mercoledì 26 agosto 2015 - Giovanni Graziano Manca

I Rolling Stones con il vento in poppa

A parlare dei Rolling Stones si rischia quasi sempre di essere banali, ridondanti e/o noiosi. Del gruppo rock più illustre, titolato e di lunga vita al mondo, infatti, è già stato detto tutto e il contrario di tutto.

 

Nel 2010 Mick Jagger è stato ospite a Cannes per la presentazione del documentario curato da Stephen Kijack e prodotto dalla BBC Stones in exile. Il documentario contiene immagini girate durante la realizzazione di uno dei dischi qualitativamente e quantitativamente più generosi (e anche più discussi) del gruppo, Exile on main street.

Il disco esce in doppio vinile nel 1972; nelle edizioni più recenti comprende il CD accompagnato da vinile, DVD e libro. L’album deve essere annoverato tra i classici del genere rock-blues; non a caso Exile on main street è da molti considerato come la migliore incisione discografica del gruppo inglese. La positività di tale apprezzamento apparirebbe inspiegabile ove si considerasse che esso si pone in evidente contrasto con la concatenazione di situazioni avverse che hanno pesantemente e negativamente condizionato l’attività della band durante la gestazione del disco; in quei primi anni Settanta, ad un uso sempre più smodato di alcool e stupefacenti da parte dei componenti del gruppo, si accompagnava l’implacabile puntiglio del fisco britannico perennemente alla ricerca di proventi delle attività del gruppo da tassare.

Realizzato in Costa Azzurra nella cantina di una villa che il chitarrista Keith Richards aveva preso in affitto, l’album, ristampato contemporaneamente all’uscita del documentario che si riferisce alle relative sessions di registrazione, si avvale della presenza di uno degli astri del blues inglese, l’ex Bluesbreakers Mick Taylor, che aveva sostituito Brian Jones alla chitarra dopo la tragica scomparsa di quest’ultimo, di Bobby Keys al sax, di Billy Preston e Nicky Hopkins alle tastiere e di altri notissimi ed eccellenti musicisti.

Nella sua apparizione alla Mecca del Cinema mondiale Mick Jagger ha dichiarato: Nei primi anni ‘70 eravamo giovani, belli e molto stupidi, ora siamo solo stupidi. Nixon era alla Casa bianca – ha aggiunto - la guerra in Vietnam andava avanti, Eddy Merks aveva appena vinto il Tour de France, ma noi non sapevamo nulla di tutto questo, eravamo chiusi a fare questo album. Stare con noi non era come fare una vacanza da consigliare a chi ha bambini.

Queste poche battute, che la dicono lunga sull’odierna capacità di Jagger di valutare il proprio passato con la giusta dose di distacco e ironia, mettono peraltro contemporaneamente in rilievo quanto dell’intero gruppo già si conosce, in particolare l’immutata vitalità e il livello di disincanto a cui sono approdati questi vecchietti del rock più chiassoso e coinvolgente oggi forse più vicini alla saggezza. E’ una esternazione leggermente autocanzonatoria, quella del cantante inglese, che però viene smentita dalla realtà delle cose.

 

Ancora, in questi ultimi anni, i quattro inglesi su cui principalmente ruota la elefantiaca macchina organizzativa del gruppo continuano a passare disinvoltamente e diligentemente da impegni e progetti individuali ad attività che riguardano tutto il gruppo: tra dischi solisti e uscite di libri autobiografici (dopo Life, discussa autobiografia data alle stampe nel 2010, uscirà a Settembre l’ultimo disco solista di Richards, Crosseyed Heart, mentre Vinyl, serie TV creata da Mick Jagger in compagnia di Martin Scorsese e di Terence Winter sarà visibile in TV nel 2016), un giro di concerti negli stadi americani già iniziato e ancora, prossimamente, l’intenzione di intraprendere nuovi tour, ammiccamenti all’idea di possibili nuovi album da registrare in studio, nonostante qualche brutto scherzo del destino (lo scorso anno sono venuti a mancare L’Wren Scott, compagna di Mick, e uno dei collaboratori storici di Jagger & co, il sassofonista Bobby Keys), gli Stones mantengono ancora ben saldo il timone di una imbarcazione inaffondabile. 

A prescindere dalle vicende personali che riguardano la vita privata dei singoli componenti della band, che di volta in volta danno adito a discussioni praticamente inesauribili, si può affermare con certezza che oltre a essere stati, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, tra i maggiori ispiratori e protagonisti della cultura pop, a suscitare l’interesse di artisti come Andy Warhol e di registi cinematografici come Jean Luc Godard e Martin Scorsese e a rappresentare fonte di ispirazione per tutte le nuove leve del rock, i Rolling Stones hanno fornito prova, negli oltre cinquant’anni di attività, di essere tutt’altro che stupidi e di avere una predisposizione per gli affari e una capacità manageriale e di gestione della propria immagine pubblica veramente eccezionale. Tutte le attività del gruppo, in special modo quelle concertistiche e discografiche, si svolgono all’interno di un contesto organizzativo perfetto, una vera e propria macchina del profitto, un’impresa multimiliardaria orientata al soddisfacimento delle più variegate preferenze musicali che tra i giovani e anche tra coloro, meno giovani, che seguono gli Stones da sempre, vanno per la maggiore. 

E nel tentativo di richiamare a sé l’attenzione di quelli che non solo di rock si nutrono ma anche di musiche altre come il reggae, la dance music, il rap, la techno dance e l’hard rock i Rolling Stones, oltre a continuare a incidere canzoni che come di consueto tengono alto il vessillo del rock blues più classico e delle ballate d’atmosfera cui da sempre il gruppo di Jagger e Richards ci ha abituati (limitando l’elencazione a pezzi incisi nella seconda parte della loro carriera si potrebbero citare brani dall’andamento e dalla struttura tipicamente rollingstoniani come Start me up, One Hit (to the Body), Dirty Work , Fight, Winning ugly, Always Suffering, Already Over Me, Low Down, Too tight, I go wild, Mean disposition), almeno da Black and Blue, disco del 1976, primo album registrato in studio con Ronnie Wood alla chitarra, i quattro inglesi hanno in modo costante furbescamente assecondato le mode cimentandosi in pezzi che si differenziano rispetto a quelli che fanno parte del primo repertorio della band; di ciò ci si può fare un’idea ascoltando l’ultimo album registrato in studio nel 2005, A bigger bang, ma anche brani ad esso precedenti come Hot stuff, Cherry oh baby, Back to Zero, Harlem Shuffle, Might as Well Get Juiced e Anybody Seen My Baby?

Gli Stones, si potrebbe dire, viaggiano sempre con il vento in poppa e continuano a mantenersi egregiamente a galla da un lato cercando di non uscire dal solco della propria tradizione (in fondo anche l’uscita di Stones in exile e la riproposizione di Exile on main street in una versione aumentata da alcuni inediti vanno in questa direzione) dall’altro offrendo al pubblico che li segue concerti e dischi sempre all’altezza del nome che portano, dischi certamente legati ad un passato, quello del gruppo, più o meno ribelle e turbolento, ma che continuano a proiettare la musica del gruppo nel futuro più lontano.

 




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