lunedì 27 marzo 2017 - Marco Barone

La Carta di Roma? Atto profondamente auto-celebrativo. Così non va

Piaccia o non piaccia, il futuro, passando per il presente, si chiama Europa. Sia per un processo di dissoluzione sia per un processo opposto, cosa auspicabile. E tale questione ha che fare con la vita ordinaria di tutti noi, dai nostri rioni, fino alle stanze del potere.

Una dichiarazione simbolica, sottoscritta da 27 leader, così si legge in premessa, dei vari stati membri delle istituzioni dell’UE. E si dice subito che sono orgogliosi dei risultati raggiunti dall’Unione Europea. Le fondamenta dell’attuale Unione Europea sono quelle del mercato, dell’economia, sulla circolazione delle merci, solo successivamente si sono affermati importanti diritti umani, o situazioni finalizzate a garantire la libera circolazione delle persone, a partire dalla demolizione delle frontiere.
Ma scrivere in premessa di essere orgogliosi dei risultati raggiunti, significa auto-celebrarsi, senza capire che le politiche governative degli ultimi decenni hanno portato l’Europa nella situazione disastrosa nella quale noi tutti ci troviamo, Grecia docet ed Italia pure. Europa nata dalle macerie della seconda guerra mondiale, che ha conosciuto conflitti importanti, come quello devastante della Jugoslavia, d’altronde non poteva esistere una Jugoslavia socialista forte alle porte della nascente Europa. Questo è certo. Settanta righe, tre pagine e quattro punti che caratterizzano una dichiarazione masochista politicamente. 
 
La prima voce è la sicurezza, protezione delle frontiere esterne, e contrasto al terrorismo e criminalità organizzata. Voce della sicurezza che rientra anche nel quarto punto. Si insiste sul liberismo, che all’interno di una globalizzazione sfrenata ha letteralmente massacrato le economie dei Paesi dell’Europa del sud e colpito duramente i diritti dei lavoratori e fomentato diseguaglianze pazzesche. D’altronde non si parla mai di redistribuzione delle ricchezze, troppo a sinistra come concetto.
 
L’Europa che dicono costoro di volere non è tanto più quella delle diversità, motto storico dell’Europa, unita nelle diversità, ma di omologazione nel mercato interno unico, di unità, di crescita sostenibile, di progresso economico e sociale. Per non parlare del fatto che si persiste a mantenere impegni con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, di cui ancora oggi si fatica a comprendere il senso della sua esistenza, salvo che per giustificare spese militari, o guerre per esportare la democrazia, rivelatesi totalmente fallimentari e disastrose a livello umanitario. Guerra non fa rima con diritti umani. Non si tratta di una occasione mancata, perché le politiche che caratterizzano i principali Paesi membri della UE sono fermi su questa linea. L’Unione Europea è un bene da salvaguardare, ma la sua salvezza passa dal rovesciamento della situazione attuale. Serve una Europa che sappia dare priorità assoluta ai diritti umani, con politiche importanti a favore dei diritti dei lavoratori, con politiche forti finalizzate a determinare una giusta redistribuzione delle ricchezze, con un graduale superamento degli Stati favorendo una nuova Europa geopolitica con le macro regioni.
Se così non sarà, non lamentiamoci se i nazionalismi, e gli zombi nazionalisti, cioè coloro che incarnano lo spirito obsoleto di un nazionalismo morto e sepolto e riportato cameratescamente in vita, possano avere la meglio e condurci in un nuovo periodo buio, favorito dalle politiche sballate di questa Europa che non piace più a nessuno, salvo a chi si auto-celebra nelle proprie errate convinzioni e nella inutilità di un salotto accessibile solo ad una élite che non rappresenta più nessuno.
La dichiarazione di Roma è la conferma della distanza profonda e dolorosa che esiste tra i vertici del potere e la base della società.
Marco Barone



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