venerdì 13 gennaio 2017 - Phastidio

Fallimento del Bonus insegnanti | Dammi tre parole: merito, concorrenza e trasparenza

di Vitalba Azzollini

Egregio Titolare,

nel corso degli ultimi anni si è avuto talora il sospetto che il precedente governo non avesse le idee sufficientemente chiare sul significato delle parole con le quali propagandava alcuni provvedimenti e sul legame concettuale fra esse esistente. La verifica dei risultati dimostra che il sospetto era fondato. In particolare, il riferimento è alle parole “merito”, “concorrenza” e “trasparenza”, relativamente alla riforma della scuola.

 

Il “merito”, innanzitutto: con la legge c.d. Buona Scuola (l. n. 107/2015) – appellativo che sarebbe stato più saggio attribuire ex post, a seguito di verifiche concrete, anziché ex ante, come una sorta di scaramantico buon auspicio o un invito a stare sereni – l’esecutivo Renzi deliberò che i docenti migliori venissero premiati con un bonus (o bonum, se si preferisce) in denaro, attribuito dai dirigenti scolastici in base a indicatori genericamente declinati dalla legge e a criteri da definire puntualmente a opera di un apposito Comitato presente in ogni istituto. Il tema è stato trattato nei giorni scorsi oltre che da voi, cari Compari dei Conti della Belva (e a La versione di Oscar), anche dalla stampa, e in modo diffuso: sembra ormai accertato il fallimento del citato bonus in relazione allo scopo cui era finalizzato, vale a dire l’effettivo riconoscimento del merito nel sistema-scuola.

Per comprendere cosa non abbia funzionato nel meccanismo premiale predisposto occorre porsi una domanda, forse trascurata da chi ha elaborato la misura: qual è l’obiettivo ultimo della somma di denaro attribuita ad alcuni docenti e non ad altri, l’intento che ne nobilita la portata, sì che il premio “arricchisca” non solo l’individuo che lo percepisce, ma altresì la collettività nel suo complesso?

La risposta è agevole per chi non tema di pronunciare la seconda parola-chiave – oltremodo demonizzata – che ho menzionato: “concorrenza”. Il bonus dovrebbe avere il compito di stimolare la competizione fra gli insegnanti, innestando così un circolo virtuoso che porti i singoli e, al contempo, l’istituzione scolastica a migliorare. Purtroppo, questo fine più elevato è rimasto tra le righe del decreto, ammesso che il governo volesse davvero perseguirlo: di ciò potrebbe dubitarsi molto, visto che si è limitato a stanziare le somme da attribuire ai docenti, senza preoccuparsi di implementare la misura in modo tale da attivare il circolo virtuoso sopra accennato.

Ma forse, come spesso accade, non è stato un caso: per realizzare in concreto un sistema concorrenziale mediante il bonus in discorso sarebbe servito un governo coraggioso, che fissasse criteri di valutazione chiari e omogenei, obbligando i presidi al medesimo coraggio, e cioè a rendere conto pubblicamente, in maniera trasparente, delle proprie specifiche scelte.

E “trasparenza” è la terza parola che ho indicato. Infatti, il sia pur encomiabile intento di valorizzare il merito attraverso un premio monetario e, con esso, di incoraggiare una gara tesa a creare valore, resta una stimabile astrazione in mancanza di trasparenza – appunto – su alcuni elementi essenziali: le regole della competizione devono essere fissate prima che essa inizi, dunque non “in corsa”; i partecipanti al confronto devono poter conoscere i motivi per i quali ha “vinto” qualcun altro, così da comprendere le proprie carenze e adoperarsi per fare meglio; il “giudice di gara” deve fondatamente dimostrare i passaggi della valutazione ponderata che ha svolto, rendendo sindacabili le proprie scelte da parte della comunità interessata.

Dunque, la “trasparenza” è l’ingranaggio che rende sana la “concorrenza” attivata da una premialità del “merito” realmente virtuosa: ma nel decreto c.d. Buona Scuola di trasparenza non c’è traccia. 

