sabato 19 settembre 2015 - Giovanni Graziano Manca

Il cinema tra competenze tecniche, ispirazioni letterarie e genialità espressive

Affermare che la realizzazione di un film è operazione di straordinaria complessità può forse sembrare scontato e banale. Tuttavia, spesso, il fruitore di una opera cinematografica, non solo quello distratto ma anche quello che in modo più assiduo frequenta la sala cinematografica o che altrettanto frequentemente si intrattiene nella visione di film di programmazione televisiva, non è del tutto consapevole di quanto impegno e quanto lavoro e competenze si nascondano anche dietro la realizzazione di un semplice cortometraggio. La realizzazione di un’opera cinematografica implica notevoli carichi e pesanti responsabilità per un certo numero di operatori, artisti e professionisti altamente specializzati. Essi agiscono talvolta in modo sincronico, altre volte con azioni l’una rispetto all’altra differentemente collocate nel tempo, sempre però con l’obiettivo comune della concretizzazione di un prodotto cinematografico. Diverse e di straordinario impegno sono le fasi di lavorazione che il compimento di una narrazione cinematografica richiede. Tali fasi possono svilupparsi antecedentemente, contestualmente oppure successivamente alle operazioni che si svolgono sul set. Ognuna di esse richiede il lavoro di specifiche e numerose figure artistiche, professionali e tecniche.

Durante la fase di pre-produzione, per esempio, operano coloro che sono addetti all’acquisto o al noleggio dei materiali necessari allo svolgimento regolare di tutte le attività previste per la realizzazione del film, gli addetti al budgeting (che si occupano prevalentemente di pianificazione finanziaria e tecnico-contabile), i responsabili delle operazioni di casting e del reperimento di comparse e controfigure da impiegare sul set.

Nella fase di realizzazione delle varie scene del film, poi, operano figure professionali molto diverse: si va dall’elettricista al pittore, dall’arredatore al costumista, dall’ammaestratore di eventuali animali la cui presenza dovesse essere richiesta in scena, all’assistente sociale (i cui compiti sono relativi alla tutela di minori che dovessero partecipare al film; nello specifico: l’assistente sociale verifica che il trattamento del minore che partecipa al film sia conforme alle leggi sul lavoro minorile), dall’attrezzista al carpentiere, dal sarto/a al costumista, passando per il fonico di presa diretta, il giardiniere, l’infermiere (costui presta le proprie cure al personale del cast per eventuali piccoli malesseri o ferite), il macchinista, il parrucchiere, e così via.

In post-produzione, infine, esplicano funzioni essenziali gli addetti al montaggio, al missaggio (operazione che mira a sintetizzare in un’unica banda le differenti fonti sonore che fanno parte della soundtrack) e al doppiaggio, il rumorista (colui che riproduce o crea rumori che andranno a far parte della colonna sonora del film), i tecnici che curano eventuali effetti speciali, e così via.

Indispensabile sottolineare, pur senza avere la pretesa di esaurire in questa sede un argomento su cui tantissimo ancora ci sarebbe da dire, è che le professionalità connesse al mondo del Cinema richiedono elevate e peculiari preparazioni tecniche. Alcune di esse, poi, necessitano di un estro artistico non comune e di una preparazione che può essere acquisita solo in Scuole di Cinema di alto livello. Le persone che prendono parte alla realizzazione del film da componenti del cast artistico sono, fondamentalmente il regista, gli attori, gli scrittori che creano il soggetto dell’opera e quelli (sceneggiatori) che letteralmente scrivono il testo (che prenderà il nome di sceneggiatura) del film. Pur essendo, quella dello sceneggiatore, una figura centrale per la realizzazione di un prodotto cinematografico, essa sembra presentarsi, se autonomamente considerata, indefinita ed evanescente. Il risultato dell’impegno letterario profuso dallo scrittore, infatti, andrà a far parte integrante dell’opera visiva rispetto alla quale non avrà, in seguito, vita propria, ma solo una, per così dire, valenza documentaria secondaria. La sceneggiatura comprende non solo i dialoghi ma anche la descrizione di tutti gli elementi (luoghi, oggetti, etc.) che devono essere presenti in ciascuna delle scene che compongono il film. 

Alla domanda: <Che cosa è uno sceneggiatore?>, Dominique Parent-Altier risponde che ‘uno sceneggiatore è una persona che intraprende l’atto di scrivere ma la cui opera compiuta, il prodotto finito, non è disponibile in quella forma. La sceneggiatura, semplicemente, non è leggibile.’ [Dominique Parent-Altier, Introduzione alla sceneggiatura, Lindau, Torino 1997]. Lo sceneggiatore è probabilmente, tra i componenti del cast artistico, colui a cui maggiormente viene richiesta una visione dell’opera che sia in sintonia con il progetto filmico che il regista desidera realizzare. Si capisce anche solo da ciò che il film è, in definitiva, un’opera d’arte la cui preparazione presuppone l’armonica interazione tra artisti di diversa estrazione.

