sabato 6 giugno 2015 - Traiettorie Sociologiche

Fantasmi della cibernetica e utopie della comunicazione

di Adolfo Fattori

 

“Non vi siete finalmente resi conto che quasi tutto ciò che l’odierna umanità ancora pensa, definisce come pensiero, può essere ormai pensato dalle macchine realizzate dalla cibernetica, la nuova scienza della creazione?” (2009).

Così scriveva Gottfried Benn, il grande nichilista tedesco agli albori degli anni Cinquanta del Novecento, poco prima che Martin Heidegger facesse del rapporto uomo-macchina uno degli argomenti delle sue discussioni, come ricorda Linda De Feo, facendo del filosofo tedesco uno dei centri delle riflessioni che articola e raccoglie nel suo ultimo saggio, Per un’ermeneutica del cyberspace. Lineamenti storico-filosofici (ad est dell’equatore, Napoli, 2013, € 12,00, pp. 267).

E quella di Benn non è l’unica riflessione di un letterato sull’avanzare del digitale e del virtuale (anche se allora questi termini erano ancora estranei al vocabolario dell’elettronica): nel 1967, Italo Calvino, lucidamente consapevole delle metamorfosi provocate dalla maturazione dell’industria culturale di massa nella figura dell’intellettuale, a proposito del farsi della creazione letteraria scriveva: “Il processo in atto oggi è quello di una rivincita della discontinuità, divisibilità, combinatorietà, su tutto ciò che è corso continuo, gamma di sfumature che stingono una sull’altra […] I processi che parevano più refrattari a una formulazione numerica, a una descrizione quantitativa, vengono tradotti in modelli matematici” (1980, corsivi miei).

Collocate nel loro contesto, le due citazioni mostrano con chiarezza come il tema dell’impatto con l’universo dell’elettronica – e della fusione fra macchina ed elettricità – che la contemporaneità sente di dover assorbire e gestire non è certo emerso con la tarda modernità, con l’oggi, ma ha solide radici nel centro del Novecento.

Ancora un esempio. Nel suo Le Miroir du Merveilleux (1962), una antologia di scritti quantomeno eccentrici, pubblicata originariamente nel 1940, il surrealista Pierre Mabille riporta un brano dal Paris-Midi del febbraio 1939, intitolato Fabrication des Robots, in cui si legge, a proposito dell’Esposizione universale di New York: “… le public pourra adomirer toute une série d’automates se rapprochant extraordinairement de l’étre humain […] le cerveau de cet automate réagit aux ondes sonores qui, transformées en courant électriques, actionnent des relais cachés dans son corps…” (corsivo mio).

La cibernetica era già nata, prima di ricevere il suo battesimo da Norbert Wiener, Ross Ashby e gli altri profeti del digitale!

Ma qui siamo ancora nella letteratura e nella cronaca, a prima che sociologia e mediologia si occupassero del fenomeno.

La strada che la De Feo invece esplora e descrive – dopo aver definito con meticolosità e precisione il virtuale – è ancora un’altra, parallela a queste, aspra e tortuosa, ma decisamente più prestigiosa e legittimante, per chi è stato a lungo considerato poco più di un apprendista stregone che avrebbe consegnato l’umanità in mano alle macchine – come in tanta narrativa di science fiction: quella delle interrogazioni della filosofia sul rapporto uomo-macchina nell’era dell’elettronica. Ho citato in apertura Heidegger, ma prima di lui – ricorda l’autrice – ci sono stati gli studi di Gottfried Leibniz e le riflessioni di Friedrich Nietzsche. E dopo, le visioni di Jean Baudrillard.

Ancora, aggiungo, una lapidaria frase di Cartesio, “L’anima è un’ipotesi inutile: l’uomo è una macchina”, e, fra Leibniz e i due filosofi novecenteschi, il lavoro di quegli artigiani/scienziati che si dedicarono alla progettazione e alla costruzione di automi sempre più raffinati e complessi (Fattori, 2013a), che hanno rappresentato, prima del tempo attuale, il fenomeno concreto, osservabile, dell’approssimarsi del macchinico all’umano e del suo intreccio con la dimensione della comunicazione: di quella fra gli umani e le loro espansioni, e di queste con l’esterno: macchine non più mosse dalla forza di molle e ingranaggi caricati dall’uomo, ma da una energia molto più potente e all’apparenza evanescente, l’elettricità, come hanno sostenuto alcuni teologi fra il XVII e il XVIII secolo (Fattori, 2013b) http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero47/bussole/q47_b08.html).