Circa il primo profilo – la definizione delle regole anteriormente all’inizio del confronto – basti dire che il Ministero dell’Istruzione, in una circolare dell’aprile 2016, quindi a meno di due mesi dalla chiusura dell’anno 2015-2016, attestava che si stavano ancora insediando alcuni dei Comitati che avrebbero dovuto stabilire i criteri per l’attribuzione del premio inerente allo stesso anno scolastico: altro che obiettivi trasparentemente stabiliti ex ante e verificati ex post. Quanto agli altri profili individuati, l’assenza nel decreto in questione di ogni cenno alla trasparenza potrebbe essere liquidata come la mera dimenticanza di un governo teso più a dimostrare un ineguagliabile iper-attivismo che a elaborare regolazioni ben strutturate.

Inoltre, per scusare e declassare come veniale la dimenticanza suddetta, si potrebbe usare la “toppa” apposta a tale mancanza dal MIUR sul proprio sito web (FAQ sul bonus-insegnanti): “in merito alla pubblicazione dei premi per i singoli docenti, mancando un’indicazione di riferimento specifica per la scuola, è opportuno fare riferimento al D.Lgs. 33/2013 come aggiornato da D.Lgs. 97/2016”.

Il Ministero richiama il decreto c.d. Foia, atto a rendere l’amministrazione pubblica trasparente come una casa di cristallo, stando ai proclami dei suoi redattori. Tutto a posto, “…diranno subito i miei piccoli lettori. – No, ragazzi, avete sbagliato”: cito il Pinocchio di Collodi perché la trasparenza, in questo caso, se non è una bugia, è una verità diversamente declinata. Infatti, le norme del decreto c.d. Foia menzionate dal MIUR si limitano a sancire che i dati relativi alla distribuzione dei “premi collegati alla performance” vadano pubblicati “in forma aggregata, al fine di dare conto del livello di selettività utilizzato nella distribuzione dei premi e degli incentivi”, e nient’altro.

Premesso che non è chiaro come la “forma aggregata” possa dare conto della “selettività” (pare un ossimoro), la disposizione è del tutto inidonea a fare trasparenza sulle scelte del dirigente, rendendo sindacabili le valutazioni ponderate da lui compiute nell’assegnazione dei premi agli insegnanti. Dunque, il rimando del MIUR al decreto c.d. Trasparenza con riferimento al decreto c.d. Buona Scuola serve solo a produrre il paradossale effetto di avvolgere con una cortina di opacità l’intero meccanismo: non è meraviglioso tutto questo, caro Titolare? E tutto si tiene, come sempre, ma non è tutto. Sulla scia del c.d. FOIA, in una delle FAQ citate, il Ministero afferma che, se pure è opportuno (non obbligatorio, ci mancherebbe!) per il dirigente scolastico comunicare “le motivazioni delle sue scelte al Comitato di valutazione e a tutta la comunità professionale”, egli deve farlo “in forma generale e non legate ai singoli docenti”: come non comunicare nulla, praticamente, così che le specifiche scelte restino in ultima istanza oscure a tutti.

La farsa è resa ancora più evidente da una disposizione del decreto c.d. Buona Scuola, con cui il legislatore si premura di precisare che il dirigente scolastico individua i destinatari del bonus “sulla base di motivata valutazione”: qual è il senso di sancire normativamente che la valutazione debba essere motivata – ogni valutazione la è, salvo i casi di estrazione a sorte o di follia conclamata – se poi non si impone l’obbligo di rendere pubbliche le specifiche motivazioni poste a fondamento delle scelte effettuate?

Infine, la ciliegina sulla torta: nella circolare del MIUR sopra citata si invitano i dirigenti a non usare il fondo per il premio “attraverso la destinazione ad un numero troppo esiguo di Docenti”. L’ipotesi “pochi, ma buoni” non è gradita forse perché i non-buoni potrebbero risentirsi? Credo non serva aggiungere altro.

In sintesi e in conclusione: senza trasparenza la concorrenza resta monca e il premio al merito privo di efficacia. Come tradizione vuole, il sistema escogitato è perfetto perché tutto cambi senza che cambi niente: non sia mai che i governanti siano davvero coraggiosi, che i dirigenti siano obbligati ad assumersi apertamente e puntualmente la responsabilità delle proprie scelte e che i docenti, oltre a giudicare i discenti, siano assoggettati a giudizi a propria volta.

Tre parole sono essenziali perché un meccanismo di riconoscimento – come il bonus-insegnanti – possa funzionare: merito, concorrenza e trasparenza.

Peccato che in Italia esse siano declamate alla stregua di “sole, cuore e amore”, così che si continua a suonare sempre la solita canzone.




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