martedì 31 gennaio 2017 - YouTrend

Elezioni | Renzi e Grillo: obiettivo 40%. Ma anche no

Qualche giorno fa la Corte Costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità del ballottaggio previsto dall’Italicum, ha “prodotto” di fatto una nuova legge elettorale. A meno che una lista non arrivi da sola al 40% dei voti, la prossima Camera dei Deputati sarà eletta con un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 3%.

di Salvatore Borghese (Sito Web)

Il fatto che la Corte abbia mantenuto in vigore il premio di maggioranza ha fatto sì che le principali forze politiche partissero in quarta dichiarando di voler raggiungere l’ambizioso traguardo del 40% per vincere le elezioni. Ha iniziato Beppe Grillo, immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza: “Il 40% è il nostro obiettivo per poter governare. Ci presenteremo agli elettori come sempre senza fare alleanze con nessuno”. Poi è stato il turno di Matteo Renzi, che parlando ad un’iniziativa dedicata agli amministratori locali del PD ha affermato: “C’è un modo semplice per evitare il caos, molto semplice: arrivare al 40 per cento. Noi ci siamo già arrivati […] siamo abituati ad arrivarci, al 40 per cento!”.

Ma è davvero così? Davvero se alle prossime elezioni un partito che raggiunga il 40% potrà governare da solo, “senza fare alleanze con nessuno”, così facendo “evitando il caos”?

In realtà, no. Chi afferma questo dimentica – o finge di dimenticare – che in Italia è in vigore una cosa chiamata bicameralismo perfetto (o paritario). Per formare un governo non basta avere la maggioranza alla Camera dei Deputati: bisogna averla anche al Senato. Lo sa bene Pierluigi Bersani, che nel 2013 vinse 340 seggi su 630 alla Camera ma che non riuscì comunque a formare un governo perché al Senato rimase molto lontano dalla maggioranza assoluta: e infatti il successivo governo guidato da Enrico Letta fu il frutto di un accordo di grande coalizione tra il PD e l’allora Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi.

Eppure, di questa cosa si parla molto poco. Ci tocca addirittura leggere pensosi editoriali in cui si riflette sul fatto che la Corte abbia lasciato in piedi un meccanismo che “mette il Parlamento nelle mani di 4 italiani su 10” (sic). 

Breaking news: il bicameralismo perfetto è ancora in vigore. Dovrebbero saperlo bene tutti, visto che neanche due mesi fa con un referendum gli italiani hanno sonoramente bocciato una riforma costituzionale che voleva superarlo.

Ora, si dà il caso che il Senato sia eletto con un sistema elettorale diverso da quello della Camera, che non prevede alcun premio di maggioranza. Si dirà: ma se si raggiunge il 40%, in virtù delle alte soglie di sbarramento previste per le liste singole a livello regionale (l’8%), è ragionevole pensare che sia possibile ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Ma le cose non stanno così.

Ed è possibile dimostrarlo, utilizzando non dei dati di sondaggio (attendibili fino a un certo punto) ma dei dati reali: in particolare, quelli delle Europee 2014, in cui un partito (il PD) riuscì a ottenere da solo più del 40% dei voti per la prima volta da diversi decenni.

Quelli che vi mostriamo sono i dati di una simulazione già presentata in occasione del seminario post-elettorale SISE del giugno 2014. I dati riguardano il Senato, e si riferiscono a due scenari: nel primo, si immagina un PD in coalizione con la lista Tsipras (al Senato infatti è possibile presentare coalizioni di liste) e un Nuovo Centrodestra che corre da solo; nel secondo, il PD corre senza alleati, mentre NCD si presenta in coalizione con gli altri tre partiti di centrodestra (Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia).

Ecco i risultati:

SEN con A Renzi e Grillo: obiettivo 40%. Ma anche no.

SEN con B Renzi e Grillo: obiettivo 40%. Ma anche no.

Come si vede, in nessuno dei due casi il PD (vincitore alla “ipotetica” Camera con il 40,8%) sarebbe riuscito a ottenere la maggioranza assoluta (156 seggi).

Va fatta un’importante precisazione metodologica: la simulazione fu fatta basandosi sul fatto che alle Politiche 2013 il PD aveva preso alla Camera molti voti in meno che al Senato (25,4% contro 27,4%). Calcolando regione per regione le proporzioni tra voto al PD alla Camera e voto al PD al Senato, il risultato nazionale delle Europee avrebbe così “proiettato” il PD al 44%. Tale ipotesi si basa – si badi bene! – su un assunto estremamente favorevole al PD (nessuno può affermare con certezza che la differenza in termini di voti verificatasi nel 2013 si sarebbe ripetuta). E tuttavia è un’ipotesi che dà luogo ad un Senato dove comunque il PD sarebbe costretto a fare accordi post-elettorali con altre forze politiche per formare un governo.

Quindi, vale per Matteo Renzi e il PD come per Beppe Grillo e il M5S: l’obiettivo è il 40 per cento? Bene, ma anche no.




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