La De Feo parte da una considerazione preliminare, che dichiara subito il focus del tema: “La storia della tecnologia dei mezzi di comunicazione ha inizio con l’umana, consapevole scelta dei materiali più adatti a ricevere segni […] capaci di rappresentare simbolicamente entità astratte, custodendole nel tempo e nello spazio, e di avviare dunque la duplice tendenza alla dematerializzazione e reificazione dei significati” (corsivo mio).

Quindi, da un lato le tecnologie hard, quelle che dagli automi, attraverso i robot, arriveranno ai cyborg e agli androidi della fantascienza, dall’altro quelle soft dei sistemi di comunicazione digitali e dei mondi virtuali: il panorama del nuovo millennio, che però è solo il punto d’approdo presente di un processo cominciato molto presto nel passato, ad essere rigorosi, al momento in cui l’umano ha inventato/scoperto la prima protesi, immediatamente raddoppiando una parte del suo corpo, possiamo immaginare rispecchiandosi quindi in qualcos’altro di artificiale, e così subito immaginando la possibilità di replicare tutto se stesso, il suo corpo, la sua mente. Un processo durato millenni, di cui vediamo in questi anni gli ultimi esiti.

L’autrice costruisce il suo percorso seguendo tre sentieri in parallelo, che corrispondono a tre tappe nello sviluppo della “costruzione scientifica” – e quindi della percezione sociale del nostro rapporto con la virtualità: da Leibniz, l’idea che il reale sia descrivibile e mappabile grazie alla matematica, e quindi, anche replicabile con lo stesso strumento, come sostiene e prova a fare la cibernetica. Da Nietzsche i primi allarmi sul rischio della sussunzione alla macchina – strettamente intrecciata con le sue invettive contro la massificazione. Da Heidegger, nella lettura che ne dà in particolare Michael Heim, le considerazioni più profonde, articolate, sinuose – illuminanti pur nella loro cripticità – sull’aggrovigliato gioco di specchi che si crea man mano che la relazione uomo-macchina si fa più cogente e inestricabile.

Il discorso dei tre filosofi converge in un punto, nel ragionamento dell’autrice: la sfera del virtuale, pur nella sua immaterialità, deve essere considerata, proprio perché prodotto dell’umano, reale quanto la realtà naturale, luogo, spazio in cui precipita tutta la storia dell’“umano nel mondo”, come si esprime Alberto Abruzzese (2012).

Il fatto – significativo – sottolineato dalla De Feo è che il dibattito contemporaneo sulla sfera della cibernetica e sull’universo del virtuale è nella consapevolezza delle spinte divergenti che questi nelle loro articolazioni materiali e immateriali producono: annullamento dell’umano e contemporaneamente potenziamento delle sue prerogative. Superamento, quindi, dello stesso, e transito verso il postumano, termine spesso abusato, ma che grazie alle considerazioni dell’autrice assume un senso preciso: la fusione, il confronto, il conflitto fra naturalità e artificialità dell’uomo che si esprime nel mondo, che crea quindi socialmente la realtà, pur nel rischio di rimanerne schiacciato, fagocitato, certamente mutato.

Che la logica della digitalità nel suo complesso abbia lentamente colonizzato il mondo e il nostro modo di “leggerlo” è già, d’altra parte, nelle parole di Calvino e di Benn citate in apertura, se intese nel loro senso profondo: qui non si tratta tanto – o soltanto – di asservimento dell’umano all’artificiale, o della sostituzione del secondo al primo, quanto della affermazione di un modo di pensare, di descrivere tutto il reale (anche la creazione artistica) con modelli derivanti dalla teoria dell’informazione e dalla cibernetica, come nell’Estetica (1974), pubblicata dal filosofo Max Bense nel 1963, o nelle “grammatiche generative” dello strutturalismo nell’interpretazione che ne dà Noam Chomsky (1975) (cfr. Perrella, Strino, 1980; http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/ancore/ancore38_letture.pdf).

