martedì 11 aprile 2017 - Ercole Marchi

International Journalism Festival: un grande successo a Perugia

Stanca, come sempre il giorno dopo la chiusura, ma raggiante, Arianna Ciccone: «Se fino all’anno scorso essere al Festival era importante, ora è diventato indispensabile. Non lo dico io, lo ha detto Greg Barber, il direttore dei progetti digitali del Washington Post».

. Stanco anche lui, Chris Potter, ma lo maschera meglio dietro l’aplomb anglosassone. La coppia che muove la macchina dell’International Journalism Festival di Perugia traccia un bilancio da favola: «The best yet, la migliore edizione di sempre, con più pubblico internazionale dello scorso anno, un dibattito generato su scala planetaria come testimoniano i numeri dei social e che rendono ormai IJF un evento di livello mondiale».

Arianna Ciccone ripercorre ciò che resta veramente nella memoria: gli incontri, gli scambi, le immagini. «Su tutti l’abbraccio intenso del pubblico della sala dei Notari ai genitori di Giulio Regeni – dice mostrando il video del lungo applauso – ma anche le parole di un ragazzo che, per il suo compleanno, si è fatto regalare tre giorni al festival; lo stupore di Roberto Burioni, il medico paladino dei vaccini, intimorito dalla platea stracolma domenica a mezzogiorno; l’onestà e l’intelligenza di Enrico Mentana, con cui ho litigato poco tempo fa e mi ha detto che non sarebbe più venuto, e invece ieri c’è stato confrontandosi per due ore con un pubblico di ragazzi; fino all’improvvisazione al pianoforte di Manuel Agnelli. Il festival parla di giornalismo, ma fa anche giornalismo. Penso alla campagna di sostegno per i giornalisti turchi imprigionati, all’evento incredibile sui migranti con le parole del medico lampedusano Pietro Bartolo.

Tanti giornalisti di calibro mondiale, tanti aspiranti tali (un’università francese e una della Bielorussia presenti con studenti dei corsi in giornalismo, oltre a una scuola di Benevento in gita scolastica). Ma nessun politico nazionale, nessun ministro o leader di partito come talvolta era accaduto in passato. Spiega Arianna: «Il problema coi politici è che vogliono essere al centro dell’attenzione, vogliono panel in cui parlano solo loro o dove hanno 4-5 giornalisti a fare domande oppure vogliono parlare di fake news e altri temi su cui non sono competenti. Qui non si fanno passerelle, tutti sono i benvenuti ma solo se sono disposti a confrontarsi su temi su cui hanno cose da dire».

Ece Temelkuran, giornalista e scrittrice turca, residente a Zagabria, chiude degnamente la galleria dei personaggi presenti al Festival del Giornalismo, ultimo atto, con un de-profundis sul concetto di "verità": «Noi turchi, specie noi giornalisti, abbiamo perso la battaglia quando ci siamo accaniti sul singolo episodio, travolti dal desiderio di smascherare la bugia. E' stata una sfinente contesa che ha esaurito le nostre forze e ci ha lasciati con un pugno di mosche in mano».
Certo, il caposaldo del giornalismo di cercare i fatti e verificarli non può essere messo in discussione, ma questo deve servire, più che ad affibbiare torto o ragione, a cogliere il senso di una vicenda, il suo significato. Continua Ece Temelkuran "Siamo stati ossessionati dal mito della oggettività, spesso l'abbiamo confusa con la neutralità o, al contrario, ci siamo concessi alla politica, insomma non è stato fatto un lavoro in profondità".
Trump, al confronto di Erdogan, è uno zuccherino, ma per la prima volta i mass media statunitensi si sono visti delegittimati a prescindere, con menzogne più o meno dichiarate. Insiste Ece Temelkuran: "Più che perseverare nella caccia alle menzogne, più che ostinarsi a capire cosa passa in testa agli elettori repubblicani, dobbiamo sapere cosa abbiamo in testa noi giornalisti per primi, se siamo in grado di fare i conti con questo pianeta o no. Io vado spesso in Germania dove risiede un'alta concentrazione di cittadini turchi costretti a emigrare per gli errori politici ed economici di Erdogan, ma che ora votano Apk, il suo partito. Una sorte di sindrome di Stoccarda, verrebbe da dire.".

