lunedì 5 giugno 2017 - Aldo Giannuli

Legge elettorale: tutte le novità

Le novità sulla legge elettorale si succedono sullo schermo del pc a ritmo frenetico e non sempre il commento riesce a tenere il passo. Ad esempio devo un errata corrige: la norma sulle coalizioni di collegio e circoscrizione (di cui all’art. 18 bis comma 7) è saltata e non c’è più. Ora vengono altre novità:


a.  i collegi uninominali sono ridotti a 225
b.  riduzione delle circoscrizioni da 27 a 22
c.  cancellazione delle pluri candidature nei listini bloccati.
Piccole concessioni al M5s che risolvono qualche problema ma ne aprono altri.

Iniziamo dalla riduzione dei collegi, il cui numero coincide con quello dei collegi senatoriali del Mattarellum, il che permetterebbe di adottare quel disegno dei collegi senza farne uno nuovo (resta però da risolvere il problema dei collegi al Senato, dove il numero scende a 127 e quindi si dovrà disegnarne di nuovi). La norma ha lo scopo di eliminare il rischio che un eletto nei collegi uninominali resti escluso per via della preferenza accordata al capilista della sua circoscrizione, insomma, garantire che tutti i vincitori negli uninominali trovino posto in Parlamento. Ma in realtà, questo riduce ma non elimina il rischio, e facciamo un esempio: nella circoscrizione 18 il partito A ha vinto in un collegio uninominale, ma la distribuzione territoriale dei seggi fa sì che in quella circoscrizione esso abbia un solo seggio che andrebbe al numero 1 del listino.

Per consentire l’elezione del vincitore di collegio occorrerebbe che i seggi a disposizione fossero 2, ma non è scritto da nessuna parte che un partito abbia sempre capienza per due eletti in ciascuna circoscrizione. Quindi, piaccia o no, questa misura non sana l’incostituzionalità della norma. Accentua, invece un altro problema, quello delle mancate preferenze. Infatti, la prima sentenza della Corte Costituzionale in materia (2014) stabiliva che le liste bloccate avrebbero potuto essere compatibili con la Costituzione se non fossero state troppo lunghe.

Criterio assai opinabile, ma comunque fissato dalla Corte che, peraltro, si è guardata bene dal dire entro che limiti una lista è lunga o è corta (ma questo fa parte dell’allergia per i numeri dei nostri giudici costituzionali che sono tutti stati allevati a pane e materie umanistiche). Ora, nella situazione precedente avevamo 303 seggi di proporzionale da dividere per 27 circoscrizioni, per cui la media era di 11, che però si riduceva (a circa 3-4) per la norma che limitava il numero dei candidati dei listini, ammettendo per il recupero dei seggi non coperti i migliori non eletti nell’uninominale. Ora con l’aumento dei seggi di proporzionale e la parallela riduzione delle circoscrizioni, la media sale a 17,5. Per cui o il numero dei candidati dei listini sale (a 7-8 circa) e la lista comincia ad essere “lunga”, oppure si lasciano i listini come sono e la grande maggioranza degli eletti verrà dai collegi uninominali. Il che ha la conseguenza di rafforzare ancora di più il peso del candidato uninominale e, per il meccanismo del voto unico, rafforzare il voto al candidato rispetto a quelli di lista che vale per il proporzionale.

Condivisibile, ma assolutamente marginale, è il divieto delle candidature plurime: un contentino al M5s per fargli digerire il resto.

Le questioni “pesanti” sono altre e restano irrisolte:
a.  il voto unico per proporzionale ed uninominale
b.  l’assenza delle preferenze
c.  la clausola di sbarramento al 5%.

Sul voto unico abbiamo detto e non ci ripetiamo, se non per registrare questa ulteriore spinta ad accentuare il peso della logica uninominale rispetto al proporzionale.

