lunedì 16 febbraio 2015 - Kocis

Dal palco si alzò forte il canto del “Tripoli bel suol d’amore”

Dalla serie: “Prima deliberatamente frantumano il vaso e poi vogliono appiccicare i centomila cocci sparsi”. 

Mentre il festival nazional-popolare era ormai agli sgoccioli; si stavano lustrando i premi per la consegna, gli elettricisti provavano gli interruttori per lo spegnimento delle luci e il sistema di comando per la chiusura dell’enorme tendone, solenne, con toni e volumi sempre più crescenti e rimbombanti, irruppe il suono e il canto dello storico inno nazional-coloniale, quello che proclamò “patria”… la quarta sponda (con tutti i nessi umani connessi, molti fatti diventare cadaveri) e con le immortali gesta d’armi tramutate in versi nelle liriche appositamente approntate da colui che poi, a furor nazionalista/ guerrafondaio e di schioppi, fu proclamato vate nazionale.

Dal pubblico, in diversi, commossi e frementi, improvvisamente pensando che fossero ritornati “ i tempi belli”, automaticamente distesero il braccio (c’è n’è non pochi sempre in agguato)... pensando così di anticipare i tempi della storia che tragici e funerei sarebbero sgorgati poco più di un decennio dopo. Dall’11 al 22.

Scalpitanti irruppero le note: "Tripoli, bel suol d’amore, ti giunga dolce questa mia canzon, sventoli il Tricolore sulle tue torri al rombo del cannon! Naviga o corazzata: benigno è il vento e dolce è la stagion. Tripoli terra incantata, sarà italiana al rombo del cannon. A te, Marinaro, sia l’onda sentier; sia guida Fortuna per te Bersaglier; va’ e spera, soldato, Vittoria è colà. Hai teco l’Italia che gridati: va’! Al vento africano che Tripoli assal già squillan le trombe, la marcia real. A Tripoli i turchi non regnano più: già il nostro vessillo è issato laggiù... All’improvvisò fui svegliato dal gelido ululante fischio del vento. Era una tempesta simile ad un uragano i cui echi stranamente somigliavano ai toni di quello dell’altro antico funereo canto"... bombe a man… carezze di pugnal…”. 

Era stato soltanto un brutto sogno.

Poi, acceso il video, mi accorsi che il delirio “fantasticato” era stato premonitore. Forti uscivano le grida di battaglia: “Pronti ad intervenire in Libia", "Invieremo cinquemila uomini", "Faremo la nostra parte", "Sì all’azione militare”. 

Si stavano già allestendo i sacchi. Quelli lunghi, robusti e neri. E, l’altro 11, quello del sacro articolo scandito dalla Costituzione? Speriamo che un “gigantesco undici” inneggiante alla pace, portato da milioni di cittadini che rigettano la guerra, li faccia rinsavire!

n.b. Scrivono i testi storici che Giolitti, il primo ministro dell’epoca, trovandosi in gravi difficoltà con la gestione degli affari pubblici e politici, compreso in Parlamento. volse lo sguardo alla Libia. Nacque la guerra italo-turca.

 

Foto: Gea della Garisenda/Wikipedia




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