mercoledì 1 marzo 2017 - Maria Francesca Carnea

La ragione dello sconnesso fare politico

Non c’è più un perché politico per stare insieme, e non da adesso, allora perché perpetrare uno stillicidio già ampiamente segnato? Perché concentrare energie, parole, servizio pubblico alla mercé di gente che ascolta solo e unicamente se stessa a dispetto della comunità degli elettori? Gente che manifesta rancore, ottusità, antagonismi, personalismi, violenza del linguaggio, totale adesione ai vizi dell’ego, a fronte di quanti, del corpo elettorale, sembrano imbambolati, storditi dal non senso a cui è costretta ad assistere. Una conferma dell’inconsistenza politica che vanta il fare per il Paese ma che tradisce, minuto per minuto, un mandato temporale, dall'alto del suo benestare.

Alla moltitudine di persone che ha problemi di sussistenza, di casa, di lavoro, cosa interessano queste ciarlatanate? Non siete in grado di governare le vostre realtà di partito, chi pensate di volere governare? Siete così distanti dalla realtà che verrebbe da dire: Marte ha generato i suoi figli sulla terra. E la ragionevolezza politica nelle questioni del vivere reale è bene quasi introvabile, per non parlare del tempo delicato che si attraversa per l’Europa e la situazione internazionale. Andate a imparare dai Contadini, iniziate percorso di formazione e cultura, imparate a impastare le mani nella terra della verità del lavoro, del sudore, poi forse avrete altra occasione di dare contributi nel mondo reale. È così difficile riuscire a capire che si parla linguaggi diversi? È del tutto chiara la incompatibilità: lo schema della tradizione e impostazione dei partiti, a fronte dell’inconsistenza generalista della trasposizione aziendale populista e autoreferenziale delle nuove forme ‘partitico movimentiste’.

Il rispetto che si chiede, si deve dare, e non solo ai singoli, ma a chi permette a quei singoli di stare al comando, singoli che non hanno il senso della collettività e comunità, la includono solo se uniforme al pensiero unico ‘del capo’. Il rispetto si deve al popolo, poiché non si è chiamati umanamente e politicamente ad avere, ma a dare. Se non c’è reciprocità nel senso del rispetto, non ci può essere lealtà, correttezza, fare politico. Ed è morte lenta, oltre che presa in giro per il popolo che subisce il malessere e le astiosità basse degli interessi dei nani, a fronte della gigantesca difficoltà economica ed etica che la società civile subisce.

Da chi non ha consapevolezza di valori non si può pensare di ricevere scuola, lezioni, governabilità. Senza senno, comunione d’intenti, passione virtuosa al consortium, ogni famiglia si disfa, senza un minimo di pensare il bene comune, si perviene al nulla. L’elemento di congiunzione, il collante non può essere una persona, sono i valori umani a unire, a fare ed essere corpo dell’anima, delle idee di costrutto, delle proposte e dei progetti concreti. L’uomo solo al comando è il fallimento di ogni società civile, anche quello che si intromette in ogni questione pensando di governarla, e non si può chiamare ordine democratico. Questo vale per l’emisfero politico tutto. Fin quando lo squallido relativismo, l’autoreferenzialità, l’incompetenza condizionerà la Nazione? A quando la cultura della vita?




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