Sulla questione delle preferenze ho letto l’ameno commento di un autorevole parlamentare che si consola sostenendo che, se non ci sono le preferenze, ci sono le primarie. Dimenticando:
a.  che non NON abbiamo le primarie per legge, ma come soluzione volontaria di alcuni partiti e con modalità diverse l’uno dall’altro (su carta per il Pd e on line per il M5s)
b.  che se dovessimo introdurle per legge, occorrerebbe adottare un’unica modalità di voto ed ho molti dubbi che ad essere prescelta sarebbe quella on line
c.  che le primarie, proprio per essere fatte in casa come le tagliatelle, non hanno alcuna garanzia regolarità (per dirne una: non disponendo degli elenchi ufficiali degli elettori, permettono. almeno in teoria, di votare più volte ad uno stesso elettore)
d.  che le primarie si riferiscono ad un campione elettorale molto più ristretto di quello dell’elettorato nella sua interessa e, pertanto sono più manipolabili e con molta minor spesa dei voti di preferenza che indignano tanto le anime belle come quella dell’on Finocchiaro che giudica “non trasparenti” le preferenze e trova che le primarie siano acqua di fonte.
Direi che non c’è da aggiungere altro.

Sulla questione della soglia di sbarramento osservo che:
a.  in Italia abbiamo avuto la soglia del4% dal 1994 al 2005 con il Mattarellum, poi sempre del 4% per i con coalizzati e del 2% per i coalizzati con il Porcellum, mentre l’Italicum portava tutto al 3%.
b.  che prima della sciagurata riforma elettorale del 1993, il sistema elettorale italiano aveva come soglie per l’accesso al Parlamento il conseguimento di un quoziente pieno in una circoscrizione e 300.000 voti nazionali.
c.  Che nonostante la soglia molto bassa per l’accesso al collegio unico nazionale, i partiti rappresentati in Parlamento furono 8-9 (poù Svp ed Uv) sino a l 1976 per diventare 11 nel 1987. Nella seconda Repubblica, con le norme ricordate, le sigle presenti in Parlamento non sono mai state meno di 13 ed hanno toccato anche punte di 27.

Questo strano comportamento che inflaziona le sigle man mano che la soglia cresce, è stato dovuto a due fattori: in primo luogo per la logica maggioritaria che spinge ad accogliere in liste e coalizioni il maggior numero di gruppi per avere quel voto in più che fa scattare il premio di maggioranza (nel 2006 la coalizione di sinistra contava 12 partiti): in secondo luogo, proprio la soglia di sbarramento ha spinto spesso diversi partiti a presentare liste comuni (ad esempio la Margherita nel 1999 che assommava 3 partiti diversi o la Sinistra Arcobaleno nel 2008 che era composta da tre partiti) che, talvolta si frantumavano subito dopo le elezioni (si pensi alla lista Dini o alla Lista Monti).

La spinta alla frammentazione, in tutti i casi, è venuta dalla forte personalizzazione dello scontro politico che è sfociata in un pulviscolo di partiti del “leader” che nascono, si fondono, muoiono e rinascono in continuazione dando luogo al fenomeno dei partiti-melassa che vivono solo all’interno del palazzo, rispetto ai quali qualsiasi soglia di sbarramento non terrebbe. Nella prima Repubblica i partiti erano prima di tutto organizzazioni organizzati sul territorio, rispetto ai quali i leader avevano peso ridotto rispetto al principio collegiale e questo ne conteneva il numero. Forse studiare un po’ di storia farebbe bene ai nostri sagaci legislatori.

Aldo Giannuli



1 réactions


  • Bruto (---.---.---.250) 5 giugno 2017 13:19

    “Contrapposti gli uni agli altri, i partiti sono in realtà, tutti d’accordo per mantenere i regime dei partiti - così come i politici sono d’accordo per mantenere la funzione politica. (…) Tutti pretendono di voler difendere l’interesse comune; tutti difendono in realtà la propria potenza e pensano prioritariamente all’estensione dei propri feudi”. (Alain de Benoist)


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