Sarà un corpo a corpo. Lo sanno anche loro, nell'ordine Ilaria Cucchi e Carlo Bonini, collega di Repubblica, l'anatomopatologo Vittorio Fineschi e l'avvocato Anselmo, tutti schierati davanti al pubblico del Festival del Giornalismo, con Giuliano Pisapia. Uno scontro fra il Corpo del reato, titolo dell'ultimo libro di Bonini sulla tragica fine di Stefano Cucchi, e il Corpo dei carabinieri, più precisamente dei tre militari rinviati a giudizio per aver pestato a morte il giovane geometra. Ilaria, applauditissima dal pubblico di Perugia, come Paola Regeni ieri e come Beppino Englaro stasera, s'impone di non commuoversi e annuncia la nascita della nuova associazione intitolata al fratello, sui soprusi di Stato. Ricorda i giorni difficili, la sensazione di solitudine, quando il muro innalzato davanti a lei era talmente alto da non scorgerne il culmine e l'estenuante cammino per giungere a un giusto processo. E gli applausi, tanti, toccano pure Vittorio Fineschi, che dal suo laboratorio di Lecce non ebbe dubbi nel ricostruire la fine di Stefano, le percosse subite, "le discutibili conclusioni iniziali" a cui giunsero i giudici e che ora si trova a dirigere lo stesso istituto romano de La Sapienza che derubricò il caso Cucchi a minutaglia "e che oggi si avvale di venticinque studenti che preparo personalmente e che lavoreranno in futuro nelle varie regioni italiane per portare finalmente la scienza, quella vera, nelle aule giudiziarie ed evitare vicende come quella di Stefano". 

“Due persone sono state uccise: Andrea Rocchelli e Andrej Mironov. Adesso l’obiettivo è questo: caro governo italiano devi chiedere a quello dell’Ucraina di far luce su questa vicenda”. Inizia con l’appello di Beppe Giulietti, presidente Fnsi, l’incontro al Festival internazionale di giornalismo di Perugia con i genitori del fotoreporter ucciso durante un attacco in Ucraina; l’avvocato Alessandra Ballerini che oltre ai Rocchelli è rappresentante legale anche dei genitori di Giulio Regeni; William Roguelon, un ragazzo di soli 23 anni che era con Andrea e Mironov quando sono stati assassinati.

Basta ascoltare la testimonianza di William Roguelon, fotoreporter francese incredibilmente sopravvissuto a quel terribile 24 maggio 2014, per capire che Andy Rocchelli e Andrei Mironov non furono vittime di proiettili vaganti ma di un vero e spietato attacco mirato in terra ucraina. Andy, fotoreporter d'assalto ma tutt'altro che imprudente, anzi, razionale, preparato, scrupoloso, era riconoscibilissimo con la sua grossa camera fotografica a tracolla. Rimarca Beppe Giulietti “una costante, quella dell'abbandono da parte dello Stato italiano, che mal si adatta alla strage di giornalisti in corso, addirittura 622 negli ultimi venti anni. Sostiene Alessandra Ballerini citando un'intervista fatta a una famiglia ucraina che aveva conosciuto sia Rocchelli che Mironov "una guerra senza regole dove uccidevano tutti: giornalisti o no".
 Grande folla con Riccardo Iacona sui vaccini, segno che la salute interessa più della politica. Il conduttore di Raitre ha parlato della propria esperienza personale a riguardo: "Sono stato nel terzo e nel quarto mondo e lì non se lo pongono proprio il problema dei vaccini, sperano solo in un miracolo. Questo problema ce lo poniamo solo nel primo mondo". Racconta il dott. Roberto Burioni del San Raffaele di Milano: "Chi ha visto un bambino morire di difterite non se lo pone più il problema dei vaccini, si vaccina e basta". Andrea Grignolio, della Sapienza di Roma, ha illustrato la diversa percezione che in Italia si ha, e che varia da regione a regione, sul tema della vaccinazione: "In Emilia Romagna c'è un'altissima percentuale di antivaccinisti ma il dato interessante è capire chi sono queste persone: famiglie benestanti con livello medio-alto di istruzione. Soprattutto genitori, che si informano principalmente sul web". Come dire che anche la scienza ha il suo problema di delegittimazione. E che forse le armi del giornalismo non possono bastare.

A parere di Chris Potter, il cui ruolo è principalmente di rapportarsi con gli speaker internazionali, «Perugia è stata assoluta protagonista. Basta guardare i tweet di grandi nomi del giornalismo mondiale con foto di una città splendente. E voglio ringraziare i nostri fornitori, quasi tutti di Perugia o provincia, che hanno impressionato gli ospiti per puntualità ed efficienza. Si pensi che abbiamo prenotato 2.020 notti in 14 alberghi per 935 tra speaker, ospiti e sponsor, 600 sono stati i viaggi da o verso Fiumicino con 70 navette di un fornitore locale. Tutto perfetto». Anche il rapporto con la polizia, ringraziata per «professionalità e discrezione» intervenuta solo in un paio di circostanze.

Ovvi i ringraziamenti a staff e volontari da tutto il mondo. Ma già si guarda al futuro: l’edizione 2018 è fissata dall’11 al 15 aprile. «Farlo più lungo di cinque giorni? No, sarebbe difficile reggere una tale intensità e frequenza di appuntamenti (287 tutti a ingresso libero e trasmessi in streaming) più a lungo, servirebbe un budget molto maggiore». Tra i futuri protagonisti probabilmente la Cnn. Ha precisato Arianna Ciccone «Hanno voluto parlare con Chris perché pensano a una presenza strutturata, dato che anche per loro il festival è diventato un appuntamento imprescindibile».

 




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