lunedì 18 luglio 2016 - Giovanni Greto

Per non dimenticare Erik Satie

Sono molto frequenti gli omaggi a protagonisti della cultura per commemorare la loro nascita o scomparsa. A 150 anni dalla nascita, la figura di Erik Satie (Honfleur 17 maggio 1866-Parigi 1 luglio 1925), almeno a Venezia, non sarebbe stata ricordata da nessuno se non ci avessero pensato l’Associazione culturale Musica Venezia, artisticamente diretta da Roberta Reeder, l’esperto critico cinematografico, custode nell’Archivio omonimo di migliaia di capolavori, Carlo Montanaro, Tocnadanza, compagnia veneziana diretta da Michela Barasciutti e il Conservatorio Benedetto Marcello. E’ nato così con pazienza e dedizione uno spettacolo di cinema, musica e danza, presentato al mattino e al pomeriggio negli spazi del Conservatorio veneziano, che ha affascinato il pubblico, aprendo stanze per molti del tutto sconosciute.

L’evento è stato aperto dalla proiezione di “Entr’acte”, “intermezzo”, un cortometraggio di 22 minuti del 1924, diretto da Renè Clair, su un soggetto di Francis Picabia, pittore francese di origine cubana, con le musiche originali di Satie. La pellicola nasce come intermezzo di “Relache”(“giorno di chiusura settimanale”), lo spettacolo che la compagnia dei Balletti svedesi di Rolf de Marè mette in scena al Theatre des Champs Elyses il 27 novembre 1924. Nella presentazione al film, Carlo Montanaro ha ricordato quanto scrisse Picabia: “ Entr’acte è un intervallo alle imbecillità quotidiane che esprime i sogni e gli eventi non materializzati che si succedono nei nostri cervelli. Entr’acte non rispetta niente, tranne il nostro desiderio di ridere a crepapelle, giacchè ridere, pensare e lavorare sono azioni di uguale valore e reciprocamente indispensabili”. Il compositore francese Darius Milhaud ha ricavato dalla partitura per orchestra una versione per pianoforte, egregiamente e puntualmente eseguita a quattro mani da Francesco Bencivenga e Alessia Toffanin. Molti artisti recitano nella pellicola, da Satie con barba e bombetta in compagnia di Picabia a Marcel Duchamp e Man Ray che giocano a scacchi sui tetti di Parigi. Uno scatenato, giovane Renè Chomette, in arte Clair, dà vita a innumerevoli esperimenti visuali che , continua Montanaro “ancora oggi strabiliano e divertono proprio perché giocati sul filo del centesimo di secondo”. Priva di uno svolgimento narrativo, la sceneggiatura di Picabia allinea situazioni astruse e farsesche, secondo uno stile che muove dalle esperienze del movimento dadaista – da Dada, parola del linguaggio infantile, pescata a caso nel dizionario Larousse e usata come segno distintivo del movimento – il quale voleva tornare alla semplicità elementare, contro ogni retorica e si ispirava agli aspetti irrazionali della realtà. Uno stile che va addirittura oltre cercando nel movimento cinematografico quella fluidità dell’immaginazione che si avvicina alle avventure parigine del Surrealismo.

Dal piano terra gli spettatori vengono accompagnati al terzo per ascoltare la soprano Arianna Cimolin che, indossando vestiti, guanti e cappelli dell’epoca, ha dato vita ad un affettuoso, a tratti spiritoso, “Cabaret Satie”, per ricordare quando il compositore frequentava in veste di pianista famosi Cabaret come “Le chat noir” e “L’auberge du clou”. Assai apprezzate e godute le interpretazioni de “La diva de l’empire”, “Tendrement”, “La chapellier”, “Allons-y chochotte”, “Je te veux”. Bencivenga ha poi eseguito alcuni brani tratti da “Sports e Divertissements”(1914), mentre Stefano Menegus recitava alcune poesie sia in italiano che nell’originale francese della raccolta.

L’ultimo trasferimento, al quinto piano, è per assistere alla coreografia “le stanze di Satie”, creata da Michela Barasciutti, . Tre i movimenti diversi, a cui sono stati affiancati altrettanti brani musicali, di un balletto che vuol essere un percorso nella personalità e nella profonda sensibilità di Satie. Nel primo, i danzatori Ambrose Laudani e Giulio Petrucci si muovono sulle note appositamente rallentate di “Gymnopedie 1”(1888), eseguita da Bencivenga, disegnando la personalità dell’artista in età giovanile. Nel secondo, alla pianista Alessia Toffanin si affianca la violinista Anna Trentin, primo violino di fila dell’orchestra del teatro la Fenice, per proporre la “Sarabanda 3” (1887), per la prima volta in un arrangiamento per violino e pianoforte. A danzare è una coppia (lui, Petrucci, lei Marta Zollet), che delinea il rapporto sbilanciato e breve dell’unico grande amore di Satie per Susanne Valandon. Si assiste ad un dialogo tra Lei impudica e sensuale e Lui follemente innamorato e indifeso. Nel terzo brano, “Gnossienne 1”(1890), la Barasciutti ha voluto rendere omaggio alla passione maniacale del compositore per gli ombrelli, attraverso movimenti elegantemente noncuranti. Satie era una personalità singolare, semplice ed eccentrica, timida e scontrosa, aristocratica e progressista, verso la quale non solo musicisti, ma anche pittori e scrittori si sentivano attratti e al quale tutti in un modo o nell’altro furono debitori. Va perciò tributato un sentito ringraziamento agli ideatori dello spettacolo, con la speranza che anche l’Italia prenda esempio dalla Francia, nel riconoscere la statura di un compositore, innovatore geniale, musicista guida, la cui importanza, come scrisse il musicista Francis Poulenc “non ha alcun rapporto con l’entità della produzione”.




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