venerdì 16 dicembre 2016 - Phastidio

La laurea non serve. A volte, neppure il merito

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

da anni si discetta dell’eliminazione del valore legale del titolo di studio. Non è esattamente chiarissimo quali sarebbero i benefici di questa decisione ma comunque suona bene e, quindi, è molto gettonata e, magari, anche utile. C’è comunque da osservare che, negli ambienti che contano, il problema del valore legale di un titolo di studio lo hanno risolto da molto tempo. Basti guardare la composizione del Governo attuale, ma anche di quelli precedenti: la laurea non viene certo considerata requisito precisamente necessario per il profilo del ministro.

 

La cosa, in effetti, può anche stare bene. La carriera politica, che può meritoriamente sfociare anche in una carica ministeriale, non si costruisce necessariamente ed esclusivamente mediante studi ed esami, con certificazioni finali aventi o meno valore legale. Le capacità di un politico sono certamente anche di altro tipo: conoscere la realtà sociale ed economica, interpretare i bisogni espressi dai cittadini, qualificarla in un progetto politico, offrirla al partito ed agli elettori al momento della candidatura, provare ad eseguirla, avvalendosi delle strutture tecniche, nel momento in cui si sia eletti a cariche politico-amministrative. Oggettivamente, per questa quantità e qualità di competenze non risulta esistere alcun corso che sfoci in un preciso titolo di studio.

Non deve, dunque, destare né particolare scandalo, né allarme, la circostanza che al ministero della giustizia sia ri-collocato un Ministro non laureato o che al ministero dell’istruzione sia approdata una nuova titolare, non laureata a differenza della precedente. D’altra parte, caro Titolare, a pensarci bene: Mozart, Michelangelo, Leonardo Da Vinci, Cesare, Carlo magno, Napoleone Bonaparte e molti altri artisti, politici, monarchi e capi di stato non risulta fossero laureati.

Allo stesso tempo, il possesso di una laurea specifica nella materia oggetto del posto di governo occupato non mette certo al riparo da inciampi: purtroppo, anche gli ingegneri possono sbagliare i progetti o i medici non apprestare cure corrette per i pazienti, gli economisti e/o i direttori dei servizi studi di associazioni industriali sbagliare completamente previsioni, i politici “tecnici” o laureati in indirizzi attinenti al dicastero diretto farsi bocciare clamorosamente leggi dalla Corte costituzionale o ricevere regolarmente pareri del Consiglio di stato formalmente qualificati “favorevoli”, ma nella sostanza totalmente avversi e contrari.

Sta di fatto, comunque, che le “nomine” di natura politica sono espressione della massima discrezionalità: tanto che, in giurisprudenzese, sono qualificati come “atto politico”, in quanto tale insindacabile sul piano giurisdizionale e nemmeno da motivare. È un’espressione piena e somma di quella libertà di indirizzo politico e di scelta che è da concedere ovviamente a chi è chiamato a costruire i vertici amministrativi di una Nazione. Dunque, egregio Titolare, se il possesso di una laurea certamente non può esaurire di per sé i requisiti qualitativi di nessuno, simmetricamente ci si aspetterebbe che incarichi politici fossero attribuiti legittimamente a non laureati, “baciati” quanto meno da un crisma di autorevolezza, competenza, risultati politici evidenti già conseguiti ed esperienza di vita vissuta.

Come dice, Titolare? I Mozart, i Leonardo, i Giustiniano nascono molto di rado? E’ assolutamente vero, né è immaginabile che le compagini governative siano solo composte da premi Nobel.

Poiché, però, specie negli ultimi anni si evoca molto, e doverosamente, il “merito” come strumento giustamente di selezione dei migliori nel campo del lavoro pubblico, privato, sarebbe anche opportuno che valutazioni di “merito” fossero meglio percepibili dai normali cittadini, quando le nomine politiche, pur restando totalmente libere nei fini, sono attribuite ai destinatari.



8 réactions


  • Roberto (---.---.---.126) 18 dicembre 2016 21:13

    La contestazione del valore legale del titolo è richiesta solo per il più grave e tipico difetto degli italiani: l’invidia malevola verso chi ha di più.

    Coloro che lo auspicano, credono così di esorcizzare un’altro dei difetti tipici italiani: il vezzo di sentirsi chiamare "Dottore", che trova corrispondenza nell’altro vizio, quello di chiamare "Dottò" tutte le persone che hanno una parvenza o un ruolo autorevole, indipendentemente se lo siano o meno. 
    C’è poi la considerazione ipocrita che fanno tutti i sostenitori di questa idiozia: negli altri Paesi, in specie quelli anglosassoni, si usa rivolgersi a tutti con il corrispondente del nostro "Signor", tipo Mister, o Monsieur, ecc. Quindi, per uniformarci, aboliamo non solo il malvezzo ma anche una sua possibile causa.
    Stesso discorso per un’altra tipica ipocrisia di questi tempi di falsa correttezza, che nasconde un retro-pensiero maschilista: la declinazione di titoli al femminile che produce anche effetti comici, tipo "Ministra" (o minestra?), "Sindaca" (immaginarsi ad es., la Sindaca che sindaca), termini anche questi sconosciuti nei Paesi anglosassoni. 
    E, a scanso di equivoci, ci tengo a dire che non sono laureato.

