sabato 22 gennaio 2011 - roccob

Dai giri a "patrunu" nelle "puteche", al binge drinking o bevuta compulsiva

Non c’è che dire, a cavallo di più generazioni, è sempre esistita una certa dose d’imprevedibilità nel corso delle cose e, in particolare, nell’evoluzione delle abitudini e dei costumi. E però, giammai, il fenomeno ha evidenziato sviluppi, implicazioni, rischi, conseguenze, del livello di accentuazione presente e lampante oggigiorno.

Fino alla metà del secolo scorso, nei piccoli centri del Salento, il bar o caffè non si conosceva per niente, era dato di scorgerne qualche insegna solo nelle località più grandi.

Tuttavia, nel solco e secondo i canoni della sana civiltà contadina, all’epoca predominante, la gente, pressoché indistintamente, soleva collocare in seno all’alimentazione, spartana e nello stesso tempo equilibrata e efficace, anche il consumo del vino: fa buon sangue, tonifica i muscoli di braccia, gambe e spalla, difende dal raffreddore e dalla tosse, si credeva e sosteneva.

Se non aveva a disposizione propri “cippuni” per produrre direttamente la quantità di bevanda necessaria da un’annata all’altra, ogni famiglia acquistava tini di uva dal Brindisino o dalla zona dei Paduli, verso il Capo di Leuca, vinificando poi i grappoli, attraverso la “stompatura” con i piedi, nel palmento pubblico del paese.

In ultima analisi, si riforniva, presso proprietari di vasti vigneti e/o pseudo grossisti enologici, di alcuni ettolitri del prodotto. Quel paio di bicchieri, fra i sorsi assunti a canna dalla bottiglia portata appresso per la giornata di lavoro nei campi e il calice a tavola, la sera, rappresentava un rito, una sacralità per anziani, adulti e giovani.

Alle anzidette bevute quotidiane campagnole e domestiche, per i compaesani capo famiglia, si aggiungeva, la domenica pomeriggio e in occasione delle feste, l’accesso e la sosta fra amici all’interno dell’esercizio di mescita, o “puteca”; dal bancone dell’oste, o “puticaru”, scivolavano di tanto in tanto sui tavolini di legno quadrati, di norma per quattro avventori, contenitori in vetro da un litro o due, insieme con la guantiera di bicchieri: preferibilmente, rosso e, talvolta, bianco.




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