martedì 31 maggio 2016 - sergio carrea

Il buffet ovvero la metafora della vita

Si dice che "in vino veritas", ma le occasioni che scoprono la vera faccia di chi abbiamo intorno possono essere tante. Una di queste è il "buffet"...vediamo perché.

Chi di noi non si è trovato ad avere a che fare con una cena o un rinfresco “a buffet”? Uno o più tavoli con esposte leccornie dolci e salate, a volte gestito da alcuni camerieri o, peggio, lasciato alla “buona educazione” (?) dei convitati!

Ho sperimentato molti di questi festini e non ho quasi mai trovato questo ingrediente fondamentale: la buona educazione. Mi sono spesso chiesto da quanti giorni non mangiassero quelle orde di Unni allupati di cibo che vedevo arraffare piatti piramidali di vol-au-vent, pizzette ecc. come se fosse l’ultimo cibo sulla terra.

I più efferati tecnici del buffet (forse perciò si dice abbuffarsi?) sono in genere coppie di anziani coniugi senza figli che devono aver sicuramente affinato tattiche e strategie a casa molto tempo prima: gironzolano per la sala senza parere, con una sensibilità da medium intuiscono l’avvicinarsi del momento fatidico e, immancabilmente, li trovi in prima fila. Sono organizzati in genere così: quello dei due, direi quasi sempre la moglie, che dispone di una costituzione più vasta, in modo da precludere i tentativi di chi sta dietro, riempie piatti all’impossibile e li passa all’altro che organizza il tavolino che riesce a tenere sotto stretta sorveglianza.

Terminati i vassoi più succulenti, e solo allora, si riuniscono e si distruggono colesterolo e diabete con fauci da ippopotamo.

Alcuni episodi mi sono rimasti particolarmente impressi.

Si era all’inaugurazione di un nuovo complesso industriale: autorità, telecamere, conferenzieri, applausi e, immancabile, un sontuoso buffet con camerieri in livrea.

Le maestranze, che inizialmente gravitavano sotto al palco per ascoltare le promesse dei politici alle quali stavano avvinghiate le tenui speranze di un florido futuro, col trascorrere del tempo e, soprattutto, con l’assottigliarsi del numero di oratori ancora in attesa, si spostavano, impercettibilmente, centimetro per centimetro, in direzione del buffet.

Era una manovra quasi plastica, oleosa, vischiosa, nessuno voleva fare la figura del “morto di fame” ma neanche del fesso!

Vale appena dire che con l’ultima ispirata frase di augurio e l’ultimo applauso, i tavoli erano già circondati, i cordoni divelti, i piatti già in ogni mano e, ai camerieri atterriti, non rimase che arrendersi alla devastazione operata delle formiche rosse!

In tutt’altro frangente, ricordo una manifestazione di cori polifonici con buffet nel giardino adiacente il teatro.

Pubblico di intenditori, gente del giro della musica classica, proveniente dalle più belle case della città, voglio dire “gente ben pasciuta” e che alla forma e all’”aplomb” ci dovrebbe tenere, almeno apparentemente.

Eppure andò come sempre!

Ero tra il pubblico, un po’ avanti nelle file e stavo elargendo una standing ovation al penultimo coro in programma quando, all’ingresso dell’ultima compagine canora ebbi come la sensazione che l’applauso di accoglimento fosse stato un po’ debole.

Guardando alle mie spalle, mi resi conto del motivo di quell’accoglienza fiacca: tutte le ultime dieci file circa del teatro si erano magicamente svuotate!

Un’intuizione improvvisa mi portò ad affacciarmi alla porta del teatro per constatare che l’elegante pubblico aveva anticipato la fine del programma per avventarsi come sempre su pizzette e vol-au-vent, prima che l’intero teatro si svuotasse! E, come sempre, le più dotate di nobili fianchi opimi avevano conquistato e detenevano la “pole position”!

Il buffet è la metafora della vita: chi è educato, rispettoso e dotato della dignità necessaria a non comportarsi come “un morto di fame”, mangia per ultimo.

E soprattutto quel poco che resta! 




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