Definiamo, sia pure per sommi capi, la funzione del montaggio.

Essa consiste nel comporre tra loro, rispettando in ciò le direttive del regista, le migliori scene girate, al fine di ottenere il film unitariamente inteso. Il film come prodotto unitario sarà la risultante di una serie di sequenze e di scene affiancate le une alle altre come tessere di un domino mediante l’adozione di accorgimenti tecnici e seguendo una determinata successione narrativa e logica.

La figura del regista, infine; egli, quale responsabile artistico del film, coordina tutti gli elementi del cast attraverso i responsabili delle diverse partizioni dell’organizzazione produttiva, dirige gli attori e traduce la sceneggiatura in immagini utilizzando il materiale girato scelto in fase di montaggio. 

II

L’affermazione comunemente accettata secondo cui sarebbe il regista l’autore di un film avrebbe secondo alcuni carattere solo convenzionale. Tale problema è vecchio quasi quanto la storia del Cinema, ma l’argomento appare sempre di attualità.

E’ talvolta difficile delimitare con precisione i vari campi d’azione che caratterizzano il compito del regista, quello degli attori, dell’autore della sceneggiatura, del produttore e così via, specialmente se si riflette sul fatto che in ambito cinematografico esistono, come in ogni altro contesto organizzativo umano volto a produrre un risultato, funzioni che non sono chiaramente attribuibili a nessuna figura specifica.

Fernaldo di Giammatteo racconta un significativo aneddoto della vecchia Hollywood che mette in chiaro i termini del problema: ‘Il grande produttore Louis B.Mayer, colui che Bosley Crowther definì <il rajah di Hollywood>, soleva tacitare chi si lamentava per gli attentati subiti dalla sua libertà di artista (regista o sceneggiatore o musicista o attore) con questa lapidaria osservazione: <Il Libro numero uno di tutti i tempi fu scritto da un comitato e fu chiamato Bibbia>. Il rajah difendeva il suo potere e i suoi affari, per lui più importanti di qualsiasi genere di arte. Faceva, della Bibbia, un uso strumentale. Sbagliava? Se ne può pensare quel che si vuole, fino a vedere nel brutale tycoon un autentico bestemmiatore, ma non si può negare che con quelle parole sia stato individuato qual è il vero centro del problema.’  [Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario del Cinema – Cento grandi registi, Newton & Compton, Roma 1995] .

Nonostante su questo argomento non esistano regole rigide credo si possa in linea di massima affermare che il compito di un regista è quello di riversare nell’opera finita, del cui risultato conclusivo egli è il maggior garante, i talenti recitativi e letterari (quelli degli attori e dello sceneggiatore) e i risultati ottenuti dalle attività tecniche (montaggio, doppiaggio, e via dicendo) che attengono al raggiungimento dell’obiettivo artistico finale.

Alcune considerazioni saranno sufficienti a chiarire il concetto:

1) I film girati da registi di grande personalità sono sempre riconoscibili. In ognuno di essi è chiaramente individuabile l’impronta, la cifra stilistica attribuibile unicamente al cineasta che tale film ha realizzato (esemplificando: lo stile dei film di Fellini è inconfondibile; difficile confondere i caratteri del Cinema felliniano con quelli dell’opera di un altro - di qualsiasi altro - regista). Gli elementi tipici di uno stile emergono sempre. Ciò si verifica in ognuna delle opere che fanno parte della filmografia del regista preso in esame anche quando il cast artistico è composto da persone che sono diverse da film a film o da artisti che addirittura si avvicendano in un determinato ruolo nell’ambito di una stessa produzione;

2) Il regista deve essere in grado di ottenere dagli attori e dai propri più diretti collaboratori risultati qualitativi massimi in riferimento ai propri obiettivi artistici; egli dovrebbe riuscire (e i grandi cineasti, di solito, ci riescono) ad ottenere surplus di creatività recitativa e di inventiva che viene normalmente offerto dai vari elementi della compagine artistica che partecipano alla realizzazione del film.

Il poeta Raymond Carver ha scritto che Ogni grande scrittore e anche semplicemente ogni bravo scrittore ricrea il mondo secondo le proprie specificazioni. [Raymond Carver, Il mestiere di scrivere, Einaudi, Torino 2008] . Anche il regista ricrea il mondo secondo le proprie specificazioni o tenta di farlo. Ricreare il mondo secondo le proprie specificazioni implica per il regista anche il possesso di quelle qualità umane che gli consentono di ottenere da chi fa parte del cast la collaborazione qualitativamente e quantitativamente necessaria alla realizzazione del film secondo la propria visione delle cose.

