giovedì 26 agosto 2010 - Domenico Marino

La voce di Sakineh Ashtiani

Carcere di Tabriz, nord-ovest dell’Iran. Se si chiudono gli occhi si sentono 99 lamenti che seguono 99 frustate. Questa è la pena per chi, come Sakineh Mohammed Ashtiani, intrattiene una relazione illecita. 99 frustate. Chissà poi perché proprio 99. Già alla terza probabilmente si perdono i sensi. A questo punto si potrebbe fare cifra tonda. Tanto per la condannata che differenza fa?
 
Non basta. La condanna per adulterio prevede la lapidazione. Nel 2010. Lapidazione: in cosa consiste? Nel prendere a sassate una persona interrata (se è un uomo fino al bacino, se è una donna fino al seno) finché non muore. Attenzione, però, le pietre non devono essere eccessivamente grandi, per non provocare una morte immediata, né eccessivamente piccole affinché i colpi siano sufficientemente dolorosi. Chissà cosa pensano i lanciatori di pietre mentre tirano i sassi e odono le grida di dolore e vedono le lacrime di un proprio simile che muore per mano loro in una maniera così inumana.
La storia di questa povera donna, la cui peggior sfortuna è stata quella di nascere in un posto del genere in un periodo sbagliato (perché l’Iran è stato ben altro, in passato), ha fatto il giro del mondo e personaggi di ogni calibro (capi di stato, filosofi, scrittori, gente comune) hanno espresso la propria indignazione per una vicenda del genere. Quali speranze ha di cavarsela la povera Sakineh? L’Iran esercita la propria sovranità applicando le proprie leggi, anche se ingiuste, e nessuno può interferire. Dei 5 giudici che hanno valutato il caso, 2 hanno votato contro la lapidazione, considerando la colpa già espiata con le frustate (che indulgenza) e dichiarando di non avere sufficienti elementi per una condanna a morte, mentre gli altri 3, tra cui il presidente del tribunale, hanno stabilito la pena di morte sulla base della “conoscenza dei giudici” (prevista per legge), come riportato sul sito di Amnesty International, ovvero sulla propria discrezionalità.
Da questa vicenda emerge l’impotenza della comunità internazionale. Quanto contano organismi come l’ONU in una situazione del genere? Zero! Quanto valgono le pressioni internazionali? Sempre zero! Per vari motivi, economici e politici. Principalmente perché l’Iran è un importante fornitore di petrolio, per cui non teme sanzioni. In secondo luogo, perché vuol dimostrare la propria sovranità e, se mai deciderà di essere clemente, sarà per propria decisione, non per decisione altrui.
Che armi ci sono per combattere situazioni del genere? Nessuna. Il diritto internazionale non consente ingerenze, dovendo riconoscere le sovranità nazionali, seppure condizionate dall’appartenenza all’Organizzazione, e prevede solo sanzioni. E chi danneggiano le sanzioni internazionali verso un determinato Paese? Non la classe dirigente di quel Paese, ovviamente, ma il popolo. Che già di suo vive male.
E allora qual è la soluzione? Non c’è. Fin quando si avranno interessi politico/economici in quello Stato, nessun Paese avrà intenzione di intromettersi in situazioni del genere. A meno che la situazione non degeneri, per cui qualche potenza decide di appoggiare le correnti avverse al governo attuale, facendolo cadere. Al costo, nel frattempo, di qualche altra decina di Sakineh Ashtiani.



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