sabato 31 dicembre 2011 - Enrico Emilitri

Il modello di Mussolini? Stalin!

Ci sono più analogie di quanto si possa credere tra i due dittatori

Può sembrare un controsenso, ma per tutta la vita l'uomo che portò il nostro Paese all'apice della sua potenza per poi precipitarlo nel più profondo baratro della Storia (e non solo) inseguì il modello di colui che, malgrado tutto, considerò sempre il suo nemico storico.

Come spiega il titolo, il vero modello di Mussolini non fu, come si potrebbe credere, Hitler, bensì Stalin, cui riuscì quello in cui fallì, invece, il dittatore romagnolo.
Andiamo con ordine. Entrambi gli statisti venivano, più o meno, dalla medesima esperienza, quella anarco-socialista (a dire il vero Mussolini non fu mai anarchico, ma nonostante tutto le due scuole di pensiero presentano numerose affinità), con fortissime tendenze rivoluzionarie ed eversive; l'unica differenza è che il georgiano trascorse parte della sua vita in un Paese ancora sostanzialmente monarchico-feudale, mentre il forlivese visse in uno che stava gradualmente trasformandosi da agricolo in industriale.

Sta di fatto che alla vigilia dell'intervento Mussolini non tardò a rendersi conto che proprio a fronte dei mutamenti in atto il sistema liberale era ormai totalmente irriformabile, per cui poveva solo essere abbattuto, ma dal Partito socialista si opposero rompendo con lui ed innescando quel processo che portò all'ascesa della peggiore dittatura che la nostra Storia ricordi.

Qualcosa del genere avvenne anche in Russia dopo la Guerra Russo-Giapponese (1904-5). In tali circostanze il Partito Operaio Socialdemocratico Russo decise di mutare la propria strategia, miranto all'abbattimento del potere zarista e sostituendolo con una democrazia popolare rappresentativa e partecipativa.

In Patria tale corrente non ottenne immediato successo, ma a differenza di quanto accadde da noi i bolscevichi (ru: bolšentsvo = maggioranza) guidati da Vladimir Il'ič Uljanov, detto Lenin, riuscirono infine a prevalere soprattutto dopo che agli iniziali successi seguirono le ripetute sconfitte dell'esercito imperiale ad opera dei tedeschi guidati dal feldmaresciallo Hindenburg, che infine dapprima all'abdicazione di Nicola II Romanov e poi alla caduta del Governo Provvisorio guidato dapprima dal principe L'vov e poi da Aleksandr Kerenskij.

Il piano di Lenin rischiò di fallire quando i bolscevichi tentarono la sollevazione in concomitanza con quello che sino allora era il "mese sacro delle rivoluzioni" (l'indipendenza statunitense era stata proclamata il 4 Luglio 1776, la Presa della Bastiglia avvenne il 14 Luglio 1789), ma i temi non erano maturi e lo stesso Lenin dovette rifugiarsi per qualche tempo in Finlandia; il sollievo di Kerenskij durò poco perché la situazione militare e politica era ormai insostenibile, per cui, approfittando di una sua visita al fronte, i bolscevichi rovesciarono il Governo con la cosiddetta "Rivoluzione d'Ottobre" (avvenuta in realtà il 7 Novembre 1917), causandone la fuga e la morte in esilio.

Proprio in seguito delle notizie dalla Russia, molti ipotizzarono, specie dopo il Crollo di Caporetto (ted. Karlsbad, oggi Kobarid, SLO), una possibile e imminente rivoluzione anche in Italia, ma la quasi immediata reazione che portò alla vittoria finale sul Piave vanificarono ogni tentativo in merito.

Un ulteriore paradosso derivò dal fatto che la rivoluzione fu possibile in Russia proprio causa la mancanza di una vera e propria borghesia liberale capitalista, la cui formazione era sempre stata ostacolata dai Romanov poiché le Grandi Rivoluzioni esplose nel periodo immediatamente precedente l'avevano vista protagonista a pieno titolo (lo stesso Napoleone I il Grande era di estrazione fondamentalmente borghese), ed oltre ad impedirne una deriva rivoluzionaria la dinastia imperiale russa intendeva evitare che essa rimettesse comunque in discussione la natura divina del potere monarchico, basato sul principio dell'autocrazia (come dire:"Dopo Dio ci sono io!") risalente a Ivan il Terribile e ancor più a Pietro I il Grande, privandosi in tal modo dell'unico freno inibitore che avrebbe potuta impedire la prima vera rivoluzione proletaria della Storia; nel nostro Paese la borghesia uscì invece rafforzata proprio dall'esito vittorioso del conflitto, seguito al contemporaneo disfacimento dell'Impero Austro-Ungarico.

