venerdì 5 agosto 2016 - Fabio Della Pergola

Genocidio, una passione europea

A poco più di cento anni dallo sterminio la Germania si prepara alle scuse ufficiali.

Basta fare due conti per accorgersi che non si tratta, questa volta, né di ebrei né di rom né di una delle altre categorie di vittime (omosessuali, oppositori politici, prigionieri di guerra e così via) travolti dal furore nazista.

Si tratta invece del primo, devastante genocidio del XX secolo; uno sterminio che anticipò anche quello turco ai danni degli armeni.

Parliamo del massacro pianificato e attuato con perseveranza contro le popolazioni indigene delle colonie tedesche in Africa, gli Herero e i Nama. Popolazioni ridotte, scrive lo storico Georges Bensoussan (Genocidio. Una passione europea), dell’81% nell’arco di cinque anni dal 1903 al 1908.

Vale a dire circa centomila morti in quella che Hanna Arendt definì “un’infernale preparazione all’Olocausto” e che il parlamento tedesco ha tardato molto a riconoscere come tale (cosa che il premier turco Erdogan non ha esitato a rinfacciargli quando a giugno si è permesso di definire ufficialmente come “genocidio” lo sterminio degli armeni).

Quella tedesca fu una reazione assolutamente spietata verso le due tribù africane che si erano ribellate alla tracotanza coloniale e il generale Lothar von Trotha si distinse per la decisione di uccidere chiunque fosse trovato all’interno dei confini del possedimento tedesco a prescindere dalla sua partecipazione o meno alla ribellione. Uomini, donne e bambini furono trucidati con ogni mezzo, anche con l’avvelenamento delle acque, e in molti casi furono decapitati per poter sottoporre i loro teschi allo studio sull’inferiorità delle razze non ariane.

Non mancarono i casi di esperimenti su cavie umane da parte di antropologi che, di lì a poco, diventarono i punti di riferimento “scientifico” per l’eugenetica nazista.

Non a caso - lo ricorda Avvenire (“Namibia. Il primo genocidio del ‘900” a firma di Riccardo Michelucci) - il primo governatore della colonia si chiamava Heinrich Göring, “padre di quell’Hermann Göring divenuto poi il braccio destro di Hitler”.

Chi studia il nazismo, e magari le sue radici "culturali", non dovrebbe dimenticare gli elementi di una prassi sterminatoria di stampo razzista ben precedenti.

Si spera che anche altri organi di stampa nei prossimi giorni si accorgano che le prime stragi su larga scala nel mondo, ben prima dell’avvento del terrorismo jihadista e con dimensioni decisamente più devastanti, sono avvenute per mano della tanto osannata civiltà europea. Non basta che il Papa vada ad Auschwitz, e (almeno lì) se ne stia un po' zitto, per aver fatto i conti davvero con la realtà genocidaria della tradizione occidentale.

I tedeschi, grandi esperti di annientamento di popoli nel corso dell’ultimo secolo, hanno avuto - a differenza dei Salvini, LePen, Trump & Company - almeno il buon gusto di guardare in faccia questo loro tragico passato (anche se poi per far quadrare i conti delle loro banche hanno trattato i greci con spietata determinazione).

Questo non cambia minimamente il giudizio sulla demenzialità assassina di chi vorrebbe riproporre, a milletrecento anni di distanza, un ritorno ai fasti del califfato islamico, ma vuole essere solo un appunto per chi eventualmente abbia la memoria così corta da essersi dimenticato le "glorie" della storia occidentale.

Insomma a fronte di inconciliabili differenze culturali, antropologiche e religiose, dovremmo studiare un po' più a fondo la specularità di prassi politica fra cristianità e islam: la prima nata e cresciuta sulle basi portanti dell'Impero Romano d'Occidente ne ha percorse le stesse vie di espansione imperiale, imitandone il potere accentrato, gerarchicamente organizzato, e l'universalismo accompagnato da una costante prassi persecutoria verso ogni sacca di resistenza.

Il secondo ha fatto altrettanto, dapprima nella sua fase espansiva califfale e poi in quella imperiale del sultanato ottomano. Oggi ci riprova tentando di ripristinarla attraverso l'islamizzazione radicale dei governi e la prassi terroristica che colpisce ogni tentativo di resistere, fosse anche interno al mondo islamico stesso.

 




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