  • Marina Serafini Marina Serafini (---.---.---.231) 19 dicembre 2016 00:16

    Io invece sono laureata , e il mio - anzi i miei due titoli accademici- me li sono davvero sudati, nella radicale convinzione che la formazione fa la differenza. Convinzione ancora accesissima in me. Ma come lei, inizio a propendere anch’io per l’abolizione del valore legale del titolo... Eh si, per un motivo davvero deprimente: le università si comportano ormai come supermercati: cercano di gratificare il cliente in cambio della sua fedelta’ - opss, volevo scrivere " retta annuale"... Le regole del mercato non prevedono persone, ma clienti. Il mondo della scuola non può sottrarsi a questa logica, e non lo fa. E, francamente, non riesco a cogliere l’utilità di Atenei che producono ormai tanti ignoranti titolati. Il processo di demolizione del nostro invidiatissimo nonché rispettatissimo sistema formativo è durato anni, oltre un decennio, a suon di "riforme" improvvisate e malformulate. Gradino dopo Gradino siamo arrivati forse a toccare il fondo. E a perdere quell’autorevolezza che solo la conoscenza può infondere


    • Roberto (---.---.---.126) 19 dicembre 2016 13:59

      Cosicchè, proprio Lei che si dice orgogliosa dei suoi titoli accademici, invece di difenderne il valore e quello che costa ottenerli, ne auspica l’abolizione. Il tutto, per non dare soddisfazione ai tanti (o pochi, chissà) che hanno ottenuto una laurea in modo improprio o addirittura fraudolento.

      Così lei non elimina affatto il malaffare, semplicemente si limita a nasconderlo sotto il tappeto: è il classico "buttare via il bambino insieme all’acqua sporca".
      I titoli e le competenze di base certificate sono un pre-requisito, ma poi la selezione dei candidati a posti di responsabilità, va fatta in base a tante altre valutazioni. Poi quando si fanno le cose seriamente e senza tener conto di motivazioni improprie (è il figlio di, è l’amico di, mi è stato segnalato da, ecc.), gli asini si scoprono senza problemi, indipendentemente dai loro titoli accademici. E’ una questione di etica professionale, come sempre.

  • Marina Serafini Marina Serafini (---.---.---.228) 19 dicembre 2016 14:36

    Attenzione, io non auspico l’abolizione del valore di titoli ai quali corrisponde una sostanza, mi ha fraintesa. Io accuso un sistema che oggi rende vuota quella sostanza e la certifica come se fosse piena e reale. Perchè oggi, mi spiace dirlo, ma il panorama italiano, tranne poche eccezioni, questo offre. E non è un bello spettacolo. Non si tratta di "non dare soddisfazione agli imbroglioni", se mi consente la semplificazione, ma di non volere più che si chiami formazione ciò che di formazione ha solo l’etichetta. Perchè vede, sig. Di Roberto, con l’ostentazione di titoli, si vincono concorsi, si assumono ruoli decisionali, si va ad occupare poltrone dalle quali, per incompetenza, si possono commettere errori fatali e misfatti inconcepibili.

    Lei tira in ballo l’etica professionale, e il fatto che l’incompetente di turno viene smascherato dal suo stesso operato. Ha ragione, ma nella nostra attuale società lo smascheramento degli incompetenti raramente comporta la loro estromissione dai ranghi. Ne abbiamo continue testimonianze. Io, purtroppo, ne ricevo molte anche nel mondo dell’attività privata dove - a maggior ragione - dovrebbe valere il suo discorso.
    Purtroppo viviamo una decadenza culturale (sulle cui origini potremmo ampiamente discutere) che porta all’accettazione della mediocrità, che viene travestita da eccellenza. E’ l’unico modo per farla passare, d’altronde - intanto che si lavora alla omologazione generale (verso il basso). E io, questa omologazione appiattente non la sopporto. Quindi legga bene tra le righe di questo mio sfogo: io difendo la Cultura, quella con la c maiuscola, quella che nasce dallo sviluppo del potenziale umano e che porta nella direzione del fare, e del fare bene. Ed è vero che la selezione del personale tiene conto della laurea prevalentemente come punto di partenza, ma questo significa che la laurea, in molti casi, è proprio la condizione di possibilità per accedere al colloquio, e quindi per concorrere alla posizioni aperte. Spesso, mi spiace dirlo ma lo so per esperienza, si tratta proprio dell’unica condizione di accesso a certe posizioni. Quindi non parli di etica professionale nè di meritocrazia, perchè sono espressioni che poco hanno a che fare con questa nostra società, troppo assorbita dalle modalità commerciali di pessima ma finissima categoria (perchè, dal loro punto di vista, funzionano) e maledettamente forgiate a risposta di una classe dirigente violenta, balorda e assolutamente priva di scrupoli. 





