sabato 22 aprile 2017 - UAAR - A ragion veduta

Ddl biotestamento: l’ombra lunga dell’obiezione di coscienza

È vero: il meglio è nemico del bene. Ma per come si sta profilando, il ddl sulle dichiarazioni anticipate di trattamento rischia di contenere già al suo interno il germe della sua inefficacia. Mi riferisco ovviamente alla possibilità per il medico di esercitare obiezione di coscienza rispetto alle decisione del paziente. Non abbiamo bisogno di guardare molto lontano per capire che questa previsione potrebbe svuotare dall’interno la legge: i numeri sull’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria di gravidanza dicono tutto.

Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2014 l’obiezione di coscienza si è attestata al 70,7% su base nazionale. Inoltre il problema non ha diffusione uniforme per cui se in Valle d’Aosta il servizio è garantito, altrove non è così. Solo il 59,6% degli ospedali pratica infatti interruzioni volontarie di gravidanza e questo significa che c’è un 40,4% che non offre questo servizio. Inoltre, solo il 10% degli ospedali fa aborti terapeutici. Il rischio è sempre lo stesso: che la volontà della persona di decidere di se stessa, che si tratti di fine vita o di ivg, non sia rispettata.

Di questo passo la possibilità che nel nostro Paese siano introdotte eutanasia e suicidio assistito sembrano ridotte al lumicino. Lo dimostra d’altronde anche il fatto che la proposta di legge di iniziativa popolare su rifiuto dei trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia che, insieme all’Associazione Luca Coscioni, ai Radicali Italiani e ad altri soggetti, abbiamo depositato in Parlamento ormai più di quattro anni fa non è stata mai discussa.

I casi di Dj Fabo e Davide Trentini e, prima di loro, di Piergiorgio Welby o Eluana Englaro sembrano non aver insegnato niente.

Stefano Incani

 



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