamo risultati vincitori, sia il Patto firmato dal Ministro Minniti l’altro giorno mi paiono in piena continuità rispetto a quell’idea iniziale. Una strategia che presenta anche delle criticità, perché potrebbe sembrare volere imporre un canale diverso e più gravoso per il solo Islam rispetto agli altri gruppi religiosi che hanno già ottenuto l’intesa. Ovviamente la ragion pratica, in questo momento di tensione terroristica e di crescenti istanze securitarie, impone in qualche misura di intraprendere azioni come queste. Tuttavia bisogna far attenzione a non scivolare verso una sorta di “educazione dell’infedele” al quale poi concedere, dopo giuramento di fedeltà, la stessa misura di libertà alla quale lo stesso avrebbe diritto in virtù dei principi costituzionali. Sicuramente non è questo lo spirito che anima il gruppo che abbiamo creato per concorrere al bando e per parte nostra cercheremo di evitare ogni sbandamento di questo tipo nel corso del processo di formazione.

Per tornare quindi al corso… Costituzione, libertà religiosa… si parlerà anche di laicità, quindi?

Certo. Non può esistere alcun reale discorso sulla libertà religiosa che non ruoti anche attorno al principio di laicità dello Stato, che rappresenta, se realizzato (e in Italia siamo ancora parecchio distanti da una sua piena realizzazione), la premessa necessaria affinché la libertà religiosa possa essere davvero una realtà capace di far convivere in armonia i diversi. Nel corso tratteremo sicuramente della giurisprudenza costituzionale che lo ha dichiarato e sviluppato, e ovviamente se ne parlerà anche in termini storico-culturali, per far comprendere il cammino lungo e faticoso che anche in seno all’Europa cristiana si è dovuto compiere per giungere all’attuale assetto laico liberal-democratico di organizzazione del potere.

Eppure è un principio che non è sempre difeso o condiviso, e non dagli “stranieri”, ma dalla nostra stessa classe politica, dalle nostre istituzioni. Dovrebbero fare qualche lezione anche loro, insomma…?

La realtà italiana presenta un deficit di laicità sia in senso culturale che in senso politico. L’assenza da questo punto di vista di insegnamenti costituzionali nella scuola dell’obbligo e nella scuola secondaria fa sì che larga parte della popolazione non sia stata formata ed educata alla laicità. Anzi, la perdurante presenza di privilegi materiali e simbolici per il cattolicesimo (ora di religione, crocifissi in classe) tende proprio a suggerire il contrario, ossia a far pensare che la “normalità” in Italia sia essere cattolici. Con tutto quel che ne consegue poi quando ci si viene a relazionare con persone non cattoliche o non religiose. Gli stessi commenti agli articoli che hanno dato la notizia della nostra vittoria in relazione al bando, intrisi spesso di venature violente contro la religione “diversa dalla nostra”, dimostrano come forse di progetti di formazione come questo ci sarebbe un gran bisogno anche per larga parte del popolo italiano.

Adele Orioli, responsabile iniziative legali Uaar

 

Foto: Marcello Semboli/Flickr




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