sabato 8 agosto 2015 - Giovanni Graziano Manca

Filosofia, politica e religione nella teoria di Roberto Mangabeira Unger

Qualche riflessione su Roberto Mangabeira Unger, filosofo e politologo brasiliano docente presso l’Università di Harvard di cui in Italia sono stati pubblicati i libri Conoscenza e politica (Il Mulino, 1983), Democrazia ad alta energia, un Manifesto per la sinistra del XXI secolo (Fazi, 2007), e Politics (Fazi, 2015), antologia di scritti tratti da Politics: A Work in Constructive Social Theory (Cambridge University Press, 1987). In Italia purtroppo l’opera del professore brasiliano non è molto conosciuta.

Nel corso degli anni, a partire dal 1975, Unger ha elaborato una propria originale e complessa teoria filosofico-politica molto dibattuta negli USA i cui capisaldi teorici sono i seguenti:

1. Nei libri di Unger di volta in volta si ritrovano anche argomentazioni che appaiono ispirate all’opera di studiosi che nell’ambito filosofico-politico appartengono a scuole o correnti di pensiero molto diverse tra loro (Dewey, Gramsci, Castoriadis, i comunitaristi, i civico politici, e cosi via);

    2. Unger è l’autore di una teoria non metafisica che non si limita a semplificare dettando norme volte a regolare il comportamento umano e il percorso che deve essere compiuto dalla azione politica ai fini del miglioramento delle condizioni di giustizia nel nostro pianeta. La dottrina dello studioso brasiliano cerca al contrario di trovare e suggerire, laddove vi sia necessità e avendo riguardo alle situazioni di particolare problematicità e di ingiustizia che di volta hanno bisogno di essere ‘corrette’, la giusta soluzione ai problemi dell’uomo contemporaneo. Nel far questo però, a differenza di altri studiosi Unger adotta un atteggiamento pragmatico volto tra l’altro a salvare quello che di buono esiste nei sistemi politici attualmente esistenti;

 3. nel formulare le sue proposizioni teoriche Unger adotta un atteggiamento pluridisciplinare perché si serve non solo dell’analisi storica ma anche di principi dettati da rami del sapere umano piuttosto diversi tra loro (oltre alla filosofia: sociologia, diritto, politica economica e scienza della politica) ancorché tutte ricadenti nell’ambito delle discipline umanistiche o di quelle politico sociali.

Lo studioso brasiliano mostra di essere pienamente consapevole dei limiti della filosofia e delle capacità dell'uomo di raggiungere il bene. Ecco come egli motiva la propria personale linea di pensiero:

La politica può spostare questi limiti, ma non può scavalcarli. La coscienza dell'uomo gli nega l'esperienza piena dell'armonia naturale. Lo scarto tra la sua individualità e la sua sociabilità gli impedisce di giungere alla perfetta simpatia. Il contrasto fra l’infinità delle sue aspirazioni e la finitezza della sua vita gli toglie l’universalità concreta. La sua ricerca privata del bene sfocia in un’amara consapevolezza del conflitto per il fatto di raggiungere talvolta una visione straordinaria e la qualità della vita quotidiana. La sua lotta pubblica per realizzare la comunità urta contro il bisogno del gruppo organico di rimanere un’associazione particolare e il suo bisogno di diventare un’associazione universale. Tutti i suoi più grandi tentativi su questa terra sono condannati all’incompletezza (Conoscenza e politica, p.389).

Secondo questa visione filosofica l’uomo appare come un essere perennemente in conflitto con se stesso incapace di limitare le proprie infinite aspirazioni poste sempre in contrasto con la assai misera concretezza della propria condizione esistenziale ‘finita’. E’ così che, constatate le proprie insufficienze e quelle dell’azione politica, l’uomo si rivolge alla religione come sua ultima risorsa.

La filosofia non può mostrarci che Dio effettivamente esiste o che la sua esistenza potrebbe costituire un rimedio alle nostre deficienze (Conoscenza e politica, p.393) .

Da sempre tra filosofia e religione e tra religione e politica intercorrono rapporti di tipo conflittuale. Da un lato, infatti, la filosofia è continua ricerca e manifesta l’urgenza di spiegare e dare prova dei fenomeni che circondano l’individuo e che fanno parte della sua vita mentre alla religione l’uomo chiede la risoluzione di problemi che egli stesso non è capace di risolvere. Dall’altro lato vi è il tormentato rapporto tra politica e religione cui si aggiunge il tentativo di sopraffazione e di riduzione in schiavitù da parte di entrambe ai danni della filosofia (Conoscenza e politica, p.394).

E la filosofia – sostiene Roberto Unger – il più vulnerabile e meno amato dei tre contendenti, qualche volta ha risposto colpo su colpo con la pretesa di essere signora della politica e successore della religione. Ogni volta che uno di questi generi di discorsi ha sconfinato sul territorio degli altri, ha corrotto sia se stesso sia le sue vittime. Per questa ragione, bisogna concludere fra gli avversari una pace con cui ognuno di essi garantisca agli altri una certa misura di autonomia e riconosca la loro importanza ai fini dei suoi oggetti di interesse (ibidem). 

La proposta di Unger appare direzionata nel senso di una ‘cooperazione concordata’ tra filosofia, religione e politica e del pieno riconoscimento reciproco della pari dignità e validità dei precetti che possono essere ascritti a ciascuno dei tre contendenti. Ciò al fine di dare la possibilità a ciascuno di essi di poter contribuire alla risoluzione delle criticità che l’uomo ha necessità di risolvere in modo soddisfacente. Questo rapporto sinergico tra filosofia, politica e religione, tra l’altro, consentirebbe all’uomo di pervenire a una maggiore consapevolezza dei problemi che, di volta in volta, si trova a dover affrontare (ibidem).

Quando si scandagliano a fondo dei problemi filosofici – argomenta Unger – si giunge infine alle frontiere esterne, cioè alla politica e alla religione, dove l’orgoglio del filosofo è umiliato e vengono alla ribalta altri generi di ricerca. Quando la filosofia ha raggiunto la verità di cui è capace trapassa nella politica e nella preghiera, nella politica attraverso cui si trasforma il mondo portandoli alla sua presenza e dando loro ciò che, lasciati a se stessi, non avrebbero mai potuto ottenere (Conoscenza e politica, pp.394-395). 

Unger descrive la filosofia come uno dei modi attraverso cui l’uomo tenta di dare risposta ai propri numerosi interrogativi. Peraltro, percorso il sentiero, spesso inefficace rispetto alla risoluzione dei problemi quotidiani, della riflessione filosofica, gli uomini fanno ricorso all’azione politica. Questa porta sovente a soluzioni che migliorano la condizione terrena della specie umana. Sperimentate però anche le insufficienze dell’agire politico l’uomo cerca Dio. E’, questo, un comportamento connaturato all’essere umano la cui ricerca, peraltro, continua anche là dove il pensiero si deve fermare e l’azione è impotente. […] Così la meditazione di Dio è per l’uomo un’unione ultima di pensiero ed amore, amore che è pensiero disincarnato dal linguaggio e restituito alla sua fonte (Conoscenza e politica, pp.394).

Unger chiude così il libro Conoscenza e politica:

Ma i nostri giorni passano, e ancora non ti conosciamo pienamente. Perché dunque rimani silenzioso? Parla, o Dio (Conoscenza e politica, pp.395). 

E’ una domanda che sottintende il continuo bisogno dell’uomo di interrogarsi e cercare rifugio nel Divino nella speranza di un suo intervento, di vedere un giorno migliorare la propria sorte e il proprio destino sulla terra.




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