martedì 23 maggio 2017 - Francesco Grano

"Gold – La grande truffa": non è tutto oro quel che luccica

Stati Uniti, anni Ottanta. Kenny Wells (Matthew McConaughey) imprenditore del settore minerario, eredita la società di investimenti del padre. Ma dopo pochi anni è costretto a dichiarare il fallimento dell’impero di famiglia. Non arrendendosi al triste futuro privo di successo e benestare, Wells gioca i suoi ultimi risparmi per una spedizione nel Borneo dove, secondo fonti attendibili, ci sarebbero ingenti giacimenti di oro. Arrivato sul luogo Wells conosce Mike Acosta (Édgar Ramírez), un esperto geologo messo a capo delle operazioni di ricerca. Dopo svariate settimane, imprevisti e febbri malariche, Wells e Acosta riescono a trovare ciò che cercano e, così, rientrare in patria da vincenti. Wells viene acclamato, la sua società riapre i battenti e gli agenti di borsa si contendono i suoi titoli azionari. Ma ben presto quello che sembra un miracolo della finanza si trasforma in un’ambigua controversia in quanto, molto probabilmente, di vero oro non ce n’è.

Regista di Syriana (id., 2005) e sceneggiatore del magistrale Traffic (id., 2000) di Steven Soderbergh, Stephen Gaghan torna nelle sale cinematografiche con Gold – La grande truffa (Gold, 2016). Ispirato ad un reale scandalo economico del 1993, che vide coinvolta la società Bre-X, e liberamente rimaneggiato a favore di sceneggiatura, inserendo personaggi fittizi e spostando la storia indietro di qualche anno, Gold – La grande truffa è un bizzarro ma abbastanza prevedibile mix tra commedia nera e dramma in cui, a spiccare veramente, non è tanto la storia bensì i personaggi, su tutti il Kenny Wells di Matthew McConaughey.

Se da una parte il nuovo film di Stephen Gaghan non brilla per originalità, nonostante la regia sia alquanto ferrata e proceda con passo sicuro, dall’altra il fatto di aver spostato l’azione delle vicende dall’ultima decade del secolo scorso ai favolosi anni Ottanta permette a Gold di guadagnare quel terreno necessario per attrarre lo spettatore. C’è la ricostruzione del mito del successo di finanzieri, imprenditori e broker, la vita di lusso degli yuppie figli (o prodotti diretti, che dir si voglia) degli Eighties e, infine, la figura del loser, del perdente che cerca in tutti i modi di risalire la china, a costo di fare carte false e – così – rischiare di compromettere tutto e tutti. Nonostante la confezione in realtà Gold – La grande truffa mantiene costantemente un tono alquanto sobrio, privo di manierismi registici e barocchismi di alcuna sorta. Stephen Gaghan si tiene lontano dal modello stoneiano di Wall Street (id., 1987) e dagli eccessi dello scorsesiano The Wolf of Wall Street (id., 2013) a base di orge, sesso sfrenato, alcol, droghe e dollari volati in aria, preferendo rimanere più dalle parti di La grande scommessa (The Big Short, 2015) in cui logica e senso della finanza predominano.

Il film di Gaghan non è tanto incentrato sullo scandalo in sé ma, piuttosto, sulle psicologie e le personalità dei personaggi posti al centro della trama: a fare la parte del leone è il premio Oscar Matthew McConaughey che, al pari di attori del calibro di Christian Bale, Adrien Brody e Tom Hardy, riesce a dimostrare di avere non solo un grande talento attoriale ma anche metamorfico (come ha già fatto in Dallas Buyers Club), apparendo sul grande schermo con una pancia prominente e capelli radi da uomo di mezza età senza tuttavia sminuire il suo appeal nella mimica e nella gestualità. Un personaggio, quello di McConaughey, che trova la sua simbiosi nella figura dell’archeologo Acosta, controparte incarnata da Édgar Ramírez che, in modo asciutto e senza tanti giri di parole, è riuscito a cucirsi addosso il ruolo. I due personaggi principali di Gold sono eterogenei ma, in qualche modo, similari: entrambi con un forte senso degli affari e un amore per il rischio sono due anime destinate ad incrociarsi e rimanere tra loro legate su quel sentiero che porta ad una (disastrosa) scalata verso il successo in cui, una volta scoperte le carte in gioco, ci si rende conto di come, spesso, non è tutto oro quel che luccica.

Parabola sulla sete di successo, potere e rischio Gold – La grande truffa si rivela un film semplice ma non per questo da scartare e che, senza troppi complimenti, non ambisce a toccare le vette di titoli “truffaldini” come l’ottimo American Hustle – L’apparenza inganna o di un capolavoro come La stangata (The Sting, 1973) semmai a mostrare quel che è: la realizzazione (non tanto lecita) dell’american dream di un uomo qualunque.




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