sabato 14 aprile 2012 - Enrico Emilitri

Francia: gli imbrogli del Quatorze Julliet

Ogni anno da oltre due secoli viene celebrato, non solo in Francia, ma in molti Paesi del mondo (non tutti francofoni, in verità), il 14 Luglio, a perenne ricordo della Presa della Bastiglia, antica fortezza costruita nel Tardo Medioevo quale rinforzo di uno dei punti più deboli ed esposti delle mura di Parigi, e che il cardinal Richelieu trasformò in prigione di Stato dove furono rinchiusi personaggi del calibro della Maschera di Ferro, Voltaire e Cagliostro, ma della quale proprio Luigi XVI aveva decisa la demolizione perché ormai fatiscente ed assolutamente poco funzionale anche come carcere, tanto che alla vigilia del celebrato evento vi erano detenuti cinque delinquenti comuni e due malati di mente appartenenti a famiglie altolocate.

OEssa era, inoltre, presidiata da un battaglione di invalidi comandati da un anziano ufficiale elvetico, posto a guardia delle munizioni qui distribuite, pare, in attesa della risistemazione dell'Arsenale Centrale di Parigi.

 

 

 Ricostruzione ottocentesca e pianta originale della Bastiglia

 

 

A causare tali eventi fu una serie di conflitti che vide la Francia dilapidare un patrimonio di vittorie e conquiste culminate durante il regno del Re Sole.

Tralasciando le Guerre di Successione (1701-1748), i problemi iniziarono con la Guerra dei Sette Anni (1756-1763) e la conseguente conquista britannica del Canada (sino allora colonia transalpina) culminata nell'eroica e disperata difesa di Québec, che vide la morte di entrambi i comandanti (il gen. James Wolfe e il marchese di Louis-Joseph de Montcalm) e la conseguente capitolazione della città. A questi eventi parteciparono anche i coloni inglesi d'America, ma causa l'insolvenza della Francia che non avrebbe mai potuta liquidare completamente l'indennità di guerra al Regno Unito, quest'ultimo pensò bene di rivalersi proprio sulle Colonie Americane, dove sapeva poter rastrellare abbastanza risorse, ma che avevano sino allora goduto di numerosi privilegi ed esenzioni, e che proprio per tale onerosa politica finanziaria e fiscale, che colpiva soprattutto i commerci, sfociò nel cosiddetto "Tea Party" con la distruzione, appunto, di un carico di tè appena giunto nel porto di Boston (1773). La frattura era, a questo punto, inevitabile, e - infatti - venne di lì a poco emanata la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti (4 Luglio 1776) che portò alla Guerra per l'Indipendenza (la cosiddetta Rivoluzione Americana) culminata nella vittoria finale di Yorktown (1781) e nella Pace di Parigi (1783), con la quale la Gran Bretagna si vide costretta a riconoscere alle ex-Colonie la piena sovranità.

Di questo conflitto approfittò la Francia per rifarsi delle umiliazioni precedenti, prima limitandosi ad inviare figure come il giovanissimo marchese Gilbért de Lafayette (promosso dagli americani generale sul campo a soli 17 anni!), e poi un ben più nutrito contingente, che se non consentì ai francesi di recuperare i territori perduti diede però loro la soddisfazione di rendere pan per focaccia ai secolari nemici.

A questo punto iniziarono però dei nuovi problemi, dato che a questo punto era la Francia a rivendicare l'indennità di guerra dalla Gran Bretagna. La soluzione sarebbe stata quella di defalcare la rimanente quota transalpina dalla precedente pendenza, ma il Governo di Londra rifiutò perché gli Stati Uniti non erano affatto un Paese occupato che grazie anche all'aiuto francese (ma non solo) si era liberato dagli invasori, ma, appunto, un insieme di colonie appartenenti, dunque, al Demanio Regio, quindi alla Corona, stante per cui i coloni avevano di fatto perpetrato un furto ai danni di quest'ultima, di cui gli stessi francesi si erano resi complici, il che spiega come mai tale operazione non avvenne mai.

Per rimediare tale situazione, Luigi XVI decise di rivedere la politica fiscale nominando ministro delle finanze Robert Jacques Turgot, che decise di colpire i grandi patrimoni laici ed ecclesiastici, ma in una società fortemente strutturata e radicalizzata come quella francese dell'epoca un'operazione che definire utopica è dir poco era assolutamente impossibile, tant'è che Turgot venne neppure elegantemente licenziato e sostituito dal ginevrino Necker, che dopo qualche tempo tentò un'analoga operazione e, a differenza del predecessore, fu a un passo dal riuscirvi, ma ancora una volta i ceti dominanti (Aristocrazia e Clero) ebbero la meglio e anche lo statista di origini elvetiche venne infine costretto a cedere facendo, dunque, ricadere tutto il carico fiscale sul cosiddetto Terzo Stato (Borghesia e Proletariato)

 

 

 Robert Jacques Turgot e Jacques Necker


Così com'era avvenuto oltreoceano, questo insieme di eventi suscitò una serie di reazioni che indussero il monarca a convocare gli Stati Generali (cosa non più avvenuta dal 1614!). Le relative elezioni furono accompagnate da numerosi Cahiers de Doléances (=quaderni di lagnanze) che denunciavano una situazione ormai notevolmente incancrenita.

