venerdì 25 marzo 2016 - Elena Ferro

Obama a Cuba con un pugno di mosche

Che cosa è andato a fare a Cuba un Presidente Americano alla fine del suo secondo mandato? Ecco perché questo viaggio mi pare meno significativo di quello che fece Papa Francisco

Ho riflettuto molto su questo viaggio di Barak Obama a Cuba. Poiché i gesti hanno sempre un forte significato simbolico, sono stata ad osservare le immagini che pian piano arrivavano a noi.

L'ultima volta che ho scritto su Cuba era per commentare la visita di Papa Francesco, nell'articolo Cuba, missa est, ma in quell'occasione avevo visto abbracci e fratellanza.

E ora che la famiglia americana più potente del mondo scende dall'aereo all'Havana, i riflettori sono tutti puntati su di loro. Ma per far luce su che cosa, esattamente?

Il tema è questo, secondo me.

#Dopo 88 anni un Presidente americano, sebbene alla fine del suo mandato e ciò non è casuale, varca una soglia che qualche anno fa appariva invalicabile, il confine con Cuba.

Sebbene arrivino un pò in sordina, l'agenda è fitta di appuntamenti. Obama alla partita di baseball, Michelle con i bambini delle scuole, Obama allegro con Raul (quando lo incontra). Il Presidente ha persino mandato a memoria qualche frase in spagnolo. Dice "creo en el pueblo cubano", "spetta al popolo cubano decidere del proprio futuro" e poi "sono qui per seppellire la fine della guerra fredda". Siamo di fronte a qualcosa di vero? La risposta non sta nelle parole, ma nei gesti e nei fatti.

Io penso che Obama sia arrivato a Cuba con un pugno di mosche. E voglio spiegarvi il perché.

E' dal primo minuto che qualcosa non mi convince. "Siamo di fronte a un fatto storico", esclama qualche commentatore, ma corredato da grossi punti interrogativi, aggiungo io.

La mano che Obama tende ai cubani infatti è vuota. Un pugno pieno di mosche

Restiamo nella metafora ed esaminiamo la prima mosca: si tratta dell'embargo, il bloqueo come lo chiamano laggiù. Forse che finirà da solo, come per incanto? E no, bisogna che la più potente nazione del mondo, gli Stati Uniti, che l'hanno inventato, decidano di smetterla. L'embargo vieta lo scambio e la fornitura di generi di tutti i tipi, compresi quelli alimentari, da parte dell'occidente a Cuba. Ne ho parlato a lungo nel mio diario di viaggio "Il futuro di Cuba c'è"

Per fortuna non tutto il mondo gravita attorno all'influenza degli USA, altrimenti il Presidente parlerebbe a dei cadaveri.

Raul incalza e non lascia un millimetro di terreno. Chiede subito la revoca dell'embargo e Obama è costretto a glissare. La verità è che il Congresso degli Stati Uniti non ha per il momento alcuna intenzione di mollare e non ci sono nemmeno timide avvisaglie in tal senso.

L'altra mosca è Guantanamo, la prigione in un angolo a nord dell'isola caraibica che appartiene agli USA e che ai tempi d'oro ha "ospitato" fino a 779 prigionieri politici. Il Presidente Americano parla di diritti umani, ma ha lo sguardo strabico. Mi ricordo quando fu eletto. Guantanamo era uno dei suoi obiettivi politici dichiarati all'inizio del primo mandato. Chiudere quel carcere di massima sicurezza dove i diritti restano fuori e restituire quel lembo di terra ai cubani. Dev'essere dura mettere piede sull'isola avendo bucato l'obiettivo.

Dopo il patriot act, idea dell'amministrazione Bush junior (bisogna ricordarsi che negli USA c'è una certa tentazione alla dinastia...) che passò senza alcuna discussione come provvedimento urgente anti-terrorismo dopo i terribili fatti dell'11 settembre, Guantanamo era lo spazio ideale per seppellire persone che nessuno ha più voglia di ricordare. Farlo fuori da casa propria è davvero una soluzione sagace.

Come non si ha voglia di ricordare quelle guerre 'per la democratizzazione', oppure 'contro il terrorismo lontano da casa' in medio oriente, o i bombardamenti, o chi abbiamo armato, per poi vederlo scagliarsi contro di noi.

#Invece le cose vere di questo viaggio non sono passate attraverso i discorsi ufficiali o i gesti pubblici, ma si sono rivelate nelle cose nascoste, come spesso accade.

Partiamo dalla delegazione ufficiale al seguito del Presidente Obama a Cuba, una chiave di lettura assolutamente interessante: oltre alla sua famiglia, il Segretario di Stato John Kerry, il Segretario dell'Agricoltura e quello del Commercio, il Segretario delle Piccole Imprese, giuristi bipartisan, imprenditori e naturalmente leader cubani naturalizzati americani, quei dissidenti fuggiti a Miami che ora con Cuba vogliono prendersi la rivincita. Così, tradotto in parole povere....

#Contattare e influenzare la società civile, rinsaldare i legami tra cubani sull'isola e cubani statunitensi, ecco il senso dentro il pugno di mosche

La partita di baseball che sancisce la possibilità di far giocare atleti cubani negli States o l'incontro della First Lady con i bambini per parlare di diritti e democrazia, la dimostrazione che chi è fuggito ce l'ha fatta e anche alla grande, sono gesti di conquista culturale, che servono a mettere in mostra i valori dell'occidente, valori vincenti. Ci vuole un bel daffare a dimostrare che laggiù i diritti sono quelli alla salute, all'istruzione, all'infanzia, al cibo e all'assistenza.

Dunque nessun segnale di ripensamento sulla tragica scelta di applicare l'embargo economico a questo paese, ma conquista culturale.

Agricoltura, Piccole Imprese e Commercio. Un messaggio chiaro: contattare e aprire un dialogo con i settori privati più che con lo Stato. Per questo Fidel non si palesa e Raul, capo di Stato davanti a capo di Stato, allontana vigorosamente la mano che Obama prova a mettergli sulla spalla, in un gesto simbolico fortissimo di autonomia e dignità.

La bella famiglia di Obama è senza dubbio un messaggio forte. E la scelta di un Presidente. sulla soglia della Casa Bianca. di avvicinare Cuba è per me più un tentativo di costruirsi un "dopo" che di dare una spallata finale. Staremo a vedere.

E l'immagine di Obama in primo piano con sullo sfondo la figura del Che Guevara in Plaza de la Revoluccion mi appare ora nel suo significato più profondo. Il tentativo di Obama di sovrapporsi e mettere fuori fuoco l'icona di ciò che Cuba è stata per la storia del Continente Americano e per il mondo intero.

Solo che quella figura, insieme a quella di José Martì, celebrata proprio in questa occasione speciale di incontro tra due mondi, resterà per sempre nel cuore dei cubani e di tutti noi.




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