Brian De Palma, maestro dell’ horror americano, ha espresso molto chiaramente il punto di vista del regista sostenendo che ‘Bisogna capire che il cinema è una forma di collaborazione tra varie persone: attori, fotografi, direttori di produzione, scrittori. Bisogna che questa gente interpreti la tua idea in modo tale che ciò che, alla fine, vedi sullo schermo sia la tua idea sviluppatasi con la creatività di altre persone. Nei miei primi film lasciavo molto spazio all’improvvisazione, ma andando avanti mi sono maggiormente interessato a forme cinematografiche più rigorose; così ho cominciato a lavorare su soggetti predeterminati.’ [dall’inserto redazionale integrativo allegato al film ‘Vestito per uccidere’ di Brian De Palma, parte della collana ‘Americana’, distribuito con il quotidiano L’Unità nel 1996]. 

De Palma esprime la necessità di una supervisione delle prestazioni artistiche e tecniche (quelle degli attori, del direttore della fotografia, etc.) o letterarie (quelle del soggettista e dello sceneggiatore) di tutti coloro che collaborano alla realizzazione del film. E’ovvio che tale necessità di supervisione si attenua quanto a numero di soggetti controllati ogni qual volta è il regista stesso ad assumere parti attoriali nel film oppure il ruolo di soggettista, sceneggiatore, produttore dell’opera o altro ancora. 

Le parole di Orazio Costa, regista storico e insegnante di teatro, confermano, sia pure indirettamente, l’assunto di De Palma:

‘Quante volte noi ci chiediamo: che cos’è un attore? Nei riguardi della rappresentazione l’attore è la materia per mezzo della quale si manifesta lo spirito dell’autore, la materia più nobile e come tale la più ribelle. Materia umana, materia autonoma; strana contraddizione in termini: ma la realtà e se vogliamo il dramma dell’attore è proprio in questa contraddizione: essere materia, cioè dover subire l’impronta del genio altrui, essere autonomo, cioè soffrire di questa imposizione o goderne, che è un po’ lo stesso’ [la citazione, tratta da Orazio Costa, La regia teatrale, 1939, è posta in epigrafe al breve saggio di Fabrizio Deriu ‘Il <valore autonomo> dell’attore’, in: (a cura di) Franco Montini e Piero Spila, Gian Maria Volontè, un attore contro, Rizzoli, Milano 2005].

Costa formula le proprie osservazioni mettendo al centro della riflessione la figura dell’attore teatrale che da una parte, consistendo di materiale umano, gode di grande autonomia, dall’altra ha il compito di concorrere al risultato artistico finale voluto dal regista. Autonomia e dipendenza rispetto al genio altrui: una frattura difficile da comporre, quella che esiste tra il regista e l’attore, che richiede soprattutto a quest’ultimo uno sforzo considerevole per il raggiungimento di un equilibrio espressivo interno che, si badi, è in ogni caso difficile da raggiungere. 

La storia umana e professionale di uno dei più straordinari attori del Cinema non solo italiano, Gian Maria Volontè, artista che aveva difficoltà a inserirsi nella prospettiva di sacrificare la propria personalità e le proprie peculiarità interpretative per rappresentare pedissequamente e unicamente secondo le indicazioni del regista, soprattutto quando non condivise, i vari personaggi interpretati, appare, in questo senso, esemplare.

Volontè partecipava anche creativamente alla realizzazione del film e tale circostanza trova conferma non solo nelle stesse parole dell’artista (come queste: l’attore può portare un grande contributo linguistico al film senza per questo sottrarre nulla all’autonomia e alla libertà di espressione dell’autore, oppure queste: tu pensa a dove vuoi mettere la macchina, al personaggio ci penso io, tutte riportate in quarta di copertina del volume curato da Montini e Spila) ma anche nella testimonianza di Francesco Rosi, regista per cui Volontè lavorò in alcuni dei migliori film del Cinema italiano degli anni d’oro e dell’intera sua carriera e con il quale trovò una intesa che con altri autori non riuscì mai a raggiungere. Riferisce Rosi che Gian Maria Volontè era un attore sempre collaborativo, ‘con una sua notevole intelligenza, naturalmente inserendosi nel disegno del personaggio da me spiegato all’inizio e via via arricchitosi delle sue possibilità interpretative e creative. Un attore della personalità di un Volontè, che è un attore creativo, partecipa. Un regista chiede, ma si deve poi vedere se l’attore è capace di dare, e non tutti sono dei Volontè.’ [sempre nel saggio di Deriu, contenuto nel volume citato].

Un’idea chiara delle funzioni del regista l’aveva Alfred Hitchcock. Essa viene espressa con termini che rivelano la forte influenza dell’educazione cattolica sulla personalità del Maestro del brivido.

‘C’è una grande differenza – sosteneva il cineasta inglese - tra la creazione di un film e quella di un documentario. Nel documentario Dio è il regista, quello che ha creato il materiale di base. Nel film di finzione è il regista a essere un dio, a dover creare la vita.’ (Hitchcock citato in Giorgio Gosetti, Alfred Hitchcock, Il Castoro Cinema, Milano 2002). Una affermazione, quella di Hitchcock, che certo non stupirà gli estimatori che conoscono bene la vita e l’opera del regista britannico: Hithcock aveva un carattere veramente pessimo e di sovente con gli attori e anche con i collaboratori più stretti si comportava come un autentico tiranno.

 




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