La diffusione profonda, alluvionale dell’immaginario cibernetico/virtuale è d’altra parte provata dall’altro aspetto della formazione dell’autrice, quello legato all’analisi delle forme narrative di massa, e in particolare della science fiction di Philip K. Dick e della sua logica progenie, il cyberpunk. Scrive la De Feo: “L’orizzonte puramente informazionale della realtà elettronica e l’artificializzazione dell’esperienza sono adombrate dall’immaginazione fantascientifica di Dick…”. E ancora, “Dick adombra il media landscape popolato dalle immagini sintetiche, mere espressioni di modelli numerici, simboli prodotti attraverso simboli che, non rimandando a un modello, non rinvenendo la loro origine prima nello sguardo umano e caratterizzandosi quindi nell’assenza sia di riferimenti biologici sia di tracce materiali, in un’assoluta autonomia e autoreferenzialità, convertono la fisicità della vita nella digitalità dell’esperienza virtuale e fanno implodere l’opposizione tra l’oggetto e il suo riflesso” (corsivo mio). La pura sostanza della relazione fra umano e virtuale dispiegata in pieno.

E su William Gibson: “La pulsione ad attraversare la superficie luminescente dello schermo informatico e ad accedere all’abissale, complesso e tattile spazio cibernetico induce ad effettuare ‘un passaggio di stato’ dal mondo fisico, in cui si colloca il corpo biologico dell’utente, al mondo, preconizzato da Gibson, in cui regna l’irresistibile desiderio della rappresentazione che vi prende forma” (corsivo mio).

Queste due riflessioni dell’autrice racchiudono l’intero corpo del rapporto dell’uomo contemporaneo con il cyberspazio inteso come universo – di spazi, di vita, di simboli, di reale – con cui si viene continuamente a patti, ci si confronta, ci si specchia, si riceve e si dona.

La strada maestra verso il postumano, forse – un simbionte del mondo naturale con quello artificiale, come scrive la stessa De Feo in una sua fatica precedente (2009): “La riconfigurazione della mappa sensoriale conduce alla revisione dell’anatomia di un corpo diventato luogo privilegiato della mutazione in atto […]. Il corpo, non più luogo della psiche o del sociale, va concepito come struttura da rielaborare…”.

L’ultimo approdo, per ora, di un rispecchiamento arcaico, ancestrale, prima con i propri doppi incontrati nei sogni, poi con le sculture arcaiche, e ancora con gli automi e i robot della modernità classica e industriale, per arrivare all’ultimo ordine di simulacri (Baudrillard, 1976), quello del codice e del cyborg.

A reificare, esorcizzare, domare ed esser domati dall’Altro, simbolo delle nostre paure e delle nostre illusioni. Sperando che sia possibile, come conclude la De Feo il suo lavoro, “… negare che l’utopia della contemporaneità rimandi unicamente al suo speculare opposto”.

 

Letture

Abruzzese A., Punto zero Il crepuscolo dei barbari, Sossella, Roma, 2014.

Baudrillard J., Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1976.

Benn G., Romanzo del fenotipo, Adelphi, Milano, 2009.
Bense M., Estetica, Bompiani, Milano, 1974.

Calvino I., Cibernetica e fantasmi, in Una pietra sopra, Einaudi, Torino, 1980.

Chomsky N., La grammatica trasformazionale, Bollati Boringhieri, Torino, 1975.

De Feo L., Dai corpi cibernetici agli spazi virtuali. Per una storiografia filosofica del digitale, Rubettino, Soveria Mannelli (Cz), 2009.

Fattori A., La meccanica dell’illusione, in “Quaderni d’Altri tempi” 43, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero43/bussole/q43_b12.html, 2013a.

Fattori A., I Trust the Life Electric, in “Quaderni d’Altri tempi” 47, 2013b, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero47/bussole/q47_b08.html

Mabille P., Le Miroir du Merveilleux, Minuit, Paris, 1962.

Perrella G., Strino R., Le macchine simulanti, Theorema, Roma, 1980.




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