Lo spettacolo in tivù
La scena mi strappa un sorriso: il mio amico, la tivù, non la guarda mai! Lui è un internauta doc... Usa solo il PC connesso alla rete...
Sto parlando di un amante della tecnologia, dotato di ostinazione e pazienza come pochi altri (nessuno comunque che io abbia mai conosciuto), e quando trova un intoppo riversa tutto il suo potenziale in quel nodo, fintanto che la questione non sia risolta. Lui è capace di lavorare per ore senza nemmeno una sosta; in quei momenti, com'è giusto che sia, non ha occhi né orecchie per nessuno.
Ed io non resisto: lo stuzzico con domande alle quali risponde veloce, ma in modo sconnesso: è gentile ma vuol togliermisi di torno il prima possibile. Lo frequento da anni e di scene così ne ho già viste accadere. Quindi, insensibile al depistaggio dei grugniti e delle espressioni rassegnate che appesantiscono l'aria, invadendola, assisto all'evento.
Lo schermo rimanda finalmente nitide immagini dai colori sgargianti e, al contempo, la schiera di piccoli altoparlanti distribuiti sulle quattro pareti - "sette più uno" con effetto surround, non so se mi spiego! - accende la memoria di eventi accaduti alla mia persona in giovane età, attraverso l'emissione di note vivaci di musica già conosciuta.
L'attenzione si sposta sul video, e riconosco due artisti che ho sempre molto apprezzato: Zucchero Fornaciari e Francesco De Gregori.
Sorrido di piacere e poi scoppio in allegra risata. Accade: la tivù, lo spettacolo, gli artisti... Impalcature messe su ad uso e consumo di un pubblico reale, ma anche un poco fittizio. Regole implicite segnano un copione prevedibile e falsamente improvvisato.
Atteggiamenti di finta sorpresa, ammiccamenti a comuni equivoche epressioni, doppi sensi non proprio celati e abbigliamento fintamente d'occasione. Canticchio il motivo familiare e riconosco che costituisce il solo originale elemento della trasmissione. Anche rispetto agli artisti, che si atteggiano sul palco con mosse studiate e arcinote, sotto agli stessi vistosi cappelli che portano in testa da oltre vent'anni.
Le zoommate sui volti rivelano, impietose, segni di chirurgia estetica, i cui esiti- seppure piuttosto ben riusciti - limitano l'espressività dello sguardo e del sorriso, snaturando la persona e danneggiando il mito che gli è connesso.
Non sono più loro, anche se li si vuol riproporre cosi com'erano allora.
Il tempo scorre. Per tutti e per tutto.Tranne che per certa musica, e per le immagini che vi si sono aggrappate, presentandosi immediate al pensiero, come fissate alle note dal velcro.
Ma tutto in tivù deve apparire pù' fresco, giovane e liscio, anche al prezzo di mostrare coloro che un tempo son stati leggenda in modo piuttosto farsesco.
Non riesco a non ridere osservando i vari strati di trucco e gli zigomi tirati a rendere lucida la pelle, le sopracciglia scolpite, depilate col bisturi e letteralmente disegnate sul volto, e la pelle raggrinzita del collo, che trema danzando al ritmo di musica.
Pause tra un brano ed un altro, il via vai di artisti che si alternano tra un dialogo e una performance. E un pò qui e un pò là si dedica spazio a brevissimi dialoghi, la cui sintassi è descritta da ammiccanti espressioni, così esasperate che di naturale non hanno granché: parodia di se stessi, in piena coerenza con quanto accade davvero.
E poi le battute sul sesso, dai contenuti piu o meno espliciti, nel pieno rispetto del più falso senso del comune pudore.
Niente di nuovo sotto il sole, nè dentro lo schermo, ovviamente.
Sorrido.
Muovo i piedi e le dita a ritmo di musica; parole testimoni di una parte della mia gioventù fuoriescono a ritmo, spontanee, dalle mie labbra.Sorrido davanti allo show: scomposto nella sua sostanza, ma regolare nella sua essenza.
Obbiettivo raggiunto: divertimento integrale.