    • Roberto (---.---.---.126) 20 dicembre 2016 14:12

      Benissimo. 

      Sia conseguente dunque a quanto dice, cioè si impegni non per far abolire il valore legale del titolo di studio, ottenuto nella stragrande maggioranza dei casi a caro prezzo, sia economico, sia intellettuale, sia in termini di tempo impegnato, ma per rendere veramente corrette e meritocratiche le procedure concorsuali, escludendo dai criteri di selezione quelle motivazioni improprie (è il figlio di, è l’amico di, mi è stato segnalato da, ecc.), che servono a coprire gli asini, invece di individuare le migliori professionalità.

      Come? Si associ a chi vuole le stesse cose: da soli non si va da nessuna parte.

      La saluto cordialmente.


  • Marina Serafini Marina Serafini (---.---.---.104) 20 dicembre 2016 23:08

    Se proprio lo vuol sapere, credo di essere una delle poche persone che ancora si comporta in quella maniera che mi sta esortando a seguire, dato che la selezione del personale rientra tra le mie attività.
    E le assicuro che non è facile vivere di principi in una realtà concreta: spesso chi decide davvero non è troppo interessato a certi principi umanistici...
    La invito piuttosto a risparmiare facili entusiastiche ramanzine, perchè un mondo più serio e più funzionale lo vogliamo davvero in molti, ma non è qualcosa di già dato. Nel mondo del lavoro ci navigo da diversi anni, facendo le mie battaglie e sbattendo la testa contro muri di gomma, spesso di cemento.
    Lo si impara facendo: il mondo delle idee, purtroppo, deve sporcarsi di realtà.
    Un saluto a lei.




    • Roberto (---.---.---.126) 21 dicembre 2016 14:39

      Cara Marina, una cosa è il posto di lavoro, dove si può fare ciò che è possibile fare, cioè ciò che i suoi superiori le consentono di fare. Alla fine però, c’è poco da fare: l’asino bisogna attaccarlo dove vuole il padrone. Tuttavia, da quello che scrive, lei già cerca di limitare i danni, compatibilmente con le sue possibilità.

      Ma fuori del lavoro è un’altro discorso: ciascuno di noi può cercare di portare avanti le proprie convinzioni senz’altra limitazione che la propria volontà di fare.
      Certo da soli non si può fare molto: perciò, occorre trovare alleati, cioè persone e organizzazioni che perseguono i nostri stessi obiettivi, ed impegnarsi con loro.
      Se non si vuole farlo, non si ha tempo, voglia o semplicemente non si riesce a trovare nessuno, meglio limitarsi a fare ciò che nel suo piccolo lei già fa, che non è poco considerando la sua attività e nel confronto di quanto fa (sarebbe meglio dire NON fa) la gran massa delle persone.
      Ribadisco: abolire la validità legale del titolo di studio non è una soluzione, tutt’altro. E’ un rimedio peggiore del male, che non sarebbe così estirpato, bensì occultato.
      E non se la prenda troppo: fai il tuo dovere e non temere, diceva il saggio smiley.


  • Marina Serafini Marina Serafini (---.---.---.228) 22 dicembre 2016 11:41
    (Non avevo fatto l’accesso al sito e il commento è uscito da un anonimo mario rossi, me ne scuso).

    No, Roberto, non è che me la prendo, solo che la professione che svolgo non è stata scelta a caso: io credo nello sviluppo del potenziale, credo nel valore delle cose fatte bene e credo nella soddisfazione del fare bene le cose e di vedere le cose fatte bene... Da anni mi occupo di selezione e formazione, gestisco gruppi, curo la comunicazione tra uffici e sciolgo nodi gordiani.... E tanti anni di esperienza mi hanno obbligato a spogliarmi un pò di quel lucido idealismo di cui mi ero impregnata durante gli studi.
    Credo che alla fine, la questione su cui convergiamo, nonostante le svirgolate di questo dialogo, sia relativa alle competenze vere, e ad una possibile certificazione della loro reale acquisizione. Purtroppo, il diploma di laurea oggi, in Italia, certifica l’avvenuta acquisizione di strumenti teorici, non certo la capacità di fare. Da alcuni anni sono stati inseriti i tirocini obbligatori in quasi tuti i corsi di laurea, ma 150 ore (approssimative) di attività pseudo pratica, svolta troppo spesso da osservatore ingombrante o da facchino di comodo non risultano di grande utilità. Abbiamo cercato di emulare il modo formativo europeo, ma realizzandolo a modo nostro, ossia con tutte le le scorciatoie e le semplificazioni possibili. I risultati di questo processo sono sotto gli occhi di tutti.
    Quindi mi sembra corretto chiudere citando un articolo già pubblicato su questo stesso sito diverso tempofa, scritto da Aldo Giannulli, un autore che leggo sempre con piacere:


    :)

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