giovedì 6 aprile 2017 - Aldo Giannuli

Il M5s deve fare alleanze? Su quale programma?

Nel M5s si inizia a parlare di alleanze: lo ha fatto recentemente Luigi Di Maio in una dichiarazione nella quale sosteneva che, qualora il M5s arrivasse primo nelle prossime elezioni politiche, ma senza raggiungere la soglia dei voti utile al conseguimento del premio di maggioranza, avrebbe comunque il dovere di provare a comporre una maggioranza, per senso di responsabilità verso gli elettori.

Sin qui mi è un passo avanti molto importante: in politica le alleanza (più o meno temporanee) non sono una cosa di cui vergognarsi, soprattutto se si vive in regime parlamentare con sistema proporzionale (che è esattamente quello che il M5s ha voluto e per la cui difesa è stato determinante). Dunque allearsi fra diverse forze politiche è lecitissimo e non comporta alcuna “contaminazione”.

Certo, c’è modo e modo di fare alleanze: c’è il mercato delle vacche delle seggiole ministeriali e da sottosegretario e c’è quello che bada al contenuti, ci sono le ammucchiate e ci sono le alleanze chiare fra forze compatibili, ci sono le alleanze di cartone che durano un pomeriggio e ci sono quelle più solide che durano il tempo necessario ad attuare punti qualificanti di programmi. Dunque, preliminarmente occorre definire un metodo che parta da prima delle elezioni.

La politologia sostiene che le alleanze si fanno sul principio della “contiguità”, cioè fra forze politiche maggiormente affini e perciò “vicine”, mentre più rare e meno funzionanti sono quelle “a scavalco” che lascino “vuoti” nella proprio continuum. Questo presuppone la distribuzione delle forze politiche su un continuum destra-sinistra, per cui, la sequenza al tempo della Prima Repubblica era: Msi-Pdium-Pli-Dc-Pri-Psdi-Psi-Pci-Psiup. E, infatti le maggioranze della prima repubblica andavano sempre dal Psi al Pli, qualche volta con partecipazioni esterne, altre con composizioni organiche, altre ancora con governi monocolore. Qualche rara volta (ad es governo Zoli o Tambroni) la maggioranza si allargava a destra escludendo i “laici”Pri e Psdi (ma sempre con un criterio di contiguità) ma si trattava di governi di breve durata e, in un caso finiti piuttosto male (Tambroni). A fine anni settanta la classica formula Pli-Pri-Psdi-Dc- Psi si allargò al Pci (sempre per contiguità e senza “vuoti” di mezzo) ma durò poco per poi tornare al “pentapartito”.

Dunque, abbiamo una conferma della legge delle alleanze contigue che, però pone qualche problema perché non sapremmo dove collocare il M5s: a destra, a sinistra o al centro? Come è noto il movimento rifiuta di essere considerato di destra o di sinistra (e tantomeno di centro), per cui non siamo in grado di stabilire un maggiore o minore grado di prossimità a ciascuna forza politica. Questo perché il M5s (questa era una idea molto salda in Roberto Casaleggio) ritiene che le categorie di destra e di sinistra sono interne al sistema politico dei partiti che egli rifiuta in blocco.

Questo ha due possibili declinazioni: quella del fronte di liberazione nazionale o quella del “totalmente altro”. Ci spieghiamo meglio: la formula del Fronte di Liberazione Nazionale è quella dei Fronti di Liberazione anticoloniali, che alleano tutte le forze politiche nazionali, partiti, sindacati, organizzazioni femminili, eccetera, contro l’occupante ed è la stessa formula del Cln durante la Resistenza; questa sottintende due cose: che nessuna componente del Fronte accetti di trattare o allearsi, anche solo su una singola questione, con qualsiasi componente del blocco avversario e che, una volta cacciato l’occupante, il patto si scioglie e le componenti riacquistano la loro libertà d’azione, dando vita ad un sistema pluralistico (qualche volta, però, il Fronte si impone come partito unico, come in Algeria o Eritrea, tanto per fare un esempio).

E’ evidente che non è questo il caso del M5s che non ha componenti interne organizzate e riconosciute come tali. Resta l’altra opzione: quella del “totalmente altro”, cioè un universo organizzativo che ritiene di poter inglobare tutte le domande politiche presenti in una società e di avere in sé la capacità di mediare fra esse e trovare la soluzione giusta. Roberto usava dire “non ci sono idee di sinistra o di destra, ma idee giuste o sbagliate”.

Già, ma giuste rispetto a cosa? Dove sta scritto che l’obiettivo della piena occupazione è più giusto di quello della massimizzazione del profitto? O che la liberazione della donna sia giusta più dell’ordine tradizionale? Questo è possibile stabilirlo sulla base di convinzioni di ordine morale o politico generale. Dunque, sulla base di una visione di ordine generale premessa ad ogni singola idea particolare: si chiama ideologia, quello che per un pentastellato doc è più o meno una bestemmia.

