sabato 14 gennaio 2017 - Phastidio

Piani individuali di risparmio, la meravigliosa legge della capitalizzazione composta

Sulla urgente necessità di educazione finanziaria per gli italiani, nessuno ha più nulla da obiettare. Ma non parliamo solo di arrivare a capire natura, struttura e rischi delle obbligazioni subordinate, ed evitare bail-in e burden sharing. No, parliamo delle leggendarie “basi” dell’investimento. Ad esempio, la diversificazione del rischio e, ancora più a monte, una cosetta chiamata capitalizzazione composta. Casca a fagiolo quindi un post molto informativo e formativo di Nicola Borri per lavoce.info.

Come forse saprete, il panorama di investimento per i risparmiatori italiani si è da poco arricchito dei piani individuali di risparmio (Pir). Come spiega bene Borri,

«L’idea è semplice: per favorire il confluire del risparmio nell’economia reale, i proventi di investimenti in azioni e obbligazioni di società non quotate e residenti in Italia (per esempio attraverso fondi comuni) verranno completamente detassati. I vincoli principali sono che l’investimento deve essere mantenuto per almeno cinque anni e che non è possibile investire più di 30mila euro l’anno e 150mila euro nell’arco dei cinque anni. Il vantaggio fiscale è rilevante dal momento che in Italia i rendimenti sono tassati al 12,50 per cento nel caso di titoli di Stato e assimilati e al 26 per cento per le altre tipologie di investimento»

Si tratta di uno strumento che colma una lacuna italiana rispetto alla maggior parte dei paesi con i quali ci confrontiamo. Tuttavia, come nella migliore tradizione nazionale, nasce con “criticità” che altrove non si riscontrano. Il problema non è tanto il non piccolissimo importo massimo raggiungibile a regime (150 mila euro) sottoposto ad agevolazione fiscale, quanto il fatto che lo strumento non pare essere l’ottimo per raggiungere il principio cardine degli investimenti: la diversificazione. Ancora Borri:

«Innanzi tutto, l’incentivo fiscale spinge verso investimenti poco liquidi e rischiosi. I rischi sono solo in parte stemperati dalla diversificazione operata dal fondo e da alcuni vincoli sulla concentrazione del suo portafoglio di investimenti. In secondo luogo, l’investimento nei Pir aumenta l’esposizione al rischio “Italia”, già rilevante dal momento che i risparmiatori sono ampiamente scoperti su questo fronte: per esempio, per i rischi legati al posto di lavoro e ai valori del mercato immobiliare e dei titoli di stato»

E scusate se è poco. Della serie “mettete quante più uova possibili nel vostro paniere, lo Stato cercherà di aiutarvi nell’opera e non sarete etichettati come rentier finanziari puri”. Anzi, diventate tutti dei piccoli venture capitalist, visto il tipo di investimento, e auguri. Ma c’è anche un terzo punto, molto rilevante: i costi dei prodotti finanziati idonei al Pir, e la legge della capitalizzazione composta:

«Consideriamo infatti un investimento in un Pir pari a 150mila euro per trenta anni e con un rendimento medio pari al 2 per cento. Se non ci fossero commissioni, il valore finale sarebbe di poco oltre 265mila euro. In questo caso, il risparmio fiscale sarebbe di circa 30mila euro (ovvero, il 26 per cento della differenza tra il valore finale e iniziale dell’investimento). È probabile che questa sarà la cifra reclamizzata dagli intermediari per invogliare il risparmiatore. Tuttavia, le banche vorranno essere retribuite e le commissioni di gestione possono cambiare, e di non poco, il risultato finale. Uno dei primi Pir a essere collocati in Italia è il fondo Anima Crescita Italia che, da prospetto, richiede una commissione di entrata pari al 4 per cento e una annua pari all’1,46 per cento (oltre a commissioni di performance che entrano in gioco se i rendimenti superano alcuni livelli). In questo caso, anche senza prendere in esame le commissioni di performance e considerando il medesimo rendimento annuo pari al 2 per cento, il valore finale dell’investimento sarebbe di poco meno di 170mila euro per un risparmio fiscale di soli 5mila euro»

Il che non è male. Per l’intermediario. La spietata legge della capitalizzazione composta è all’opera. Per meglio comprenderla, ecco l’esempio con un Etf, che è di fatto un fondo-indice a basso costo, preso nell’ipotesi che non vi sia beneficio fiscale e sia quindi applicata l’aliquota per rentier puri ed affamatori del popolo sovrano:

«Per valutare l’impatto delle commissioni consideriamo il risultato di un investimento, su trenta anni e con un rendimento medio del 2 per cento, in un Etf con commissioni pari allo 0,5 per cento. Il valore finale dell’investimento sarebbe di circa 230mila euro. Dal momento che il rendimento viene tassato al 26 per cento, il valore finale, al netto delle tasse, sarebbe di circa 210mila euro, ben più dei 170mila del Pir, nonostante i minori rischi dell’investimento»

Anche qui, non male. Ma per il risparmiatore. E col piccolo bonus aggiunto della diversificazione dell’investimento, quisquilie. Che avrebbe dovuto fare il governo, allora, per plasmare i PIR in modo corretto, e come accade pressoché ovunque oltre frontiera? Questo:

«Il governo farebbe meglio a utilizzare la leva fiscale per premiare il risparmio di lungo termine, con una riduzione progressiva delle aliquote in funzione dell’orizzonte di mantenimento, a prescindere dalla tipologia di investimento, e a spingere i risparmiatori verso forme di investimento con minori commissioni di gestione (per esempio, rendendo opzione di default, nei piani pensionistici, investimenti a gestione passiva), come già avviene in tanti altri paesi. Il compito di finanziarie le piccole e medie imprese è meglio sia lasciato a fondi di private equity e investitori istituzionali»

Ecco, non avremmo saputo dirlo meglio. Bravissimo Borri. Forse il governo Renzi ha deciso questa struttura dei Pir per realizzare un’alfabetizzazione rapida e liofilizzata dei piccoli risparmiatori italiani, un balzo quantico da Bot people a venture capitalist. Purtroppo siamo in Italia, patria del risparmio tradito ed anche un po’ troppo tosato, in vari modi e per vari canali, quindi a pensar male si fa peccato eccetera eccetera. Attenzione, quindi: non facciamo i Pir(la).




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