lunedì 21 agosto 2017 - Roberto Bortone

Google e Facebook: le mosse per contrastare l’hate speech dilagante

Se il 2017 è stato battezzato come l'anno della "post-verità" - secondo l'ormai consueta definizione dell'Oxford Dictionary che ha eletto parola dell'anno “post truth” - di certo l'anno che ci avviamo a riprendere dopo la pausa estiva non potrà non essere ricordato anche come l'anno dell'odio in Rete: centinaia di migliaia di casi di razzismo, xenofobia, violenza contro le donne, cyberbullismo, e odio "tout-court" hanno rimepito le bacheche e i newsfeed di milioni di utenti nel mondo. 

Una vera e propria esplosione o forse, a ben vedere, semplicemente l'emersione di un fenomeno già consolidato, facilitata dai nuovi algoritmi sempre più performanti rilasciati dai social network e dai mass media vecchio stile che riprendono e "amplificano" su giornali e Tv quanto avviene nel web

Sta di fatto che ormai sempre di più studiosi si stanno cimentando nel tentativo di comprendere il legame strutturale tra le forme comunicative tipiche della Rete e le espressione di contenuti rozzi, denigratori e incitanti alla violenza: un vero e proprio "effetto disinibitorio" che non lascia scampo alle vittime dell'odio, nè on-line, tantomeno offline. 

In questo contesto anche i big della Rete, messi sempre più alle strette dai Governi europei, in particolare dalla Germania con la recente approvazione della cosiddetta "Facebook Law", si stanno muovendo alla ricerca di soluzioni più o meno "algoritmiche" al problema dell'odio. Particolarmente rilevante appare la notizia che viene direttamente da Facebook per bocca di Richard Allen, vicepresidente delle public policy per l’area europea, africana e mediorientale, sul blog ufficiale della società: stando a quanto riferito la compagnia di Menlo Park nel corso degli ultimi due mesi ha eliminato su scala globale - in media - 66mila contenuti di odio a settimana per un totale di 288mila al mese. "Certe volte è evidente che si tratti di hate speech e che debba essere rimosso – ha dichiarato il manager di Facebook – altre volte non c’è un accordo chiaro, magari perché le parole sono ambigue, l’intenzione dietro di esse è sconosciuta o il contesto non è chiaro. Anche il linguaggio si evolve e una parola che tempo fa non era un insulto può esserlo oggi". Facebook non è sceso nel dettaglio di ogni singolo Paese - aspetto che ci avrebbe assai interessato - tuttavia la cifra appare indubbiamente rilevante e la scelta significativa: affermare, numeri alla mano, che la propria splendida casa è si molto bella ma purtroppo anche infestata da una specie cimici potenzialmente distruttive, non è cosa da poco in termini di marketing. Anche in tema di contrasto alla propaganda terroristica Facebook ha lanciato un’iniziativa - per il momento nel Regno Unito - per frenare la diffusione del problema chiamata “Online Civil Courage Initiative“: offrirà finanziamenti e formazione per aiutare le organizzazioni locali a tracciare e contrastare il fenomeno dell’hate speech e della propaganda violenta. Il dado è tratto e probabilmente, di fronte alla cifra record appena raggiunta di 2 miliardi di utenti al mese, i 7.500 "pulitori" di hate speech assoldati da Facebook non avranno vita facile nei prossimi mesi.

Appare molto interessante anche l'iniziativa recentemente intrapresa da Google: si tratta di uno strumento di machine learning per aiutare i giornalisti a tenere traccia dei casi di violenza per motivi razziali. Il progetto che va sotto il nome di Documenting Hate News Index è stato sviluppato da Google News Lab in collaborazione con ProPubblica, il New York Times, BuzzFeed News, il Southern Poverty Law Center e l'Univesità di Miami. Le notizie monitorate e ordinate dal tool sarebbero oltre 3000, e sono in costante aumento. "Il feed di notizie è generato dall'analisi di casi di cronaca di violenze e abusi a sfondo razziale", ha dichiarato Google. 




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