Di ritorno dal fronte (dove aveva conseguito il brevetto di caporale dei bersaglieri), Mussolini tentò di sfruttare il malcontento dei lavoratori ed il risentimento dei reduci delusi dall'arroganza dei ceti dominanti e dall'attendismo dei sindacali e dello stesso Partito Socialista, seriamente preoccupati (per non dire sconvolti) proprio da quanto stava avvenendo in Russia (dopo la Rivoluzione era esplosa la Guerra Civile), agevolando in tal modo il futuro avvento del Fascismo.

Altrettanto paradossale fu il fatto che Mussolini perseguì, senza saperlo (o, meglio, senza forse dalo a intendere), più o meno gli stessi obiettivi di Stalin, divenuto segretario del Partito Comunista Sovietico dopo la morte di Lenin (1924), anche se l'esponente georgiano (il cui pseudonimo deriva da Čelovek Stalin = uomo d'acciaio) fu sul punto di essere espulso (o quantomeno emarginato) per le sue posizioni radicalmente estremiste, ma la morte del Padre Fondatore dell'URSS e l'atteggiamento di Trockij, considerato troppo morbido specie nei confronti dell'Occidente, ne agevolarono l'ascesa e il rafforzamento sia personale che politico.

Altra caratteristica comune (almeno in parte) fu che entrambi adottarono simboli legati in qualche modo all'ideale rivoluzionario: nella nascente URSS la bandiera rossa (risalente alla Rivoluzione Francese, ma poi accantonata dal tricolore), nel nostro Paese la camicia nera, portata dagli arditi durante la Grande Guerra ma indossata pure dagli operai di fabbrica nella convinzione che sul fondo nero lo sporco si notasse di meno riducendo, in tal modo, il malumore delle massaie che le dovevano lavare ripetutamente (teoria in seguito riconosciuta errata).

Una prima differenza risiede nel fatto che la rottura tra Mussolini e il PSI avvenne in un momento in cui era ancora forte l'avversione all'intervento, mentre quella in seno al POSR si verificò in conseguenza del predcedente conflitto russo-giapponese e delprecipitare della situazione interna e internazionale.

Una seconda differenza derivò dal fatto che non riuscendo ad ottenere il consenso dei lavoratorici, Mussolini tentò di forzare loro la mano costituendo i "Fasci da Combattimento" onde di spingerli alla rivolta armata senza peraltro fornir loro un adeguato supporto ideologico, finendo peraltro emarginato, tanto da finire tra le braccia degli stessi ceti dominanti, che riconobbero in lui l'unico strumento in grado di contrastare con successo il sorgere delle tendenze rivoluzionarie ed eversive (salvo poi pentirsene in un secondo tempo).

La stessa Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) [più semplicemente Milizia] sorse di fatto ad imitazione dell'Armata Rossa, di fatto il primo vero esercito ideologizzato della Storia, costituito in seno e attorno al Partito Comunista Sovietico, ma che non riuscì mai a sostituire il Regio Esercito, rimasto (perlomeno sino all'avvento della Repubblica) sostanzailmente fedele agli ideali monarchici e risorgimentali.

Ma dove Musoslini perse il confronto con Stalin fu nel fatto che nonostante i proclami egli non riuscì a scardinare le fondamenta dello Stato liberale, prima tra tutte il Parlamento (famoso il discorso dell'"Aula sorda e grigia"), anche se sostituì, la Camera dei Deputati con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni (che non entrò mai in funzione), mentre lo statista sovietico approfittò della totale eliminazione della Russia Zarista sostituendole le nuove istituzioni nate dalle sue ceneri e creando un modello diffusosi specie dopo la Seconda Guerra Mondiale.

La stressa simbologia fascista ha, per molti aspetti, qualcosa in comune con quella sovietica: fascio littorio, falce e martello si richiamano infatti al motto "L'unione fa la forza", ma se nel primo caso ci si richiama in qualche modo all'eredità ancestrale e alla missione egemonica e civilizzatrice di Roma Antica, gli altro rappresentano il tradizionale superamento delle divisioni interne alle classi lavoratrici e richiamandosi agli ideali contenuti nel Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, soprattutto nel motto "Proletari di tutti i Paesi, Unitevi!" riportato sullo stesso stemma dell'URSS.

Concludendo si può dire che il Fascismo tentò dunque di emulare il Bolscevismo, avendo però come sfondo l'idea di fare la rivoluzione senza fare la rivoluzione, senza cioè spargimento di sangue o far ricorso alla violenza, quando la Storia stessa ha sempre dimostrato che ciò è possibile solo in seguito alla pressoché totale distruzione dell'ordine esistente, anche se ci si augura sempre (sebbene sinora invano) che ciò non si debba mai più ripetere.




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