sabato 22 novembre 2014 - Pino Mario De Stefano

Il fallimento umano e la compassione

Il fallimento e lo scacco sono esperienze di fronte alle quali gli esseri umani reagiscono sempre in modo scomposto. E tuttavia, occorre onestamente prendere atto che i fallimenti costituiscono la "costante" più evidente e innegabile di ogni narrazione della storia, sia quella degli individui, che quella delle comunità o dei popoli. Una costante talmente "ingombrante" da mettere in crisi tutti i tentativi, finora intrapresi dal pensiero occidentale, di elaborare trionfanti filosofie della storia e disegni organici dello sviluppo delle civiltà.

Se poi proviamo ad allargare un po' lo sguardo, ci accorgeremo che, al di là della vicenda umana, anche tutta la storia del cosmo e quella della natura raccontano di una trama della vita costituita da una danza continua di fallimenti e di rinascite, di inverni e di primavere, di semi marciti e di boccioli, di vortici di buchi neri e di supernove. E noteremo pure che in quella danza paradossale, la danza della vita, diversamente da ciò che succede nel gioco degli scacchi, il gioco continua sempre, anche dopo lo scacco matto (Asimov).

Ma nonostante tutto, sembra che donne e uomini non riescano affatto a convivere con i propri e gli altrui fallimenti, e restino sempre devastati, nella mente e nell'anima, ogni volta che ne hanno il benché minimo sentore.

Forse una ragione di questo comportamento sta nel fatto che i fallimenti, quelli personali, quelli umani, quelli etici, quelli politici, quelli economici, quelli culturali o ideali, sono un po' come morire: anche per quanto riguarda la morte, infatti, tutti i nostri sforzi sembrano rivolti o a negarla o a nasconderla o a difendersi da essa, con tutti i mezzi possibili, anche quando questi ultimi diventano risibili o addirittura aggressivi e violenti.

Con il fallimento o lo scacco avviene qualcosa di simile. Non lo riconosciamo o non lo accettiamo, quando riguarda noi stessi; non lo tolleriamo, in nessun modo, appena sembra solo sfiorare gli altri. Così come non riusciamo a metterlo in conto, quando si tratta di persone care, o di gente che stimiamo.

E se, invece, la risposta più ragionevole, di fronte ai fallimenti, fosse la capacità di essere compassionevoli? Innanzitutto con se stessi, perché qualunque percorso di vita implica la possibilità di commettere degli errori e di fallire: si tratta allora di accettare questi limiti, pur senza smettere di "provare" a superarli. Ma, compassionevoli, anche con gli altri: perché compassione è, soprattutto, imparare a perdonare chi ci circonda e ad accettarne gli errori. Compassione, però, non è pietà, ma un modo di sentirsi in sintonia con l'intero universo vivente. Essere compassionevoli implica soprattutto la capacità di trascendersi; e comporta lo sforzo di "espandersi", per uscire dai confini dell'ego, per liberarsi e per identificarsi con gli altri e con l'intera rete della vita. Fino ad acquisire una nuova coscienza dell'interconnessione, che renda capaci di agire, non secondo una logica di violenza, di potenza e di "dominio" (potere-su), ma di concerto con gli altri, in una logica di "potere-con" (Joanna Macy).

La compassione infatti è radicata nella consapevolezza che tutto ciò che esiste è degno di esistere, tutto ciò che vive è degno di vivere. Perciò dispone ad accogliere e ad aver cura di tutto ciò che vive, anche se appare svuotato di essere. Ebbene, si può abbracciare ciò che sembra un nero vortice svuotato di essere, e vederlo, al pari di un "vuoto quantico", come un vasto oceano di energia gravida di possibilità? È impossibile? È troppo per noi? Sarebbe, questo, solo un atteggiamento "dolciastro" o un "idiota" sentimentalismo spiritualistico? Oppure potrebbe configurarsi come una possibile rivoluzione culturale, una rivoluzione dello sguardo, un'altra "via" non ancora sperimentata, una strada che molte, sagge, tradizioni mistiche e spirituali hanno più volte, in passato, invitato a percorrere?

Forse è proprio vero che "la compassione è la maggiore fonte di energia esistente. Oggi che il mondo è diventato un villaggio globale, abbiamo bisogno della compassione ancora più̀ di prima, non perché́ vogliamo essere altruisti, non per ragioni filosofiche o teologiche, ma perché́ vogliamo sopravvivere (M. Fox).

Foto: Chris Potter, Flickr.




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