mercoledì 10 febbraio 2016 - Giovanni Graziano Manca

Malinconia e solitudine, estro artistico e "cura di se"

Ti aggrediscono alle spalle e quando te ne accorgi è già troppo tardi e allora soffri le pene dell’inferno. Talvolta, invece, te le vai a cercare, e allora ti piace rimanere solo e saresti capace di startene per ore trasognato a guardare la strada al di là del vetro di una finestra rigato dalla pioggia battente. In quei momenti il tuo sguardo è proiettato fuori ma non vede niente, che solo tu, conti, e i pensieri che hai nel cuore. Amara malinconia dolce… Non sempre, fortunatamente, malinconia e solitudine si manifestano con tratti distintivi negativi o con connotazioni patologiche. Inoltre, nelle persone che hanno inclinazioni artistiche e dispongono di talento, immaginazione e inventiva, i momenti di isolamento e di ritiro possono preannunciare improvvise esplosioni di fecondità artistica.

Malinconia e solitudine sono sempre stati il motore propulsivo di chi crea e fonte di ispirazione irrinunciabile per artisti e letterati di ogni tempo. Giacomo Leopardi, artista malinconico e solitario per natura, per esempio, esprimeva così, in una delle sue poesie più amate da sempre e più intrise di mesto pessimismo, L’infinito, la bellezza sublime del dissolversi e svanire dell’uomo di fronte all’infinito: […] Così tra questa/Immensità s'annega il pensier mio:/E il naufragar m'è dolce in questo mare…

Versi che tutti conosciamo e amiamo. Ma di malinconia e solitudine testimoniano anche l’opera poetica di Guido Gozzano, molti dei quadri di Edward Hopper e i concerti per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov o, se si preferisce, che solo di esempi si tratta, L’antologia di Spoon River di Lee Masters, non poche delle pitture di Vincent Van Gogh e l’opera pianistica di Chopin. Il senso di malinconia e la profonda consapevolezza di essere soli con se stessi appaiono particolarmente vivi nelle ore notturne. Avete mai provato, voi, a scrivere di notte? Rare le auto, pochissime anche le sirene, il lattoniere dell'angolo è chiuso e i cantieri edili e le officine paiono angoli di cimitero. Può essere facilmente sperimentato: il silenzio delle ore notturne è tra le condizioni che consentono di chiamare appassionatamente a raccolta e riordinare con calma e concentrazione i propri pensieri sparsi. Non solo e necessariamente quelli “trascendenti” ma anche, per così dire, quelli più concreti e immediati su cose dimenticate che “riappaiono” improvvisamente dopo essere state rinchiuse per tanto tempo nella nostra testa oppure su circostanze e avvenimenti d’ogni giorno tra quelli che più hanno richiamato la nostra l’attenzione capitati durante la serata appena trascorsa.

Celebrate da poeti, scrittori e filosofi, malinconia e solitudine talvolta possono costituire un vero e proprio toccasana pedagogico, uno degli “impegni” a cui ci si può abbandonare liberamente e totalmente quando si sente il desiderio di sperimentare una salutare “cura di se”.

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Sul tema della solitudine, condizione passeggera o permanente dell’esistenza umana cui molto frequentemente si accompagna la malinconia, sentite con quanta sensibilità e delicatezza ma anche, direi, con quanta speranza e concretezza, nel passo che segue, si parla di solitudine.

 

“Alla fine è questa la solitudine: avvolgersi nella seta della propria anima, farsi crisalide e aspettare la metamorfosi, perché questa arriva sempre. Nel frattempo si vive delle proprie esperienze e telepaticamente si vivono le vite degli altri. Morte e resurrezione; una nuova educazione per un futuro sconosciuto”
 

E’ il concetto di solitudine espresso, sperimentato nel proprio intimo e verosimilmente “filtrato” attraverso la malattia (pare che Strindberg soffrisse di disturbo bipolare), agli inizi del novecento, negli anni parigini, da August Strindberg (il brano è tratto da: August Strindberg, Solo, Roma 1992): una solitudine, quella del grande letterato scandinavo, che è anche insegnamento di vita e apprendistato esistenziale continuo, nell’attesa di una futura, più o meno vicina (o lontana) “resurrezione”. In questo modo, qualche riga sotto, il drammaturgo svedese affina il discorso intrapreso:

 

 “Alla fine si è l’unico padrone di sé stessi. Nessun pensiero d’estraneo controlla i miei, nessuna idea o capriccio altrui limita i miei. L’anima inizia adesso a crescere in una libertà nuova acquisizione, e si prova un’inaudita pace all’interno, una quieta gioia, un sentimento di sicurezza e senso di responsabilità”
 

Ancora: Strindberg entra nel merito delle cause del suo esser solo; tra le righe anche i motivi per cui egli considera preferibile ad altre la sua condizione di uomo solo…

 

“Non sono mai stato un tiranno, ho solo cercato di non farmi tiranneggiare, e le persone tiranniche non lo sopportano. Al contrario, sono sempre stato nemico dei tiranni e i tiranni questo non lo perdonano. Ho sempre voluto andare avanti, elevarmi, e ho perciò sempre avuto il supremo diritto di lottare contro quelli che volevano trascinarmi in basso e per questo sono rimasto solo”

 

… mentre lucidamente racconta del suo essere consapevole della insostenibilità nel tempo della solitudine perché

 

“La solitudine s’intona bene con la catalessi della natura, ma a volte diviene troppo pesante”

 

Strindberg conclude nel senso di una finalmente raggiunta, da parte sua, coscienza sulla impossibilità di rifiutare la propria esistenza che è sempre degna di essere vissuta in quanto offre l’opportunità di raggiungere uno stato di consapevole serenità pur dovendo ciascuno continuamente lottare e lavorare per poter affermare la propria dignità umana:

 

“Felice di essere arrivato dov’ero, quando potevo rallegrarmi della felicità altrui senza traccia di dispetto, nostalgia o finte inquietudini, uscii dal luogo delle mie pene giovanili e tornai a casa, alla mia solitudine, al mio lavoro e alle mie lotte”

 

Solitudine e malinconia possono sostenerci e assisterci, quando si tratta di mettere ordine nei pensieri e nei sentimenti. E ci da una mano anche quando abbiamo necessità di quella certa pausa di riflessione per indirizzare correttamente ogni sforzo compiuto in direzione della realizzazione dei nostri progetti secondo il nostro più intimo desiderio. Mi pare questo, il significato più profondo di questa breve, ma intensissima riflessione tratta da Henry David Thoreau, Walden o Vita nei boschi, Milano 2005:
 

“Solo quando ci siamo perduti – in altre parole, solo quando abbiamo perduto il mondo – cominciamo a trovare noi stessi, e a capire dove siamo, e l’infinita ampiezza delle nostre relazioni…”.

 




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