giovedì 1 giugno 2017 - Giovanni Graziano Manca

La mia passione per la musica nella piccola grande città di Nuoro

Ho iniziato molto presto, ad ascoltare musica. “Avventura”, il seguitissimo programma della TV dei ragazzi, è stato anche il mio primo approccio con le grandi e immaginifiche emozioni che questa forma d’arte regala; le sigle iniziale e finale (chi non le ricorda?) erano costituite la prima da una energica cover della beatlesiana ‘She came into the bathroom window” cantata da Joe Cocker, la seconda dal celebre brano dei Procol Harum , “A salty dog”, motivo melodico e classicheggiante, indimenticabile. Siamo alla fine dei Sessanta. In seguito arrivarono “Alto gradimento” e le varie classifiche radiofoniche dove si ascoltava un po’ di tutto. Ancora dopo arrivarono Dylan, Guccini, gli Area e tutto il “progressive” italiano, e il film per la TV “Jazz Band” del 1978, opera di un Pupi Avati autobiografico che rivede la sua stagione di musicista Jazz trascorsa in gioventù a Bologna.

Quasi tutti gli anni Settanta li ho passati a Nuoro. “Piccola città, bastardo posto”, cantava Guccini in una delle sue canzoni di quegli anni. Eppure, Nuoro, anche quella dei Settanta, specialmente quella della seconda metà del decennio, ha rappresentato per me il luogo dove, con poche linee d’ombra, era possibile vivere appagando pienamente le proprie passioni ed esigenze culturali. Il giudizio, ovviamente, implica la consapevolezza del fatto che il passato sembra essere sempre migliore del presente perché rievoca le emozioni, la forza e gli ideali della prima giovinezza. In città, allora, si viveva una certa aria di contestazione; credo però fossero molto sentiti il senso dell’amicizia, del gruppo, e la passione di alcuni, spesso gestita acriticamente e senza mediazioni, per la politica. Lo dico anche se nel turbine della politica vera e propria io, con tutt’altro genere di interessi nella testa, non ci sono mai entrato.

Vero è anche, lo sosteneva Marcel Proust, che tutte le cose della vita che sono esistite un tempo tendono a ricrearsi e che nella nostra memoria, essendo essa una specie di farmacia, si trova un poco di tutto. A parte queste avvertenze, devo anche dire che il convincimento, la completa sicurezza di essere nato e cresciuto in una città “importante” io li ho sempre avuti. La frequenza con cui si usava definire Nuoro (orgogliosamente non meno che aulicamente) l’ “Atene sarda” (lo si fa ancora, ma un po’ meno) credo abbia fatto il resto. Sul significato più pieno della definizione, peraltro, forse a quei tempi avevo delle lacune, ma certo intuivo quanto essa avesse a che vedere con la vivacità culturale del luogo dove abitavo e dove ero nato. Oggi non mi stupisce affatto che la città di Nuoro avanzi la propria candidatura a Capitale italiana della Cultura per l'anno 2020.

Ma tornando alla musica. Per me, almeno inizialmente, l’informazione musicale era rappresentata da “L’intrepido”, disimpegnata rivista di fumetti e di articoli sportivi su cui tra l’altro compariva “Corto circuito”, rubrica curata ogni settimana da Gianni Boncompagni. L’Intrepido e “Corto circuito” presentavano, in ogni numero, il profilo, adeguatamente corredato da immagini, di uno o più personaggi della musica tra quelli che allora andavano per la maggiore mentre “Ciao 2001”, fondato e a lungo diretto da Saverio Rotondi, giornalista prematuramente scomparso nel 1983, fu il contenitore di sogni, speranze ed ansie di molti ragazzi prima ancora che giornale periodico specializzato. “Ciao 2001” annoverava tra gli articolisti le più grandi firme del giornalismo musicale italiano. La pubblicazione diretta da Rotondi presentava peraltro un apparato di immagini di prim’ordine e si impegnava nel dialogo continuo con i lettori e nell’esplorazione a trecentosessanta gradi dell’universo giovanile. Con “Ciao 2001”, in edicola, si trovavano anche i mensili “Popster” (rivista che, come suggerisce il nome, era costituita da un grande poster piegato sul cui retro si sviluppavano i contenuti, prevalentemente monografici, del mese) “Gong” (il lato politicizzato e caustico nei confronti del sistema “ufficiale” della controcultura giovanile, accoglieva gli articoli colti e corrosivi di uno dei suoi fondatori, Riccardo Bertoncelli, decano dei critici rock italiani), il quindicinale “Nuovo Sound”, e diversi altri.

La musica che ascoltavo è la colonna sonora di quegli anni. A Nuoro il cinema-teatro Eliseo veniva occasionalmente utilizzato anche come sala da concerti. Credo che in molti, tra quelli della mia generazione, ricordino ancora quella straordinaria stagione concertistica che ha visto alcuni tra i più grandi nomi del Jazz (scolpiti per sempre tra i più influenti della storia della musica: Elvin Jones, Don Cherry, Sun Ra, Don Moye, e anche altri) calcare il palcoscenico di quel teatro sorto nei lontani anni del fascismo.

Chi, come me, ama la musica, sa che essa ha la capacità di assurgere al ruolo di categoria interpretativa della realtà che ci circonda, della complessità e dei continui mutamenti di scenario; creato il proprio specifico universale idioma, la musica decodifica, interpreta e sintetizza anche il linguaggio e gli atteggiamenti del mondo globale contemporaneo, influenzando il modo di vivere e di essere di tanta gente. Come scrive Paul Morley“Se da ragazzino la musica ti suscita emozioni così forti è difficile perderne il vizio crescendo”. Con la musica presi qualcosa di assai simile a una scossa elettrica, nei miei anni nuoresi. Parlo di quando avevo pochi, pochissimi anni; con il passare del tempo essa sarebbe diventata per me come il respiro. Ancora oggi è così.

 




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