venerdì 30 ottobre 2015 - Pompeo Maritati

Politica economica: ricordate Cimabue quello che ne faceva una e ne sbagliava due?

E’ da troppo tempo che la politica non riesce più a trovare i rimedi ai numerosi problemi che assillano la quotidianità dei cittadini. A volte per non dire spesso, si ha la sensazione che questa politica da molti anni operi esattamente nella direzione sbagliata, ovvero come recitava un vecchio spot pubblicitario del Carosello televisivo di alcuni decenni fa: Cimabue ne fai una e ne sbagli due. Se al posto di Cimabue sostituiamo la Politica il senso è più che compiuto.

I problemi del paese da alcuni decenni si accavallano, si rincorrono, sembrano giocare a nascondino ed anche quando chiaramente individuati, il gioco riprende cercando il modo più facile per occultarli o peggio ancora dandoli per risolti. La disoccupazione continua a crescere nonostante le mirabolanti trovate renziane spacciate come la svolta epocale che a mio giudizio sta avendo l’unico effetto di far lievitare ulteriormente il debito pubblico. La produzione industriale, ovvero il motore pulsante del paese determinato dalla media e piccola impresa è in fase di continuo degrado. Le aziende chiudono i battenti e le più abili delocalizzano le loro attività in stati diversi. Attenzione non vanno solo in oriente dove la democrazia e diritti dei lavoratori sono ancore mere utopie, vanno in altri stati membri dell’Unione Europea. E di fronte a questo fenomeno inarrestabile quali sono state le soluzioni adottate dal nostro governo? Chiacchiere e promesse e laddove ha cercato di metterci le mani ci è parso di intravedere il Cimabue del vecchio romantico Carosello.

Il Paese ha bisogno di serie soluzioni che solo seri e preparati dirigenti dello stato possono porre in essere. Il problema è che oggi cercare costoro per assegnare questo arduo compito pare una sovrumana impresa. La qualità professionale, visto che le nomine di questi ultimi decenni sono state solo frutto di accordi politici e di mero clientelismo, ci ha dotati di una classe dirigente spesso inadeguata al ruolo ricoperto. Non vuol essere questa una gratuita offesa ad una certa parte dell’apparato burocratico dello stato, ma è una conseguente deduzione riveniente dall’inefficienza dell’apparato pubblico, che pur fagocitando ingenti risorse finanziarie offre ai cittadini servizi di qualità pari a quella dei paesi del terzo mondo, sperando di non arrecare, con questa affermazione, una offesa al terzo mondo.

Tutte le statistiche nazionali e internazionali stanno da anni evidenziando il nostro degrado in tutti i settori, privati e pubblici. L’unico settore dove orgogliosamente possiamo asserire di essere indiscutibilmente primi è quello della corruzione, rappresentando l’Italia, lei da sola, ben il 60% di tutta la corruzione degli Stati Uniti d’Europa. Aspetto che avrebbe dovuto farci rabbrividire oltre che vergognare, ma pare che questo indecoroso primato sia scivolato sulla nostra classe politica con raccapricciante indifferenza.

Ancora oggi attendiamo norme severe contro il peggiore fenomeno causa del generale degrado del paese e cosa fa il nostro governo? Escogita il “decretino” che ostacoli la registrazione di eventuali conversazioni che non siano state autorizzate dagli stessi interessati. Lo stesso Presidente del Senato, Grasso, disgustato, ha asserito che se avessimo avuto questa legge non avremmo mai saputo nulla di tutti i casi di corruzione di cui il mondo intero ci sta sguazzando dentro, grazie alla nostra incapacità di saper porre in essere i controlli adeguati ai poteri incontrollati dello stato, anzi nel nostro paese il controllore è spesso parte del controllato e da questi nominato.

Sta proprio nell’incapacità del nostro Stato di saper tutelare i suoi interessi che manipolati dal clientelismo e corruzione hanno prodotto un marciume gestionale di cui ancora non si conoscono le effettive proporzioni. E di fronte a questo squallore il governo cosa fa? Nulla. Anzi no, qualcosa la sta facendo e direi anche bene: chiacchiere e promesse. Promesse ovviamente non mantenute che vanno sostituendosi nel tempo, nella speranza che una nuova balla, scusate, una nuova promessa possa distrarre il cittadino. Adesso è ritornata di moda, rispolverata dal repertorio berlusconiano, la riduzione delle tasse ad iniziare dal 2016. Con un debito pubblico che ha abbondantemente superato i 2200 miliardi di euro, con una continua lievitazione della disoccupazione giovanile oramai prossima al 50% con una Europa che preme per una riduzione del debito pubblico e con un tessuto produttivo in affanno, il nostro capo del governo trova quale soluzione risolutiva la banale promessa della riduzione del peso fiscale, guarda caso partendo dal settore più sbagliato e meno produttivo per il paese: la prima casa. 

E’ la solita miopia governativa, che ancora non ha capito o se l’ha capito ha interessi altrove, che la riduzione delle imposte deve avvenire, attraverso una seria analisi delle stesse che gravano direttamente sull’impresa manifatturiera e di servizi. Gli 80 euro, per me definiti l’obolo preelettorale non sono serviti a nulla. Dieci miliardi che comunque non sono entrati nell’apparato produttivo del paese. Se non ci si pone in essere una vera politica industriale soprattutto mirata alle piccole e medie aziende che finalmente sia scevra da clientelismi settoriali, tra un anno staremo ancora a parlare di crisi e di disoccupazione. 

Sta di fatto che l’attuale quadro politico aldilà di estemporanee promesse , alcune delle quali dai contenuti discutibili, se non riesce a comprendere che è necessaria un’immediata inversione di rotta nella strategia politica ed economica, rischia di portarci ai margini di una crisi da cui sarà problematico poi uscirne, 2200 miliardi di debito pubblico sono oramai troppi per poter ipotizzare ad ulteriori periodi di stallo e di inefficienza. 




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