Il fatto è che l’ideologia è la base dell’identità di ogni forza politica. Poi c’è modo e modo di utilizzare l’ideologia (o di farsi usare da essa): se ne può fare una guida all’azione che si concilia con il realismo politico delle alleanze e delle mediazioni e c’è chi ne fa un dogma religioso dal quale non discostarsi neanche di un centimetro. E c’è anche chi ne fa solo una foglia di fico per coprire le sue nudità politica e la sua sola aspirazione: occupare qualche poltrona. Infatti, i partiti tradizionali a trazione opportunistica hanno sempre una ideologia molto lasca e assai meno osservata.

Dunque, se il M5s vuole scendere sul terreno delle alleanze, deve come prima cosa, precisare in cosa è altro dal sistema dei partiti e, diciamocelo, per ora, quel che lo distingue è una formula a tre elementi: generico richiamo alla democrazia diretta, rifiuto della organizzazione gerarchica dei partiti e onestà. Peraltro tutte tre le cose in modo mica tanto preciso. Ma tutto sommato, è un po’ pochino per potersi dire “totalmente altro” dalle altre forze politiche.

Il grande vuoto della proposta politica del M5s è la mancanza di una concezione della società. Cosa pensa il M5s delle privatizzazioni e dell’ordine finanziario del mondo? Si può pensare che questo sia giusto e che si tratti solo di applicare con rigore i principi ordoliberisti, oppure pensare che ci sono delle deviazioni e degli eccessi da mitigare in un ordinamento sostanzialmente accettabile, oppure pensare che questo ordinamento vada rovesciato e sostituito con qualcosa che occorre precisare.

Oppure, quale è la concezione del lavoro del M5s? Non mi verrete a dire che la soluzione di tutto sia nel “reddito di cittadinanza” idea della quale penso tutto il male possibile, ma di cui non affrontiamo qui il merito, sicuramente non credo si possa decentemente sostenere che sia una soluzione complessiva accettabile. Sostenere una cosa del genere è possibile sulla base della più crassa ignoranza economica e sociologica.

Altrettanto, possiamo dire dell’ordinamento dello Stato: non credo che il generico e fumoso richiamo alla democrazia diretta basti. Intendiamoci: uno dei grandi meriti del M5s è quello di aver indicato i limiti dell’attuale meccanismo di democrazia rappresentativa e la necessità di innervare forme di democrazia diretta per rivitalizzare la nostra esangue democrazia ridotta alla liturgia quinquennale del voto. Benissimo, ma come si articola poi questo progetto? Solo l’introduzione del referendum propositivo?

Oppure l’ipotesi del re-call che, però, esige il collegio uninominale maggioritario che, invece, il movimento ha bocciato nella consultazione che facemmo insieme? E poi, siamo sicuri, che il principio della democrazia diretta debba limitarsi alla sfera politica ed arrestarsi davanti ai cancelli delle fabbriche ed alle porte delle banche? E sull’informazione non è il caso di pensare ad un ordinamento che includa un ruolo attivo di lettori ed ascoltatori? Non tutto il mondo è web.

Il M5s non so è mai cimentato con questi temi e, tantomeno, con il tentativo di elaborare una visione complessiva coerente.

Dunque, prima di decidere se allearsi e con chi, sono questi i nodi di scegliere. Né la questione può essere risolta dalla furbata di presentarsi alla camera con un programma e dire “decidete voi se votarmi o assumervi la responsabilità di farmi cadere” e questo per 4 ottime ragioni:
a.  che quando si tratta di potere, le burocrazie politiche si assumono qualsiasi responsabilità perché non è la faccia quel che manca
b.  che questo mette il movimento in condizione subalterna, per cui sono gli altri a scegliere e lui ad essere scelto, salvo restare appeso alla corda del consenso altrui per tutto il resti, dalla finanziaria alle leggi qualificanti
c.  che un accordo sulle grandi linee di programma non è risolutivo, perché poi c’è il rischio di vedersi stravolta una proposta di legge con il gioco micidiale degli emendamenti
d.  che, in definitiva, il governo durerebbe pochissimo, dopo un cammino costellato di cadute, che logorerebbe qualsiasi credibilità del movimento alla sua prima sfortunata esperienza di governo, per poi approdare a nuove elezioni che segnerebbero una stangata memorabile per il M5s.

Ed allora, iniziamo a mettere il discorso sui piedi, capovolgendo l’attuale logica. Ed ho una semplicissima domanda da farvi: quale è l’orizzonte strategico del movimento? Come vuole cambiare l’Italia? Auguri!




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