lunedì 10 aprile 2017 - quartopensiero

Legittimo il licenziamento con calcio in c.

Non dispiacerà a Renzi, né ai suoi prodi paladini Poletti e Calenda, la sentenza della Cassazione che legittima il licenziamento "per un incremento del profitto". 

In sostanza, dice la Suprema Corte, anche se per vent'anni il lavoratore ha buttato il sangue per contribuire ai successi dell'azienda, nel momento in cui il datore di lavoro reputa che il suo salario non assicura più un'adeguata redditività, magari perché per i due mesi successivi non ci sono abbastanza ordinativi, può gettarlo via come una scarpa vecchia.

Tanto - lo conforteranno i suddetti prodi - il mercato del lavoro è dinamico, e se domani gli ordinativi tornassero a crescere, può assumere un altro senza problemi. Che nel frattempo il lavoratore possa prendere la fame, non è un problema dell'imprenditore. E' un uomo libero, non uno schiavo, e dunque non tocca a lui sfamarlo.

Quanto alla dignità del lavoratore, invece, l'articolo primo della Costituzione va, per così dire, interpretato in maniera un pochino più concreta. La Repubblica è fondata sì sul lavoro, ma a condizione che il lavoro garantisca un buon profitto. In caso contrario, la Repubblica sopravvive lo stesso anche fondata sulla disoccupazione. Quanto alla sopravvivenza del disoccupato nella Repubblica, sono fatti suoi.

Non ci sono ancora pronunciamenti ufficiali circa le modalità di licenziamento, ma tutto lascia prevedere che nei contenziosi che potranno sorgere bisognerà tener conto di questa sentenza. Qualora, per esempio, l'imprenditore anziché ricorrere alla tradizionale lettera raccomandata, optasse per un calcio in culo, si dovrà per prima cosa valutare quale sia la sua incidenza sul profitto, piuttosto che sul deretano del destinatario. E se l'imprenditore sosterrà che un calcio in culo veicola il messaggio con uguale chiarezza della lettera, avendo però l'indubbio vantaggio di essere gratis e di non gravare sui bilanci dell'azienda, garantendo in questo modo un maggior margine di profitto, il giudice non potrà che battergli le mani.

 

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