giovedì 19 maggio 2016 - Antonio Moscato

Golpe Brasile: cosa c’è dietro al crollo di Dilma Rousseff e del PT?

Sgomento in America Latina e nella sinistra nel mondo: come è stato possibile un crollo così rapido dei consensi per Dilma Rousseff? Eppure appena 19 mesi fa era stata votata da 54 milioni di brasiliani in elezioni che nessuno ha contestato.

E non è solo lei ad essere stata estromessa, è lo stesso PT che appare fuori gioco, perché in un sistema in cui la corruzione è dilagante, è stato presentato dai mass media come l’unico corrotto; anche il movimento dei senza terra, da tempo in difficoltà per gli scarsi risultati raggiunti in tanti anni di “governo amico”, denuncia il golpe, ma non riesce a mobilitare masse che possano soverchiare quelle che stupidamente festeggiano il trionfo di una banda di corrotti e di famelici imprenditori. A San Paolo, una città di venti milioni di abitanti, culla del PT, a manifestare ieri per Dilma erano poche migliaia.

Il problema è che la parola golpe non spiega quello che è successo: molti dei protagonisti della farsa e dei clamori da stadio alla Camera, e poi della penosa discussione al Senato, stavano fino a pochi mesi fa nella maggioranza che aveva sostenuto (non gratuitamente) sia Lula sia Dilma. Probabilmente il grottesco tentativo del vicepresidente Waldir Maranhão di annullare la votazione del 17 aprile per “vizi di forma” rivelava l’ennesimo tentativo di comprarsi qualcuno della banda dei corrotti, ma è durato pochissimo.

Con l’inflazione al 10%, la svalutazione del real arrivata al 22%, il conto da pagare per i megalomani impianti per le Olimpiadi lievitato del 25%, la rabbia per una polizia enorme e ben pagata che carica con durezza i manifestanti e non esita a “ripulire” le zone adiacenti agli impianti assassinando i meninhos de rua, si capisce bene che non occorre nessun golpe. Il governo era diventato sempre più impotente e al tempo stesso impopolare, soprattutto a partire dalle grandi manifestazioni del 2013 contro l’aumento del costo dei trasporti urbani, che erano state attribuite alla classe media, ed erano invece trasversali e vedevano una partecipazione giovanile anche degli strati più poveri. Sintomatico della sottovalutazione di quel che stava maturando è il ricorso a ministri dell’economia sempre indifferenti alla sorte dei lavoratori, come Guido Mantega, Nelson Barbosa e soprattutto Joaquim Levy, il prediletto da Dilma e dai mercati. Non a caso alcuni ministri come Henrique Alves, titolare del Turismo, sono direttamente passati dal governo di Dilnma a quello dei "golpisti".

Il grande vincitore di questa mano è il PMDB, il partito di Temer e di Cunha, che era associato completamente (non era un segreto per nessuno, compresa la magistratura) al sistema di tangenti elargite dalla Petrobras.

Non è stato fatto nulla, per anni, per combattere ed emarginare questo mondo politico istituzionale corrotto e corruttore. Per questo affermo che non c’è stato nessun golpe, i Temer e soci hanno solo visto che in questa fase, anche per i riflessi della congiuntura economica mondiale, il governo aveva perso consensi, e ne hanno approfittato. Esattamente come le destre in Venezuela: c’erano da un pezzo, infami, rozze, violente, ma per anni avevano perso tutte le elezioni significative. Per vincere hanno avuto bisogno non di un golpe, ma della demoralizzazione e della delusione di tre milioni di elettori chavisti, che si sono astenuti.

La linea consolatoria scelta dalla sinistra latinoamericana, che se la prende sempre con la perfidia del nemico (come se in passato fosse mai stato buono) impedisce ogni riflessione, indispensabile per riorganizzare le forze evitando di fare gli stessi errori. Il manifesto ha subito sposato questa interpretazione già col titolo in prima pagina “Stato di golpe” e con un articolo di Geraldina Colotti che se la prende con la composizione del Senato brasiliano (solo 6 su 81 sono neri e solo 11 donne, mentre nel paese sono rispettivamente il 54% e il 51%) senza farsi sfiorare da qualche dubbio. Per esempio, si poteva domandare: quando e perché era stato eletto? La composizione rifletteva i rapporti di forza emersi nelle elezioni precedenti, in cui il PT era minoranza ma governava “a ogni costo” comprandosi vari partitini di destra, che ovviamente diventavano complici e che quindi non si potevano attaccare. Si compravano e basta, e si nascondevano le loro responsabilità. E ci si sporcava le mani insieme.

Inconsistente anche l’intervista della stessa Colotti a João Pedro Stedile, leader dei Sem Terra, un tempo molto critico, ma oggi tranquillamente allineato alla tesi del golpe strisciante e fiducioso in una “mobilitazione permanente” che sarà molto difficile da organizzare, dopo anni di smobilitazione e di attenuazione dei conflitti, aggravata dalla demoralizzazione per la scoperta che mentre disoccupati, senza terra, senza casa, lavoratori e pensionati facevano duri sacrifici, molti dei loro stessi dirigenti stavano sul libro paga delle grandi multinazionali come Petrobras, Odebrecht, Vale.

Stedile ammette che il problema del Brasile è che “siamo ancora una delle società più diseguali ed ingiuste”. Non dice che grazie ai due governi guidati da Lula e uno e mezzo da Dilma, lo strato più ricco si è arricchito ancora. Dice che “la corruzione è intrinseca al funzionamento di una borghesia vorace che si appropria delle risorse pubbliche per trarne il massimo profitto per sé e per le proprie imprese”. Ora se ne accorge? Ed era necessario mangiare nella stessa greppia?

Mi fermo qui per ora, perché sul sito abbiamo fornito fin dall’inizio informazioni articolate sul Brasile e gli altri governi “progressisti”. Basta verificare sulla colonnina ATTUALITA’ E POLEMICHE, la voce America latina, che contiene decine di articoli proprio sul Brasile. Soprattutto di voci critiche che suonavano l’allarme dall’interno prima della catastrofe. Si veda all’esempio il recente Brasile. Un colpo al cuore della sinistra. Ma soprattutto perché è in corso di traduzione un importante saggio di Perry Anderson sul Brasile, che probabilmente uscirà “a rate”, perché è molto lungo (anche da tradurre…).




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