 

 L'apertuta degli Stati Generali a Versailles (1789)


Essendo che la politica finanziaria e fiscale del Regno non poteva aver luogo se non in base alla vigente Costituzione, di cui all'epoca la Francia, in realtà, non disponeva (di fatto le ultime revisioni risalivano ormai alla notte dei tempi… ), si rendeva dunque necessario procedere all'adozione di una nuova Carta Fondamentale, ma la momento di votare le relative mozioni i contrasti esplosero violentemente: Nobiltà e Clero volevano, infatti, il "Voto per Stato", che in linea di principio avrebbe consentito ad entrambi di avere la maggioranza permanente, mentre il Terzo Stato voleva il "Voto pro capite", che avrebbe ribaltata la situazione in suo favore.

Recenti studi hanno dimostrato come, in realtà, nessuna delle due ipotesi fosse così scontata: pure tra i nobili e gli ecclesiastici vi erano, infatti, numerosi favorevoli alla riforma in senso costituzionale ma non solo, mentre tra i banchi del Terzo Stato sedevano lo stesso Lafayette e l'abbée Sieyès. In ogni caso, non riuscendo a venire a capo della situazione, proprio i deputati terzisti persero la pazienza e decisero di riunirsi nella Sala della Pallacorda (un tennis primordiale) dov'era in corso una partita e, dopo averne espulsi i giocatori, posero al centro il tavolo dei giudici su cui salì il relatore (probabilmente quello stesso Ignace Guillotin che diede il nome alla macchina che sino al 1981 contraddistinse le esecuzioni capitali in Francia, ma non solo) che lesse la formula del giuramento con cui i deputati ribelli s'impegnarono a non separarsi se non dopo aver data alla Francia una nuova Costituzione.

 

 

 Il Giuramento della Pallacorda in un quadro di Jacques-Luis David


Nasceva così l'Assemblea Nazionale Costituente, che di fatto esautorava gli Stati Generali. Si trattava, in verità, di un autentico Colpo di Stato, che infatti Luigi XVI tentò di contrastare inviando le guardie ad arrestare i deputati del Terzo Stato, ma la notizia non ci mise molto a trapelare, tanto che la popolazione parigina decise di accorrere in aiuto dell'Assemblea Nazionale (di cui l'attuale Camera dei Deputati transalpina porta giustamente il nome). Per far ciò era, tuttavia, indispensabile procurarsi le armi e i mezzi indispensabili, e queste erano, come s'è detto, conservate in buona misura nei sotterranei della Bastiglia.

Chi pensava che pochi mutilati e invalidi, perlopiù anziani, non costituisesro un problema dovette, tuttavia, ricredersi: la resistenza dei difensori fu feroce, e le perdite da ambo le parti numerose; alla fine, però, i soldati ebbero la peggio e vennero totalmente trucidati: gli insorti si impadronirono di tutto ciò che trovarono liberando gli ultimi detenuti e dando l'assalto alle principali strutture politiche e militari della Capitale (14 Luglio 1789).

Luigi XVI, che proprio quel giorno era andato a caccia senza catturare neppure un passerotto (tanto che sul suo diario scrisse semplicemente "14 Julliet 1789: Rien!") fu avvisato dal suo aiutante di campo, gen. de la Rochefoucauld, a notte fonda, tanto che esclamò:"Ma cos'è questa? Una rivolta?", "No, Maestà." ribattè il generale "È una Rivoluzione!", e mai parole furono più profetiche: di lì a pochi anni, infatti, l'intera famiglai reale sarebbe stata completamente sterminata (si salverà soltanto la primogenita Maria Teresa Carlotta, morta in tarda età) aprendo la strada prima ai Governi Rivoluzionari (tra cui il famigerato Direttorio), poi a Napoleone I il Grande, che realizzerà in buona misura molti degli obiettivi della Rivoluzione e la cui opera (peraltro ampiamente superata solo dopo il 1870 ed ancor più dopo le due Guerre Mondiali) non verrà mai cancellata neppure con la cosiddetta Restaurazione (gli stessi Borboni dovettero, anzi, sostanzialmente limitarsi a ritoccarne in parte forme e contenuti senza ottenere analoghi risultati neppure sotto il regno di Luigi Filippo "Egalité" e di Napoleone III).




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